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    ISTAT: “Cittadini più preoccupati per il clima. Attenzione al risparmio energetico”

    (Teleborsa) – Sei persone su dieci in Italia sono preoccupate per i cambiamenti climatici. Nel 2023 cresce la preoccupazione per i cambiamenti climatici espressa dal 58,8% della popolazione di 14 anni e più; 56,7% nel 2022. Le preoccupazioni per lo smaltimento dei rifiuti e l’inquinamento dell’acqua riguardano circa il 40%. Nel 2023 la metà dei cittadini esprime, inoltre, preoccupazione per la qualità dell’aria, quota pressoché stabile dal 1998 (primo anno di rilevazione). Il dissesto idrogeologico preoccupa il 26,5% delle persone di 14 anni e più, contro il 22,4% del 2022. Solo una persona su 10 sopra i 14 anni considera l’inquinamento acustico, quello elettromagnetico e il deterioramento del paesaggio tra le prime cinque preoccupazioni per l’ambiente. I cittadini sono sempre più attenti alla conservazione delle risorse naturali. Nel 2023, la quota di quanti fanno abitualmente attenzione a non sprecare energia arriva al 72,8%. In crescita anche quanti sono attenti a non sprecare acqua: il 69,8% contro il 67,6% del 2022. Nel Mezzogiorno si è più propensi ad acquistare prodotti a chilometro zero (28,8%). Al Nord si evita soprattutto la guida rumorosa per mitigare l’inquinamento acustico (52,5%) e si usano di più i mezzi di trasporto alternativi (20,3%). È quanto emerge dall’indagine multiscopodell’Istat “Aspetti della vita quotidiana” che rileva la percezione dei cittadini sulle tematiche ambientali e quesiti relativi ai comportamenti ecocompatibili.Forte sensibilità per i problemi ambientaliNel 2023 i cambiamenti climatici sono al primo posto tra le preoccupazioni ambientali espresse dai cittadini, confermando un primato ormai decennale: esprimono questa attenzione sei persone su 10 di 14 anni e più (58,8%) in aumento di 2,2 punti percentuali sul 2022. Seguono i problemi legati all’inquinamento dell’aria,avvertiti dal 49,9% della popolazione, dato stabile rispetto al 2022. Più distaccate, ma rilevanti, ci sono la preoccupazione per lo smaltimento e la produzione dei rifiuti (38,9%, in calo di un punto percentuale rispetto al 2022) e quella per l’inquinamento delle acque (38,0%, dato stabile). Effetto serra e buco nell’ozono (33,1%) sono percepiti come ulteriori fattori di rischio ambientale a livello globale; tuttavia, si registra una diminuzione di oltre 4 punti percentuali tra quanti lamentano questi come tra i primi cinque problemi ambientali. Altri problemi ambientali preoccupano meno di tre persone su 10; in fondo alla graduatoria vi sono le preoccupazioni per l’inquinamento elettromagnetico, per le conseguenze del rumore sulla salute e per la rovina del paesaggio.Le preoccupazioni legate al clima sono da tempo al centro dell’interesse delle persone di 14 anni e più. Tra queste, tuttavia, la preoccupazione per l’effetto serra, che nel 1998 coinvolgeva quasi sei persone su 10, cala rispetto al primo anno di rilevazione di circa 25 punti percentuali. In senso inverso, il timore per i cambiamenti climatici, indicato nel 1998 dal 36,0% delle persone, sale al 58,8% nell’ultimo anno (+22,8 punti percentuali). Valutando insieme i due problemi – effetto serra e cambiamenti climatici – emerge che l’attenzione della popolazione per la crisi ambientale aumenta in misura decisa dal 2019 (70% di cittadini preoccupati), ossia nell’anno caratterizzato dal diffondersi in tutto il mondo dei movimenti di protesta studenteschi ispirati ai “Fridays For Future”. L’indicatore si mantiene stabile negli anni successivi, salvo nel 2021, anno in cui la discesa a un livello del 66,5% è determinata da fattori più che altro legati alla pandemia e alla polarizzazione dei cittadini su un altro tipo di preoccupazioni ad essa connessi (70,8% nel 2020, 66,5% nel 2021, 71% nel 2022 e 70,8% nel 2023).L’inquinamento dell’aria rappresenta, invece, una preoccupazione costante per un cittadino su due da oltre 20anni. L’attenzione al dissesto idrogeologico, sebbene sia scesa molto nell’arco temporale in esame (dal 34,3% nel 1998 al 26,5% della popolazione di 14 anni e più nel 2023), registra un aumento di oltre 4 punti percentuali sul 2022. Le conseguenze delle alluvioni nelle Marche e in Toscana del maggio 2023 potrebbero aver innescato un aumento del livello di preoccupazione espresso dai cittadini nei confronti del dissesto idrogeologico; a conferma di ciò nelle Marche si riscontra un aumento sul 2022 pari a 11 punti percentuali mentre in Toscana, Umbria ed Emilia Romagna la crescita è di circa 6 punti. Rispetto all’inquinamento del suolo, dell’acqua e alla distruzione delle foreste, il problema più sentito è, negli anni in esame, l’inquinamento delle acque che interessa in maniera costante circa il 40% delle persone. La distruzione delle foreste, che preoccupava nel 1998 il 25,2% della popolazione, scende al 20,3% nel 2023. Si mantiene abbastanza costante la percentuale di coloro che ritengono l’inquinamento del suolo tra le cinque preoccupazioni prioritarie in tema di ambiente (da 20,3% a 21,5%). Tra le altre preoccupazioni emerge quella legata alla produzione e allo smaltimento dei rifiuti. Nell’arco di 20anni ha sempre espresso valori importanti, oscillando tra il 39% e il 47%, tuttavia negli ultimi due anni si assiste a una lieve riduzione dell’indicatore, al punto che il dato 2023 (38,9%) rappresenta il minimo storico tra quelli sin qui rilevati.Preoccupazioni ambientali legate al territorioSi conferma, nel 2023, la polarizzazione tra Nord e Mezzogiorno del Paese rispetto alle preoccupazioni per le tematiche ambientali. Ad esempio, si rileva una differenza di circa 10 punti percentuali rispetto al tema dei cambiamenti climatici che preoccupa il 61,2% degli abitanti del Nord rispetto al 51,9% di quelli del Mezzogiorno. Anche l’inquinamento delle acque rientra tra i temi particolarmente sentiti dagli abitanti delle regioni settentrionali (40,9%) e molto meno da quelli delle regioni meridionali (34,0%).All’opposto, richiamano l’attenzione soprattutto dei residenti del Centro e del Mezzogiorno le tematiche legate alla produzione e allo smaltimento dei rifiuti (41,3% nel Mezzogiorno, 43,5% nel Centro e 35,2% nel Nord) e all’inquinamento del suolo (22,8% nel Mezzogiorno, 22,4% al Centro e 20,1% nel Nord). Nel corso degli ultimi anni i cittadini del Lazio hanno manifestato maggiore preoccupazione rispetto alle altre aree del Paese per la produzione e lo smaltimento di rifiuti. Anche nel 2023 questa Regione presenta lapercentuale più elevata, pari al 47,1%, seguita dalla Calabria con il 44,8%, contro una media nazionale del 38,9%. Le persone di 14 anni e più che vivono in centri dell’area metropolitana esprimono una preoccupazione maggiore rispetto a chi abita nei Comuni di piccole dimensioni rispetto a produzione e smaltimento dei rifiuti, inquinamento dell’aria e inquinamento acustico. Nei Comuni centro dell’area metropolitana il 46,4% delle persone esprime timore per la produzione e lo smaltimento dei rifiuti mentre la quota scende al 39,0% neiComuni medio grandi (dai 10mila ai 50mila abitanti) e al 33,3% nei Comuni piccoli (sotto i 2mila abitanti). Inoltre, nei Comuni metropolitani è più elevata la percentuale di quanti si preoccupano dell’inquinamento dell’aria (53,9% rispetto al 49,9% dei Comuni medio grandi e al 41,0% dei piccoli Comuni), così come quella tra chi lamenta problemi legati all’inquinamento acustico (15,6% rispetto al 10,4% dei Comuni medio grandi e all’8,2% dei Comuni piccoli). Livelli di traffico elevati, quantità notevoli di rifiuti prodotti, maggiori difficoltà di organizzare adeguati sistemi di raccolta e smaltimento, sembrano condizionare la percezione di vita tra gli abitanti delle grandi città. Risiedere nei piccoli Comuni, aumenta, invece, la sensibilità rispetto al dissesto idrogeologico (25,9%, mentre nei Comuni dell’area metropolitana e in quelli medio grandi questa percentuale è del 23,9%). Preoccupazioni ambientali condizionate da età, genere e istruzioneL’età rappresenta un’importante determinante della variabilità delle preoccupazioni ambientali. I giovani fino a 24 anni sono più sensibili delle persone più adulte per quanto riguarda la perdita della biodiversità (il 31,9% tra i 14 e i 24 anni contro il 18,5% degli over55enni), la distruzione delle foreste (24,6% contro 18,4%) e l’esaurimento delle risorse naturali (29,2% contro 21,3%). Anche nel 2023, gli ultracinquantacinquenni si confermano più preoccupati dei giovani per il dissesto idrogeologico (29,8% contro 21,5% degli under25) e l’inquinamento del suolo (21,9% contro 18,3%). Le relazioni tra genere e ambiente sono importanti, sia perché i problemi ambientali possono avere effetti differenziati su uomini e donne, sia perché i diversi stili di vita di uomini e donne possono dare luogo a un diverso impatto ambientale. Da questo punto di vista risulta interessante l’analisi per genere tra i giovani, da cui emerge quanto risultino più preoccupate in percentuale le donne. Tra i giovani sotto i 24 anni, ad esempio, le ragazze sono preoccupate più spesso dei loro coetanei per i cambiamenti climatici (+5,8 punti percentuali), la perdita di biodiversità (+8,8 punti) e la distruzione delle foreste (+3,8 punti). La quota di cittadini che esprime preoccupazione per lo stato dell’ambiente cresce all’aumentare del titolo di studio. Nei confronti dei cambiamenti climatici si dichiara preoccupato il 63,9% dei laureati contro il 52,2% tra chi ha al massimo la licenza media. Analoghe differenze si presentano sia nei riguardi della produzione e dello smaltimento dei rifiuti (48,8% contro 35,2%) sia rispetto all’inquinamento delle acque (41,7% contro 35,1%).La difesa delle risorse naturali obiettivo dei comportamenti ecocompatibiliNel 2023 sale al 72,8% la quota di quanti fanno abitualmente attenzione a non sprecare energia (rispetto al 69,8% del 2022) mentre il 69,8% prestaattenzione a non sprecare l’acqua e il 50,0% a non adottare mai comportamenti di guida rumorosa al fine di limitare l’inquinamento acustico. Mostrano attenzione ai temi della sostenibilità ambientale anche il 35,8% della popolazione che legge le etichette degli ingredienti e il 23,5% che acquista prodotti a chilometro zero. Nel Nord si rileva una percentuale più elevata rispetto alla media nazionale di persone che hanno abitudini virtuose legate alla mobilità: il 52,5% fa attenzione a non adottare comportamenti di guida rumorosi (45,8% nel Mezzogiorno) e circa il 20,3% sceglie mezzi di trasporto alternativi all’auto privata o ad altri mezzi di trasporto a motore privati (16,0% nel Mezzogiorno). Nel Centro si nota una maggiore attenzione nel leggere le etichette dei prodotti (37,3% contro il 35% circa di Nord e Mezzogiorno). I residenti nel Mezzogiorno si distinguono invece per l’elevata frequenza di acquisto di alimenti e prodotti locali (28,8% contro 20,0% del Nord). Donne più virtuose nell’adottare comportamenti ecocompatibiliL’attenzione verso comportamenti ecocompatibili parrebbe, nei fatti, non essere caratteristica precipua dei giovani, per quanto essi si dichiarino almeno in teoria i più attenti su temi quali, ad esempio, la tutela della biodiversità, la distruzione delle foreste e l’esaurimento delle risorse naturali. Solo dopo i 25 anni di età iniziano a manifestarsi comportamenti decisamente più virtuosi. Oltre 20 punti percentuali si registrano tra gli over 55enni e i giovani sotto i 24 anni nel non sprecare l’acqua (il 53,0% delle persone tra i 14 e i 24 anni rispetto al 79,0% degli over 55), così come nel non sprecare energia (il 53,1% degli under 24 rispetto al 76,1% di coloro che hanno più di 55 anni). In compenso, i giovani sotto ai 24 anni sono sempre più propensi all’uso di mezzi di trasporto alternativi all’auto privata o ad altri mezzi di trasporto a motore privati, li sceglie abitualmente il 29,5% contro il 17,3% degli over55.Le donne sono mediamente più attente a mantenere comportamenti ecocompatibili. Le differenze più evidenti si colgono soprattutto sui comportamenti di acquisto: sussistono oltre 11 punti percentuali di differenza nelleggere abitualmente le etichette degli ingredienti (41,4% delle donne rispetto al 29,9% degli uomini); più bassa ma rilevante la differenza tra chi acquista come prassi alimenti o prodotti biologici (16,0% delle donne rispettoall’11,7% degli uomini) e prodotti a chilometri zero (25,6% rispetto a 21,4%). Le donne sono inoltre in media più accorte a non sprecare acqua (72,3% rispetto al 67,2%) ed energia (74,9% rispetto al 70,5%).Il titolo di studio posseduto si rivela una condizione determinante anche per l’analisi dei comportamenti ecocompatibili dei cittadini. Al crescere del livello di istruzione aumentano le quote di coloro che abitualmente li adottano. Tra i laureati e chi al massimo ha ottenuto la licenza media vi sono circa 20 punti percentuali di differenza nell’abitudine a leggere le etichette dei prodotti, 14 nell’acquistare prodotti biologici e quasi 8 nel preferire prodotti a chilometro zero. Una maggiore propensione delle persone con titolo di studio più elevato si rileva anche nell’attenzione a non sprecare acqua ed energia (circa 5 punti percentuali di differenza per entrambi gli indicatori). LEGGI TUTTO

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    BCE, Lagarde: stabilità dei prezzi è essenziale per transizione green

    (Teleborsa) – “Il mondo non si ferma mai e le banche centrali si trovano costantemente ad affrontare nuovi shock, nuovi rischi e cambiamenti nel contesto economico – che si tratti di inversioni di politica governativa, tensioni nel settore finanziario o interruzioni del commercio globale. Nella maggior parte dei casi, dobbiamo semplicemente considerare l’ambiente come un dato di fatto e adattare di conseguenza la nostra politica”. Lo ha affermato Christine Lagarde, presidente della Banca centrale europea (BCE), durante un evento a Parigi.Secondo Lagarde, “ci sono quattro fattori che rendono i rischi legati al clima e alla natura una sfida unica per le banche centrali – una sfida che richiede un diverso tipo di risposta”. Ha citato il fatto che rappresentano un nuovo tipo di rischio sistemico; l’irreversibilità dei loro impatti; gli impatti dei rischi legati al clima e alla natura si diffonderanno in tutta l’economia, influenzando i compiti delle banche centrali; questi rischi sono unici anche in quanto, a differenza, ad esempio, dei rischi geopolitici, le banche centrali possono contribuire a mitigarli.Parlando di cosa sta facendo la BCE, ha affermato: “Innanzitutto, manteniamo la stabilità dei prezzi, essenziale per la transizione verso un’economia circolare e a basse emissioni di carbonio”. “La transizione verde richiede investimenti sostanziali e una prospettiva di inflazione stabile offre alle aziende una maggiore visibilità sui costi di investimento, il che è particolarmente importante per i progetti verdi visti i loro orizzonti di pianificazione a lungo termine – ha sostenuto – Inoltre, la stabilità dei prezzi sostiene i segnali di prezzo relativo provenienti da politiche come la tariffazione del carbonio, migliorandone l’efficienza”.”I rischi legati al clima e alla natura sono unici e continueranno ad aumentare, e la loro importanza non potrà che aumentare nel tempo – ha detto Lagarde – Pertanto, nell’ambito del nostro mandato, la BCE continuerà ad analizzare i rischi climatici, a fornire consulenza alle parti interessate e, soprattutto, ad agire”. LEGGI TUTTO

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    BCE, Buch: possiamo adottare misure per costringere banche ad affrontare rischio climatico

    (Teleborsa) – “Quasi tutte le banche considerano i rischi climatici e ambientali come rischi finanziari rilevanti e adeguano passo dopo passo la propria gestione dei rischi”. Lo ha affermato Claudia Buch, presidente del consiglio di vigilanza della Banca centrale europea (BCE), a un evento a Berlino.”Questa è una buona notizia, ma c’è ancora molto lavoro da fare – ha aggiunto – Le banche devono, ad esempio, integrare ulteriormente i rischi legati al clima e all’ambiente nella pianificazione strategica e negli stress test. Se non soddisfano le nostre aspettative di vigilanza, possiamo adottare misure applicabili, ad esempio richiedendo una migliore gestione del rischio o un capitale più elevato”.”La supervisione e la regolamentazione bancaria non hanno obiettivi di politica climatica – ha sostenuto Buch – Ma stabiliscono il quadro entro il quale le banche devono misurare e valutare adeguatamente i rischi legati al clima e all’ambiente, e costruire la resilienza. Ciò crea trasparenza e stabilità in un momento in cui la crisi climatica richiede un’importante trasformazione delle economie europee”. LEGGI TUTTO

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    Cambiamento climatico: nel mondo danni per 200 miliardi di dollari l’anno

    (Teleborsa) – Inondazioni, cicloni tropicali, tempeste invernali in Europa e forti temporali, causano oggi perdite economiche globali stimate in 200 miliardi di dollari ogni anno. Ma, a causa del cambiamento climatico, le perdite economiche sono destinate ad aumentare. È quanto emerge dal nuovo rapporto dello Swiss Re Institute “Changing Climates: the heat is (still) on” che – sulla base dei risultati del Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPCC) – analizza i luoghi in cui è probabile che i pericoli si intensifichino e sovrappone le proprie stime delle perdite economiche derivanti dai quattro principali pericoli meteorologici. Ciò fornisce una visione delle possibili implicazioni economiche dirette nel caso in cui le catastrofi naturali legate alle condizioni meteorologiche si intensificassero a causa del cambiamento climatico.L’analisi di 36 paesi classifica le Filippine e gli Stati Uniti come i paesi economicamente più esposti oggi, dove è probabile che si verifichi un’intensificazione dei rischi a causa dei cambiamenti climatici. Con perdite economiche annuali pari al 3% del PIL, ad oggi, le Filippine sono il paese maggiormente colpito dai quattro pericoli meteorologici di tutti i 36 paesi, pur essendo esposte anche ad un’elevata probabilità di intensificazione dei rischi. Gli Stati Uniti sono i secondi più esposti: con un valore di 97 miliardi di dollari (0,38% del PIL) ad oggi, gli Usa registrano le maggiori perdite economiche in termini assoluti a causa di eventi meteorologici a livello mondiale e, allo stesso tempo, una probabilità media che i pericoli si intensifichino.In generale, i paesi con notevoli lacune nella protezione assicurativa e in cui l’adozione di misure di mitigazione e adattamento delle perdite ritarda rispetto al tasso di crescita economica, – rileva il rapporto – sono finanziariamente più a rischio a causa dell’intensificazione dei rischi. Secondo il rapporto, le economie asiatiche in rapida crescita come Thailandia, Cina, India e Filippine sono le più vulnerabili.L’Italia, tra il 2013 e il 2022, per i fenomeni metereologici legati al cambiamento climatico ha subito danni per 37 miliardi di dollari, di cui solo 5 erano assicurati. Dati che mostrano un “protection gap”, una assenza di protezione, pari all’87% dei casi. Nella classifica delle perdite in relazione al PIL l’Italia è 17esima, con una perdita stimata pari allo 0,11% (2,3 mld dollari). Nel 2023, in particolare, l’Italia è stato il Paese europeo più colpito da temporali e tempeste – come dimostrano l’alluvione dell’Emilia-Romagna e la grandine del Nord Italia – con perdite assicurate oltre i 3 miliardi di dollari, le più alte mai registrate nel nostro Paese. Gli Stati Uniti e le Filippine sono i paesi più colpiti. “Il cambiamento climatico – afferma Jérôme Jean Haegeli, economista capo del gruppo Swiss Re – sta portando a eventi meteorologici più gravi, con un conseguente impatto crescente sulle economie. Pertanto, diventa ancora più cruciale adottare misure di adattamento. La riduzione del rischio attraverso l’adattamento favorisce l’assicurabilità. Il settore assicurativo è pronto a svolgere un ruolo importante catalizzando gli investimenti nell’adattamento, direttamente come investitore a lungo termine e indirettamente attraverso la sottoscrizione di progetti a sostegno del clima e la condivisione della conoscenza dei rischi”.Mentre si prevede che il rischio di inondazioni si intensificherà a livello globale, il principale motore delle maggiori perdite economiche legate al clima negli Stati Uniti, così come nell’Asia orientale e sud-orientale, sono i cicloni tropicali. Oggi, in termini assoluti, le perdite economiche dovute agli eventi meteorologici negli Stati Uniti sono le più alte al mondo, principalmente a causa dei cicloni tropicali (uragani). Anche i forti temporali rappresentano una parte importante delle perdite economiche.Il primo passo verso la riduzione delle perdite – evidenzia il report – è ridurre il potenziale di perdita attraverso misure di adattamento. Esempi di azioni di adattamento includono l’applicazione delle norme edilizie, l’aumento della protezione dalle inondazioni, tenendo d’occhio gli insediamenti nelle aree soggette a pericoli naturali. In definitiva, le perdite in percentuale del PIL di ciascun paese dipenderanno dall’adattamento futuro, dalla riduzione delle perdite e dalla prevenzione. LEGGI TUTTO

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    Target climatico Ue, WWF: si può fare di più

    (Teleborsa) – La Commissione Ue indica nel 90% il target di riduzione delle emissioni nel 2040 e per il Wwf “si tratta di un passo importante” ma “è interesse di tutti raggiungere la neutralità climatica prima”. “Per limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi dobbiamo raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 su scala globale – osserva la ong – Considerando la responsabilità dell’Ue per le emissioni storiche, sarebbe più giusto non fermarsi al 90%, ma puntare a zero emissioni nette entro il 2040”.Come parte dell’obiettivo del 90%, la Commissione ha anche indicato come i settori dovrebbero contribuire agli sforzi per ridurre le emissioni, spiega il Wwf secondo cui “è evidente che non è prevista un’azione sufficiente sul fronte dell’uso del suolo, del cambiamento di uso del suolo e della silvicoltura, soprattutto attraverso il ripristino e la protezione degli ecosistemi naturali”.Tutti i settori, agricoltura inclusa, spiega l’associazione ambientalista, “dovranno ridurre le emissioni in modo significativo e occorre passare a diete più sane con livelli inferiori di consumo di carne e latticini.Per l’agricoltura, il paradosso è ancor più evidente: più si accelera la decarbonizzazione, maggiori possibilità ci sono di limitare i fenomeni estremi che hanno già messo in ginocchio le attività agricole in molte zone e addirittura in alcune regioni, come la Romagna in Italia e la Tessaglia in Grecia.Maggiori in particolare le possibilità di evitare che il clima si destabilizzi e l’agricoltura divenga molto, molto difficile”. Secondo il Wwf, “tutti i sussidi ai combustibili fossili dovrebbero essere eliminati immediatamente e le risorse liberate indirizzate per sostenere la transizione ecologica aiutando famiglie e imprese. Il quadro politico va rafforzato, cioè combinato con adeguate misure di politica sociale”. LEGGI TUTTO

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    INGV: stime aumento livello marino su coste al rialzo entro fine secolo

    (Teleborsa) – Le proiezioni di aumento del livello del mare, pubblicate nel 2021 dall’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) nel Report AR6, sarebbero sottostimate lungo le coste: è quanto emerge dalla ricerca “Sea level rise projections up to 2150 in the northern Mediterranean coasts”, pubblicata sulla rivista internazionale Environmental Research Letters da un team di ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) e del Radboud Radio Lab del Dipartimento di Astrofisica dell’Università di Radboud (Olanda). Marco Anzidei, ricercatore dell’INGV e co-autore dello studio spiega che “la subsidenza, cioè il lento movimento verso il basso del suolo dovuto a cause naturali o antropiche, ha un ruolo cruciale nell’accelerare l’aumento del livello del mare lungo le coste, innescato dal riscaldamento globale a partire dal 1880”. Antonio Vecchio, ricercatore della Radboud Universiteit Nijmegen e primo autore dello studio sottolinea che “Le nostre analisi mostrano che, proprio a causa della subsidenza, in alcune zone del Mediterraneo il livello del mare sta aumentando a una velocità quasi tripla rispetto alle zone stabili”.Intanto, un team di sismologi dell’Osservatorio Etneo dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv – Oe), osservando i dati provenienti dai terremoti lontani (ovvero quelli verificatisi a distanza di oltre 1000 km dal luogo di osservazione), ha ottenuto nuove informazioni sull’architettura del mantello superiore dell’Italia meridionale e, soprattutto, sulle possibili correlazioni tra faglie già note al livello della crosta terrestre e strutture profonde che interessano il mantello superiore.Nello studio “Seismic anisotropy to investigate lithospheric-scale tectonic structures and mantle dynamics in southern Italy” appena pubblicato sulla rivista Scientific Reports del gruppo Nature, i ricercatori hanno individuato l’esistenza di una discontinuità del mantello terrestre profonda fino a circa 150-200 km, che sembrerebbe essere all’origine di un importante sistema di faglie che si propaga attraverso l’intera Sicilia, dalla zona a sud dell’Etna, in direzione ovest-nord-ovest, fino alla costa settentrionale. LEGGI TUTTO

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    Clima, Legambiente: 2023 anno da bollino rosso

    (Teleborsa) – Il 2023 è stato un anno da bollino rosso per il clima, segnato da un trend in continua crescita degli eventi meteorologici estremi. In Italia quest’anno gli eventi estremi sono saliti a quota 378, segnando +22% rispetto al 2022, con danni miliardari ai territori e la morte di 31 persone. Il nord Italia, con 210 eventi meteorologici estremi, si conferma l’area più colpita della Penisola, seguita dal centro (98) e dal sud (70). In aumento soprattutto alluvioni ed esondazioni fluviali (+170% rispetto al 2022), le temperature record registrate nelle aree urbane (+150% rispetto ai casi del 2022), le frane da piogge intense (+64%); e poi le mareggiate (+44%), i danni da grandinate (+34,5%), e gli allagamenti (+12,4%). Eventi che hanno segnato un 2023 che ha visto anche l’alta quota in forte sofferenza con lo zero termico che ha raggiunto quota 5.328 metri sulle Alpi e con i ghiacciai in ritirata. A fare il bilancio di fine anno è l’Osservatorio Città Clima di Legambiente, realizzato insieme al Gruppo Unipol, che traccia un quadro complessivo di quanto accaduto in Italia in un 2023 in cui la crisi climatica ha accelerato il passo. LEGGI TUTTO

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    Clima, Coldiretti: nel 2023 da eventi estremi 6 miliardi di danni all’agricoltura

    (Teleborsa) – Il moltiplicarsi di eventi estremi lungo la Penisola hanno provocato nel corso del 2023 oltre 6 miliardi di danni all’agricoltura nazionale tra coltivazioni e infrastrutture con grandinate, trombe d’aria, bombe d’acqua, ondate di calore e tempeste di vento. È quanto afferma la Coldiretti nel commentare le rilevazioni dell’Osservatorio Città Clima di Legambiente che hanno evidenziato il verificarsi di ben 378 eventi estremi nel 2023, in aumento del 22% rispetto al 2022. L’anno che sta per finire – sottolinea la Coldiretti – è stato segnato in Italia prima da una grave siccità che ha compromesso le coltivazioni in campo e poi per alcuni mesi dal moltiplicarsi di eventi meteo estremi, precipitazioni abbondanti che si sono alternati al caldo torrido al quale ha fatto seguito un autunno mite ma con violenti nubifragi che hanno devastato città e campagne, per finire con un inizio inverno bollente che ha mandato in tilt la natura. LEGGI TUTTO