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    Ambiente, il valore economico della biodiversità

    (Teleborsa) – A partire dallo scorso febbraio la biodiversità – ovvero la varietà di specie animali e vegetali del nostro pianeta – è stata inserita nei principi fondamentali della nostra carta costituzionale, accanto alla tutela dell’ambiente e degli ecosistemi. Trent’anni fa a porre l’attenzione sul tema erano state le Nazioni Unite con l’adozione nel 1992 della Convenzione per la Diversità Biologica, entrata in vigore il 29 Dicembre 1993 e ratificata in Italia il 14 febbraio 1994 con la legge n.124. Si tratta di un trattato internazionale giuridicamente vincolante con tre principali obiettivi: conservazione della biodiversità, uso sostenibile della biodiversità, giusta ed equa ripartizione dei benefici derivanti dall’utilizzo delle risorse genetiche. La biodiversità è stata recentemente al centro della giornata mondiale istituita dall’Onu il 22 maggio – con, quest’anno, il tema “costruire un futuro condiviso per tutte le forme di vita sulla Terra” – proprio per commemorare l’adozione del testo della Convenzione. Negli ultimi anni la biodiversità sta scomparendo a un ritmo allarmante, principalmente a causa di attività umane come le modifiche nell’utilizzo del suolo, l’inquinamento e il cambiamento climatico. A seguito degli appelli del Parlamento europeo del gennaio 2020, la Commissione europea ha presentato la nuova strategia dell’UE sulla biodiversità per il 2030, per affrontare le principali cause di perdita di biodiversità e stabilire obiettivi giuridicamente vincolanti. Nel giugno 2021, durante la sessione Plenaria, il Parlamento ha adottato la sua posizione sulla “Strategia dell’UE sulla biodiversità per il 2030: riportare la natura nella nostra vita” volta ad assicurare che entro il 2050 tutti gli ecosistemi del mondo siano ripristinati, resilienti e adeguatamente protetti. Nonostante il nostro Paese sia stato condannato dalla Corte di Giustizia Ue per i livelli di inquinamento dell’aria, sul fronte degli investimenti per la salvaguardia della biodiversità – come emerge dal report annuale sullo stato di salute delle specie viventi, sui principali fattori di rischio e sulle strategie da adottare per far fronte alla perdita della diversità biologica di Legambiente – l’Italia è la prima in Europa, con oltre 1,7 miliardi di euro che hanno finanziato più di 970 progetti per la protezione della natura di cui circa 850 milioni stanziati dalla Commissione europea a titolo di cofinanziamento. Dal 1992 ad oggi, grazie al programma Life, nato 30 anni fa insieme alla direttiva Habitat per raggiungere gli obiettivi della legislazione e delle politiche Ue in materia di ambiente e clima, – evidenzia Legambiente – sono stati cofinanziati in Europa oltre 5mila progetti che hanno mobilitato 12 miliardi di euro di investimenti di cui 5,6 miliardi stanziati dalla Commissione europea a titolo di cofinanziamento. Nel dettaglio tra le specie al centro dei progetti Life che hanno avuto successo in Italia troviamo il grillaio, il tritone crestato, la falena dell’edera, le orchidee spontanee, i fiori appenninici e la tartaruga Caretta caretta.Come emerge da diversi studi la perdita della biodiversità ha un impatto notevole sulle nostre vite, oltre che dal punto di vista ambientale, anche dal punto di vista economico. “La salute umana e la salute degli ecosistemi sono inestricabilmente collegate e l’uomo è il principale fruitore – ha spiegato Laura Mancini, dirigente Laboratorio Ecosistemi e Salute, Dipartimento Ambiente e Salute, Istituto Superiore di Sanità in occasione della conferenza internazionale “Nature in Mind” –. Gli ambienti alterati causano poco meno di 1 su 4 decessi a livello globale. Ecosistemi sani ci mantengono in salute e forniscono numerosi servizi dall’acqua, al cibo, all’aria pulita. Sono una risorsa per le medicine tradizionali e offrono opportunità per la scoperta di altre molecole. Gli ecosistemi sani mitigano gli eventi estremi e le catastrofi naturali, possono svolgere un ruolo di regolazione nella trasmissione degli agenti infettivi. Gli ecosistemi e la biodiversità hanno un valore sia un valore intrinseco che un valore per le nostre economie. Tuttavia – sottolinea Mancini – non tutto il valore della biodiversità si riflette nel PIL: vi sono significativi vantaggi non di mercato, tra cui attività ricreative, purificazione dell’acqua e sequestro del carbonio, che non sono pienamente valutati. Gli scenari futuri prevedono che un aumento della popolazione mondiale a 8 miliardi entro il 2030 potrebbe comportare gravi carenze di cibo, acqua ed energia con, di conseguenza, possibili forti ripercussioni sulla salute e sulla disponibilità di risorse. I danni ambientali evitabili e la perdita di biodiversità minacciano la salute della popolazione. La perdita dei servizi forniti dagli ecosistemi naturali comporterà la necessità di trovare alternative dispendiose. Gli investimenti nel nostro capitale naturale – conclude Mancini – consentiranno di risparmiare nel lungo periodo e per questo sono essenziali per il nostro benessere e per la sopravvivenza a lungo termine”. Ma quanto vale in numeri la biodiversità? Calcolare il valore economico della biodiversità non è semplice ma secondo il rapporto Dead planet, living planet pubblicato nel 2010 dall’Unep (il programma delle Nazioni Unite per l’ambiente) si può stimare in 72mila miliardi di dollari all’anno il valore dei servizi che la biodiversità e gli ecosistemi forniscono agli esseri umani. LEGGI TUTTO

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    Iren Ambiente, siglato memorandum d'intesa con McDonald's per progetto pilota di Sostenibilità Ambientale

    (Teleborsa) – McDonald’s e Iren Ambiente, società del Gruppo Iren, lanciano un Progetto Pilota di Sostenibilità Ambientale, attraverso un Memorandum d’intesa che vede il coinvolgimento di 28 ristoranti tra Piemonte, Emilia-Romagna e Liguria. In particolare, le due aziende – spiega una nota congiunta – si impegnano a collaborare per incrementare e migliorare la raccolta differenziata partendo da un monitoraggio dei flussi di rifiuti prodotti dai ristoranti protagonisti del Progetto. L’accordo, inoltre, prevede lo sviluppo di attività di comunicazione ambientale per formare il personale e sensibilizzare anche i consumatori ai temi della riduzione dei rifiuti, del loro corretto conferimento e dell’economia circolare. Il progetto, che durerà un anno, sarà declinato nei ristoranti McDonald’s presenti nelle province di Torino (13), Reggio Emilia (4), Parma (4), Piacenza (3), La Spezia (3) e Vercelli (1). I temi al centro dell’accordo – formazione, prevenzione e corretta gestione dei rifiuti – si inseriscono nel percorso verso la transizione ecologica intrapreso daMcDonald’s che ha già visto l’eliminazione della plastica monouso in favore di materiali più sostenibili, l’installazione di contenitori per la raccolta differenziata nelle sale e nei dehors, la collaborazione con Comieco per lo sviluppo di un nuovo sistema per garantire la riciclabilità del packaging in carta. Temi e obiettivi condivisi dal Gruppo Iren, impegnato anch’esso – si legge nella nota – in un percorso di transizione ecologica, attraverso una progressiva decarbonizzazione delle proprie attività, e teso a rafforzare la leadership dell’azienda nell’economia circolare e nell’utilizzo sostenibile delle risorse, con un’attenzione particolare alla valorizzazione delle materie di recupero. “L’accordo con Iren rappresenta per noi un ulteriore importante tassello nella collaborazione con le comunità locali, dove da diverso tempo operiamo per sensibilizzare e promuovere comportamenti corretti nell’ambito della sostenibilità ambientale” – commenta Dario Baroni, ad di McDonald’s Italia –. In qualità di una delle catene di ristorazione più diffuse in Italia, abbiamo la responsabilità e l’opportunità di fare la differenza proprio a partire dai nostri ristoranti, dando un contributo concreto e quotidiano in tema di impatto ambientale. Poter contare anche sull’appoggio e il sostegno di enti locali, grazie alla collaborazione con Iren, è per noi estremamente prezioso e utile ad avvicinarci ancora di più al singolo territorio, rispondendo alle sue esigenze specifiche”. “Questa partnership ci consente di mettere a fattor comune le best practice che abbiamo sviluppato nel ciclo integrato dei rifiuti e nel campo dell’educazione ambientale, a fianco di una realtà importante come McDonald’s – dichiara Eugenio Bertolini, amministratore delegato di Iren Ambiente –. Un progetto che abbiamo voluto calare nei territori in cui siamo maggiormente presenti, con l’obiettivo di accompagnarli, anche attraverso questa iniziativa di valore, verso una crescita sempre più sostenibile e attenta ai temi ambientali”. LEGGI TUTTO

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    Inquinamento atmosferico, ENEA in studio internazionale su benefici misure anti-Covid in Europa

    (Teleborsa) – Alcune misure anti-Covid adottate all’inizio della pandemia – quali lockdown e restrizioni alla circolazione – hanno portato a un drastico calo dell’inquinamento atmosferico con conseguenti benefici anche per la salute. È quanto evidenzia uno studio internazionale sull’andamento della qualità dell’aria in 47 città europee, tra cui Roma, Milano, Parigi, Londra e Barcellona, pubblicato su Nature e realizzato da numerose istituzioni di ricerca, tra cui Enea. Dall’indagine – spiega Enea in una nota – emerge, in particolare, che il forte calo dei livelli di inquinamento atmosferico nel periodo monitorato (febbraio–luglio 2020) è dovuto principalmente alla limitazione degli spostamenti quotidiani in città e all’obbligo di permanenza nelle abitazioni, mentre minor impatto hanno avuto le restrizioni alla circolazione tra le regioni e ai viaggi internazionali. L’inquinante che ha subito la riduzione maggiore è il biossido di azoto (NO2), più che dimezzato in sette città (Milano, Torino, Roma, Madrid, Lisbona, Lione e Parigi). “Il calo è dovuto soprattutto al divieto della circolazione e del trasporto su strada, che rappresenta la principale fonte di emissioni di questo inquinante. Le concentrazioni di biossido di azoto – spiega Mario Adani, ricercatore Enea del Laboratorio Inquinamento Atmosferico e coautore dello studio – hanno iniziato a precipitare fin dalla prima metà di marzo 2020, quando i governi hanno imposto le prime restrizioni; le differenze tra le città possono essere correlate solo ai diversi tempi di attuazione delle politiche di blocco e alle variazioni nella severità delle misure”. Milano, ad esempio, ha fatto registrare per prima un calo dell’inquinamento da NO2, con concentrazioni ridotte al minimo intorno a metà marzo. “Milano e la Pianura Padana hanno i livelli di inquinamento tra i più alti d’Europa e quindi il calo di concentrazioni dovuto al lockdown – aggiunge Adani – è stato forte così come la riduzione di mortalità prematura”. Londra, invece, ha avuto una diminuzione sensibile solo nella seconda metà di marzo, mentre Stoccolma ha registrato un calo inferiore a causa soprattutto di politiche meno rigorose. Ma, dopo il forte calo nei mesi di marzo e di aprile, tutte le città hanno fatto registrare un’attenuazione nelle variazioni di NO2 e di particolato (PM), pur mantenendo livelli inferiori rispetto allo scenario business as usual, ossia in assenza di qualsiasi intervento.Rispetto al forte calo dell’inquinamento da biossido di azoto, lo studio evidenzia una riduzione più modesta dei livelli di PM10 e il PM2.5 mentre in alcune città, le polveri sottili hanno fatto registrare persino un leggero aumento. Le cause sono da ricercare principalmente nella complessità della composizione del particolato, che comprende anche componenti naturali e secondarie prodotte in atmosfera che non diminuiscono proporzionalmente al calo del precursore NO2. Inoltre, la maggiore permanenza delle persone in casa ha portato ad un maggior utilizzo del riscaldamento, in particolare di dispositivi alimentati a legna. Lo studio ha quantificato anche il numero di morti premature evitate a seguito della riduzione dell’inquinamento per effetto delle misure adottate dai governi Ue contro la pandemia. Da febbraio a luglio 2020 il numero totale di decessi evitati è stato pari a 486 per il biossido di azoto (NO2), 37 per l’ozono (O3), 175 per il PM2.5 e 134 per il PM10; in particolare, Milano, Parigi, Londra e Barcellona sono state tra le prime città con il maggior numero di decessi evitati da biossido di azoto (NO2) e polveri sottili. E per l’Italia, lo studio ha quantificato le morti evitate a Milano, Napoli, Roma e Torino, per ciascuno degli inquinanti analizzati. Ad esempio, a Roma sono stati evitati 18 decessi da NO2, 6 da O3, 7 da PM10 e 5 da PM2.5. “La risposta dei governi per frenare la diffusione della pandemia – afferma Antonio Piersanti, responsabile del Laboratorio Inquinamento Atmosferico di Enea – ha offerto un caso di studio senza precedenti per valutare quantitativamente una serie di interventi di riduzione, drastica e nel breve termine, delle emissioni antropiche, intervenendo in diversi settori, dai trasporti su strada alla produzione di energia, dall’industria manifatturiera ai servizi commerciali e pubblici fino ai settori aereo e marittimo. Questa è un’importante indicazione per le amministrazioni italiane rispetto alla gestione degli episodi critici di inquinamento atmosferico, in particolare da polveri sottili, che permangono stabili, anche con forti limitazioni delle emissioni, nei giorni successivi ai picchi di inquinamento”. Per simulare le concentrazioni di inquinamento dell’aria nelle città campione è stato messo in campo un insieme di sei modelli di chimica e trasporto degli inquinanti in atmosfera, tra cui MINNI di Enea, che effettuano ogni giorno la previsione della qualità dell’aria per l’Unione europea all’interno del programma “Copernicus Atmosphere Monitoring Service” (CAMS), uno dei sei servizi del programma Ue Copernicus che forniscono informazione su inquinamento atmosferico, salute, gas a effetto serra e clima basati su dati acquisiti e integrati da satelliti, in situ e modellistici. LEGGI TUTTO

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    Tutela Ambiente in Costituzione. Cingolani: “Giornata epocale”

    (Teleborsa) – Passa la proposta di legge che punta ad inserire i temi della tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi nella Costituzione. L’Aula della Camera l’ha definitivamente approvata con 468 voti a favore, 1 contrario e 6 astenuti. Il Senato aveva già detto sì con una maggioranza dei due terzi e quindi la modifica entra subito in vigore e non potrà essere sottoposta a referendum.La proposta di legge costituzionale modifica due articoli della Carta costituzionale: l’articolo 9 introduce il valore di tutelare la “casa” in cui viviamo e sancisce il diritto ad un ambiente salubre; l’articolo 41 che subordina la libertà dell’iniziativa economica privata all’obbligo di non danneggiare e non essere a detrimento della salute e dell’ambiente.Il Ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani ha parlato di una “giornata epocale”, dicendosi “contento come cittadino” ed affermando come Ministro “ho sostenuto con grande convinzione questa conquista, ma devo dare atto che è il frutto di un lavoro che viene da lontano e ringrazio il Parlamento”.. “Stimano facendo uno sforzo enorme sul PNRR. La transizione ecologica è un po’ questo – ha aggiunto – riuscire a fare una grande trasformazione che deceleri il riscaldamento, che freni certi eventi avversi a livello meteorologico, mantenendo la sostenibilità sociale”. Grande soddisfazione è stata espressa dai Verdi in Parlamento – Angelo Bonelli, Elisa Siragusa, Paolo Nicolò Romano, Devis Dori e Cristian Romaniello – i quali hanno ricordato “dalla fine degli anni ’90 i Verdi si sono battuti con appositi disegni di legge costituzionali per raggiungere questo obiettivo. Ora ci auguriamo che con questa modifica costituzionale ci sia un cambio di passo nelle politiche ambientali nel nostro Paese”. LEGGI TUTTO

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    Antartide, ENEA: “Dalle nubi polari nuove informazioni sul clima”

    (Teleborsa) – Studiare le variazioni del clima attraverso le nubi polari. È la nuova possibilità che si apre da quest’anno per i ricercatori dell’Osservatorio meteo-climatologico Enea in Antartide grazie a uno strumento altamente innovativo che consente di monitorare la copertura nuvolosa del cielo e misurare l’altezza degli strati nuvolosi. Si tratta – spiega Enea in una nota – di un un celiometro CL61 di ultima generazione appena installato presso la base Mario Zucchelli dai tecnici e ricercatori impegnati nella 37a spedizione del Programma nazionale di ricerche in Antartide (PNRA).L’Osservatorio antartico dell’Enea – sottolinea la nota – è uno dei primi a livello internazionale a poter utilizzare questo nuovissimo strumento, grazie a uno specifico accordo di collaborazione scientifica con l’azienda produttrice finlandese Vaisala, che prevede anche la condivisione dei dati acquisiti nella campagna e la successiva comparazione con quelli prodotti dal precedente modello. Il celiometro è un dispositivo composto da un emettitore laser e un ricevitore: il fascio laser emesso verso l’alto viene diffuso verso il basso con intensità differenti a seconda del tipo e quantità di particelle presenti nei vari strati dell’atmosfera, la luce diffusa viene catturata dal ricevitore permettendo di misurare l’altezza della nube. Rispetto ai precedenti modelli già in uso nella base italiana e in quella italo-francese di Concordia, il nuovo dispositivo permetterà di raccogliere informazioni anche sulla fase, liquida o solida, delle particelle di acqua che compongono le nubi presenti lungo il profilo verticale, fino a 10 km circa dalla superficie terrestre.”Il celiometro è uno strumento completamente automatico e necessita di pochissima manutenzione. Con l’aggiunta di queste nuove funzionalità – spiega Paolo Grigioni, ricercatore Enea del Laboratorio di Osservazioni e Misure per l’ambiente e il clima, coordinatore dell’Osservatorio in Antartide – sarà possibile effettuare un monitoraggio dell’atmosfera qualitativo, su lungo periodo, con una frequenza di campionamento molto alta e con costi relativamente bassi, contribuendo in maniera significativa alla comprensione della tipologia di nubi e del loro conseguente impatto sul clima antartico”.Negli ultimi 10 anni, l’Osservatorio ha ampliato i parametri misurati dando particolare rilevanza all’osservazione e caratterizzazione sia delle nubi che delle precipitazioni, grazie anche all’installazione di differenti tipi di pluviometri. “La comprensione del clima e dei suoi cambiamenti legati all’influenza antropica – ha proseguito Grigioni – rappresenta una delle necessità più impellenti della nostra società ed è essenziale per poter applicare protocolli e politiche adatte alla mitigazione degli effetti, potenzialmente devastanti, che questi cambiamenti possono apportare alla società e all’ambiente. Il continente antartico con la sua calotta polare rappresenta la maggiore riserva di acqua dolce del pianeta ed è una delle componenti fondamentali del sistema terra. Grazie al suo isolamento e alle sue particolarissime condizioni, l’Antartide rappresenta un laboratorio naturale eccezionale per lo studio dell’atmosfera”.Finanziate dal ministero dell’Università e Ricerca (MUR) nell’ambito del Programma Nazionale di Ricerche in Antartide (PNRA), le spedizioni antartiche italiane sono gestite dall’Eneaper la pianificazione e l’organizzazione logistica e dal Consiglio Nazionale Delle Ricerche (Cnr) per la programmazione e il coordinamento scientifico. LEGGI TUTTO

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    Transizione green, 15 milioni di nuovi posti di lavoro entro il 2050

    (Teleborsa) – La transizione verso un futuro a emissioni zero, se ben gestita, potrebbe portare alla creazione di circa 200 milioni di nuovi posti di lavoro diretti e indiretti entro il 2050, ma al tempo stesso alla perdita e alla riqualificazione di 185 milioni di posizioni, per un saldo netto positivo di 15 milioni di nuovi posti di lavoro. Lo sostiene il nuovo report di McKinsey dal titolo “The net-zero transition: What it would cost, what it could bring”. “Una transizione ordinata non solo scongiurerebbe gli effetti più gravi del cambiamento climatico, ma porterebbe con sé considerevoli benefici. Per esempio, risulterebbe non solo in minori costi dell’energia, ma anche in una più attenta conservazione del capitale naturale e in migliori condizioni di salute per la popolazione mondiale”, afferma Marco Piccitto, senior partner McKinsey e director del McKinsey Global Institute.In particolare, la transizione green potrebbe comportare un aumento della domanda di circa 162 milioni di posti di lavoro diretti e indiretti e una diminuzione della domanda di circa 152 milioni di posti di lavoro diretti e indiretti entro il 2050 in diversi settori dell’economia. Inoltre, si potrebbero ottenere circa 41 milioni di posti di lavoro e perderne 35 milioni per quanto riguarda la spesa per beni materiali necessari alla transizione verso il net-zero. Lo studio di McKinsey considera sono i posti di lavoro direttamente attribuibili alla transizione e non altri fattori come il reddito o la crescita della popolazione.I settori in caloI guadagni di posti di lavoro sarebbero in gran parte associati al passaggio a forme di produzione a basse emissioni, ad esempio le energie rinnovabili, mentre le perdite riguarderebbero in particolare i lavoratori nei settori ad alta intensità di combustibili fossili o comunque ad alta intensità di emissioni, sostiene lo studio. La domanda di operazioni dirette e lavori di manutenzione nel settore dell’estrazione e produzione di combustibili fossili e nel settore energetico basato sui combustibili fossili potrebbe essere inferiore rispettivamente di circa 9 milioni e circa 4 milioni di posti di lavoro, equivalenti a circa 70% e il 60% della forza lavoro odierna in quei rispettivi settori.Anche i posti di lavoro nei settori agricolo e alimentare potrebbero essere riassegnati poiché la domanda di proteine ??animali è interessata da una transizione verso il zet-zero. Entro il 2050 potrebbero andare persi circa 34 milioni di posti di lavoro diretti, principalmente nel settore del bestiame e dei mangimi, di cui 19 milioni nell’allevamento di ruminanti . Questi potrebbero essere parzialmente compensati da un aumento di 12 milioni di posti di lavoro diretti, inclusi ad esempio 10 milioni nell’allevamento di pollame.I settori in crescitaI settori a basse emissioni, al contrario, vedrebbero probabilmente guadagni di posti di lavoro. Ad esempio, il settore delle energie rinnovabili potrebbe vedere un aumento della domanda di circa 6 milioni entro il 2050. I guadagni di posti di lavoro potrebbero verificarsi anche a seguito di esborsi di capitale, in particolare durante i primi anni della transizione. Nel settore edile, manifatturiero e in altri settori associati alla costruzione di risorse fisiche a basse emissioni, l’aumento netto di posti di lavoro potrebbe raggiungere i 37 milioni circa entro il 2030 e potrebbe ancora essere di circa 5 milioni entro il 2050.Gli investimenti necessariIl capitale investito in asset fisici dovrebbe ammontare a circa 275 trilioni di dollari, pari al 7,5% del PIL globale, entro il 2050 – circa 9,2 trilioni di dollari l’anno – che corrisponde a un aumento di 3,5 trilioni di dollari rispetto all’attuale livello di spesa annuale, come conseguenza del passaggio dalle attività ad alte emissioni a quelle a emissioni ridotte. Per esempio, oggi il 65% della spesa per l’energia e l’utilizzo del suolo è destinata a prodotti ad alte emissioni; in futuro, il 70% sarà orientato verso prodotti a basse emissioni e le relative infrastrutture, invertendo così la tendenza attuale. LEGGI TUTTO

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    Ambiente, ENEA: “Lampedusa sentinella d'Europa per monitoraggio carbonio in atmosfera e mare”

    (Teleborsa) – A 30 anni dalla sua nascita, la stazione Enea di Osservazioni Climatiche dell’isola di Lampedusa diventa il primo sito “sentinella” in Europa per il monitoraggio integrato del ciclo del carbonio in atmosfera e in mare, nell’ambito della rete di ricerca europea ICOS alla quale partecipano centinaia di scienziati e ricercatori che operano in oltre 150 stazioni di 13 Paesi. Nelle acque dell’isola siciliana, – fa sapere l’Enea in una nota – sono stati infatti installati nuovi strumenti hi-tech che raccolgono informazioni e dati strategici sulla concentrazione della CO2 e sugli scambi tra atmosfera e oceano che vengono resi disponibili a oltre 200 organizzazioni scientifiche. L’istallazione è stata realizzata nell’ambito del progetto PRO-ICOS-MED, coordinato dal Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) in collaborazione con Enea e CREA e finanziato con oltre 13 milioni di euro dal ministero dell’Università e della Ricerca.”Il Mediterraneo è tra le are più soggette al cambiamento climatico in atto e l’isola di Lampedusa, con le sue dimensioni ridotte e la sua orografia, è considerata un luogo ideale per osservare l’atmosfera lontano dall’influenza diretta delle attività umane e da particolari condizioni atmosferiche – spiega Francesco Monteleone del Laboratorio Enea di Osservazioni e Misure per l’Ambiente e il Clima e responsabile scientifico del progetto –. I nuovi strumenti si affiancano all’insieme di servizi e infrastrutture della Stazione, dove da anni vengono condotti progetti di ricerca e campagne di misura, nel contesto di collaborazioni a livello nazionale, europeo e internazionale”. “Nell’ambito del Progetto ICOS è inoltre in fase di realizzazione un sito ecosistemico che permetterà di quantificare gli scambi di CO2 tra atmosfera e macchia mediterranea: l’obiettivo è di fare di Lampedusa un osservatorio unico della rete ICOS, in grado di fornire informazioni integrate sui comparti marino, terrestre e atmosferico, e un quadro complessivo del ciclo del carbonio in un regione particolarmente critica del Mediterraneo – sottolinea Giandomenico Pace, responsabile del Laboratorio Enea di Osservazioni e Misure per l’Ambiente e il Clima –. Lampedusa è in grado di offrire alla comunità scientifica informazioni integrate sull’evoluzione e sugli scambi di CO2 tra i differenti comparti, fondamentali per comprendere cause ed effetti del cambiamento climatico. Grazie alla lungimiranza nel realizzare delle infrastrutture stabili, all’impegno dei ricercatori, al supporto di Enea, la Stazione è diventata un vero e proprio faro nel Mediterraneo e il potenziamento in corso ne ha rafforzato il ruolo strategico a livello internazionale”.Nello specifico – spiega la nota – sono stati installati sistemi innovativi per misurare la pressione di CO2, sensori per la rilevazione di pH, radiazione, clorofilla e materia organica disciolta, temperatura, pressione, conducibilità e ossigeno, per il controllo in continuo degli scambi con l’atmosfera. Parallelamente, in collaborazione con l’Area Marina Protetta delle Isole Pelagie, il Comune di Lampedusa e l’Università di Firenze, è stato installato su una boa costiera dell’Area Marina Protetta delle Isole Pelagie, un sistema per il monitoraggio in continuo dell’ambiente e degli ecosistemi marini costieri, con un focus anche su indicatori essenziali come la Posidonia oceanica, che svolge un ruolo chiave nella mitigazione al cambiamento climatico. Questa attività è finanziata dal progetto ES PA (Energia e Sostenibilità per la Pubblica Amministrazione Pon Governance 2014-2020), che supporta le PA regionali e locali sui temi dell’energia e della sostenibilità. LEGGI TUTTO

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    Ambiente, ENEA: “Nuovo record per riscaldamento oceani, è allarme anche per il Mediterraneo”

    (Teleborsa) – Nel 2021 le temperature dell’Oceano hanno segnato un nuovo record, raggiungendo i valori più caldi mai misurati per il sesto anno consecutivo. Ancor più allarmante è la situazione del Mediterraneo che si conferma il bacino che si scalda più velocemente. A lanciare l’allarme sul fronte del cambiamento climatico è uno studio, dal titolo “Another record: Ocean warming continues through 2021 Despite La Niña Conditions” pubblicato sulla rivista Advances in Atmospheric Sciences. Firmato da un team internazionale di 23 ricercatori di 14 istituzioni – tra i quali Simona Simoncelli dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv) e Franco Reseghetti di Enea –, lo studio è stato realizzato utilizzando i dati disponibili al 31 dicembre 2021, ma contiene anche una revisione degli anni precedenti, sulla base delle nuove conoscenze acquisite nel frattempo.I ricercatori evidenziano che la variazione del contenuto termico degli oceani nel 2021 è equivalente all’energia che si otterrebbe facendo esplodere 7 bombe atomiche ogni secondo per tutta la durata dell’anno. E il nuovo record, avvertono, è stato toccato nonostante nel 2021 si sia manifestato il fenomeno conosciuto come “La Niña” che ha contribuito a limitare il riscaldamento nell’oceano Pacifico. Per il Mediterraneo, ai dati risultati allarmanti illustrati nello studio, si affiancano – sottolinea l’Enea in una nota – quelli del monitoraggio della temperatura nei mari Ligure e Tirreno, ripreso nel 2021, nell’ambito del progetto MACMAP dell’Ingv, cui partecipa Enea. Dal 1999, sfruttando navi commerciali che percorrono la rotta tra Genova e Palermo, sono stati acquisiti dati di temperatura che hanno consentito di analizzare le variazioni termiche nel tempo. Partner fondamentale di questa attività è la compagnia di navigazione italiana GNV (Grandi Navi Veloci) dalle cui navi vengono lanciate le sonde che misurano la temperatura.”È molto importante sottolineare che l’Oceano assorbe poco meno di un terzo della CO2 emessa dall’uomo, ma il riscaldamento delle acque riduce l’efficienza di questo processo, lasciandone una percentuale maggiore in atmosfera. Il monitoraggio e la comprensione di come evolvono nelle acque oceaniche la componente termica e quella legata alla CO2, sia individualmente che in sinergia, sono molto importanti per giungere ad un piano di mitigazione che rispetti gli obbiettivi approvati per limitare gli effetti del cambiamento climatico – sottolinea Simoncelli –. Ad esempio, in conseguenza del riscaldamento delle acque degli oceani (tralasciando l’apporto dell’acqua di fusione dei ghiacciai), sta aumentando il volume e quindi il livello del mare con ripercussioni drammatiche per gli atolli del Pacifico e stati insulari come le isole Maldive ma anche per le nostre aree costiere. Inoltre, acque degli oceani sempre più calde creano le condizioni per tempeste e uragani sempre più violenti e numerosi, abbinati a periodi di caldo esasperato in zone sempre più estese. E, tutto questo, senza considerare gli effetti biologici: l’acqua più calda è meno ricca in ossigeno influisce sulla catena alimentare, così come acqua con acidità più elevata ha effetti anche pesanti sulle forme viventi”.”Durante l’ultima campagna di rilevamento dati, a metà dicembre 2021, sono rimasto prima sconcertato e poi sempre più sconfortato dai dati che comparivano sul monitor del sistema di acquisizione – afferma Reseghetti –. Nel mar Tirreno trovavo l’isoterma T = 14°C quasi sempre sotto i 700 m, talvolta anche intorno a 800 m, valori di profondità che mi hanno sorpreso. In pratica ha iniziato a scaldarsi in modo evidente anche una zona più profonda rispetto al passato. Ho ricontrollato a lungo questi dati di dicembre con Simona Simoncelli, cercando conferme anche in dataset ottenuti da altri strumenti di misura nella medesima area e nel medesimo periodo. Ma purtroppo i nostri risultati erano in buon accordo con gli altri e l’unica conclusione è stata: c’è un nuovo record (anche se ne avremmo fatto volentieri a meno). Questa acqua calda ha iniziato ad ‘invadere’ il Tirreno da sud, partendo dalle isole Egadi e la costa nord-ovest della Sicilia, e ha proseguito verso nord, interessando una zona di mare sempre più ampia e a profondità crescenti. Purtroppo – continua il ricercatore Enea – per il 2022 non siamo in grado di fornire previsioni, anche se la strada intrapresa negli ultimi anni dal mar Mediterraneo sembra abbastanza chiara con valori sempre crescenti di energia presente nelle sue acque che rimane a disposizione per l’interazione con l’atmosfera dando sempre più spesso origine ad episodi meteo estremi come ondate di calore e violenti fenomeni precipitativi sconosciuti in precedenza in queste zone. Il 2021 è stato un manifesto di tutto questo: il caldo in Sicilia ad agosto, la pioggia in Liguria, i ‘medicanes’, gli uragani del Mediterraneo a fine novembre ancora in Sicilia, solo per fare un esempio”. Più nel dettaglio, le serie temporali delle temperature nel Mediterraneo mostrano aumenti più intensi rispetto a quelli osservati alle medesime profondità intermedie in altre zone dell’oceano globale. “Dalla primavera 2013, constatiamo un riscaldamento progressivo nello strato tra 150 e 450 m di profondità (ma i valori di temperatura sono in aumento anche a profondità maggiori), con una crescita ancora più evidente tra il 2014 e il 2017, seguita da un leggero calo nel 2018-2019 e una risalita ulteriore nel 2021 – sottolinea Simoncelli –. Per i mari Tirreno e Ligure, nel periodo 1999-2021 la variazione di temperatura è stata pari a 0.028°C/anno, coerente con quanto registrato nel Canale di Sicilia dalla strumentazione CNR che acquisisce valori dal 1993. Nei loro dati l’aumento della temperatura è stimato in 0.026°C/anno su tutto il periodo, ma con una crescita di 0.034°C/anno dopo il 2011. Nei nostri dati complessivamente la variazione media della temperatura nello strato 150-450 m è di circa 0.6°C (passando da 13.8°C a 14.4°C)”.”Questo ulteriore riscaldamento, che può essere visto come indicatore del perdurare del cambiamento climatico, è arrivato, per ironia della sorte, al termine del primo anno del “Decennio del Mare”, l’iniziativa indetta dalle Nazioni Unite per mobilitare tutti i settori della società civile e promuovere un cambiamento radicale nel modo in cui studiamo e gestiamo l’oceano, per uno sviluppo realmente sostenibile che – concludono Simoncelli e Reseghetti – preservi un buono stato ambientale dell’ecosistema e di tutte le risorse che l’oceano ci fornisce”. LEGGI TUTTO