(Teleborsa) – Nel 2020 i principali indicatori di pressione dei conti ambientali si riducono dall’anno precedente in misura analoga alla caduta del PIL (-9% in volume). Il consumo netto di energia si attesta a 6,5 milioni di terajoule (-8,8%), le emissioni climalteranti a 392 milioni di tonnellate (Mt) di CO2 equivalente (-10,2%); il consumo materiale interno a 459 Mt (-7,7%). Più marcata la riduzione del gettito delle imposte ambientali che scendono a 50,4 miliardi di euro (-13,5%). Nello stesso anno diminuisce il valore dei beni e servizi che l’economia produce per la tutela ambientale, che scende a 104 miliardi (-3,6%) mentre la spesa per la protezione dell’ambiente rimane stabile a 43 miliardi.I consumi energetici delle famiglie calano del 9,5% rispetto al 2019; -21% i consumi energetici per il trasporto delle famiglie. Aumenta del 2,7% il numero delle famiglie che nel 2018 effettuano la raccolta differenziata della plastica e del 2,2% il numero di quelle che raccolgono in modo differenziata la carta. +4,0% Aumentano del 4,0% nel 2018 le famiglie servite dal servizio di raccolta dei rifiuti “porta a porta” e un quarto delle famiglie si dichiarano “molto soddisfatte” di tale servizio di raccolta. Il valore aggiunto dei beni e servizi ambientali cala del 3,0%. L’incidenza complessiva sul PIL passa dal 2,3% al 2,5 %. Queste le principali evidenze che emergono dal Report “Economia e Ambiente” dell’Istat relativo agli anni 2018-2020.Effetto della crisi pandemica la riduzione di pressioni e fiscalità ambientale – Nel 2020 i principali indicatori delle pressioni derivati dai conti satellite ambientali sono diminuiti, dal 2019, con ordini di grandezza paragonabili a quelli della contrazione dell’attività produttiva (misurata da una riduzione in volume del PIL del 9%). La dinamica del consumo di energia delle unità residenti, in calo dell’8,8% per effetto soprattutto della riduzione dei consumi delle attività produttive, è risultata in linea con la contrazione del PIL. È invece risultata più accentuata la riduzione delle emissioni di gas climalteranti in atmosfera da attività produttive e famiglie italiane (-10,2%). Diminuisce in misura più contenuta il consumo materiale interno (-7,7% circa) con il conseguente incremento dell’intensità d’uso di materia per unità di PIL. La dinamica delle pressioni per l’economia nel suo complesso è accompagnata da asimmetrie settoriali (osservabili per energia e emissioni). Il settore dei Servizi, che nel complesso registra la maggiore flessione in termini sia di consumo di energia (-13,2) sia di emissioni (-16,5%), comprende, da un lato, le attività con le contrazioni maggiori come il Trasporto aereo (con oltre il 60% di riduzione sia per i consumi energetici sia per le emissioni), dall’altro, quelle per le quali si è osservato un aumento, come Sanità e assistenza sociale e Pubblica amministrazione (rispettivamente del 16,0% e del 9,9% per i consumi di energia e del 13,5 e 20,2% per le emissioni). La contrazione dei consumi di prodotti energetici si è riversata sul gettito delle imposte pagate da imprese e famiglie per il loro uso (principale determinante del calo del gettito complessivo derivante da fiscalità ambientale, -13,5%), che rappresenta uno dei principali indicatori delle risposte che il sistema economico attiva per la protezione ambientale o la gestione delle risorse naturali. In flessione anche il valore aggiunto generato dal settore dei beni e servizi a finalità ambientale, che diminuisce del 3,0% (a prezzi correnti), ma cresce in termini di incidenza sul PIL (dal 2,3% del 2019 al 2,5% nel 2020). Stabili (-0,02%) le risorse spese per la tutela dell’ambiente da famiglie, imprese e Amministrazioni pubbliche. L’incidenza della spesa ambientale sul PIL aumenta al 2,6% dal 2,4% dell’anno precedente.In contrazione i consumi energetici delle attività produttive e delle famiglie – Il fabbisogno complessivo di energia per le attività di produzione e consumo, misurato dal Consumo di energia delle unità residenti (Net domestic energy use, Ndeu), si è ridotto dell’8,8% tra il 2019 e il 2020, a causa della caduta dell’attività economica e delle limitazioni agli spostamenti, attestandosi a 6.477 mila terajoule (era pari a 7.102 nel 2019). Sulla contrazione complessiva dei consumi energetici ha inciso quella delle attività produttive in misura pari a 416 mila terajoule (-8,5%), mentre per le famiglie si è registrato un calo di 208 mila terajoule (-9,5%). Pressoché stabile (+0,3%) l’intensità dei consumi energetici rispetto al PIL, pari nel 2020 a 4,12 terajoule per milione di euro (valori concatenati con anno di riferimento 2015). Nella dinamica dei consumi energetici delle famiglie prevale nettamente la riduzione del trasporto (189 mila terajoule, -20,9%) dovuta alle chiusure e all’adozione diffusa del lavoro a distanza. I consumi in ambito domestico, per riscaldamento e altre finalità, registrano una diminuzione di 19 mila terajoule (-1,5%). Tra le attività produttive, il settore dei Servizi nel suo complesso (Ateco G-S), con 226 mila terajoule in meno, ha contribuito più degli altri settori alla contrazione dei consumi di energia, registrando anche la maggiore riduzione percentuale tra il 2019 e il 2020 (-13,2%). L’attività che ha visto la maggiore riduzione, in termini sia assoluti (-80 mila terajoule circa) sia percentuali (-62,8%) è quella del trasporto aereo (Ateco 51). In un contesto di riduzione dei consumi pressoché generalizzato, fanno eccezione attività che risultano invece in crescita: tra queste figurano quelle che hanno svolto un ruolo di contrasto alla crisi pandemica, quali i servizi sanitari (Ateco 86, +21,2%), l’Amministrazione Pubblica (Ateco O, +9,9%) e la ricerca scientifica (Ateco 72, +4,4%). Nel settore dell’Industria (Ateco B-F), è soprattutto la contrazione del Manifatturiero (Ateco C, -123 mila terajoule, pari a -6,8%) a incidere sul calo complessivo dei consumi energetici (-189 mila terajoule; -6,2%), anche se in termini percentuali la riduzione più pronunciata interessa l’Industria estrattiva (Ateco B -8,2%).Emissioni in atmosfera in calo più del PIL – La contrazione economica indotta dalla crisi è stata accompagnata da un generale rallentamento delle emissioni in atmosfera. Nel 2020 le attività produttive e le famiglie italiane hanno immesso in atmosfera il 10,2% in meno di gas climalteranti rispetto all’anno precedente, l’11,3% in meno di sostanze inquinanti responsabili del fenomeno dell’acidificazione e il 9,5% in meno di inquinanti precursori dell’ozono troposferico. Le stime provvisorie del 2021 mostrano una ripresa delle emissioni di CO2 e degli altri gas climalteranti rispetto al 2020 (+6,2%) con livelli che, tuttavia, non raggiungono quelli del periodo pre-pandemico, confermando la tendenza alla riduzione che si osserva a partire dal 2008 (-28,7% nell’intero periodo 2008-2021). Alla riduzione complessiva delle emissioni climalteranti nel 2020, pari a circa 44 milioni e mezzo di tonnellate di CO2 equivalente (da 436 a 392 Mt di CO2 eq.), contribuiscono soprattutto le attività produttive (-30 Mt di CO2 eq.), da cui derivano circa i tre quarti delle emissioni di gas serra dell’economia italiana (con un lieve incremento del peso dal 74,1 al 74,8%). Le emissioni delle famiglie si riducono in misura proporzionalmente maggiore rispetto a quelle delle attività produttive (rispettivamente -12,7% e -9,3%). Di conseguenza, cala il contributo delle famiglie alla produzione di gas serra dell’Italia, dal 25,9% al 25,2%. Tra le attività produttive, l’Agricoltura, il Trattamento dei rifiuti, la Sanità e l’assistenza sociale e l’Amministrazione pubblica mostrano un andamento in controtendenza rispetto al resto dell’economia, registrando incrementi delle rispettive emissioni tra il 2019 e 2020. L’intensità di emissione scende nel 2020 a 249 tonnellate di CO2 eq. per milione di euro di Pil, dalle 252 del 2019. Tale riduzione (-1,3%) è più debole rispetto a quella degli anni dal 2015 al 2019 (-2,1% medio annuo), periodo nel quale si era verificato un disaccoppiamento assoluto tra le emissioni in diminuzione (-4,2%) e il PIL in aumento (4,4%). In calo anche i flussi di materia – Nel 2020, il consumo materiale interno (Domestic material consumption, Dmc) si è ridotto, in controtendenza rispetto alla sostanziale stabilità negli anni precedenti, attestandosi a 459 milioni di tonnellate (Mt), in calo di 38 Mt rispetto all’anno precedente (-7,7%). Alla riduzione contribuisce sia la componente dell’Estrazione interna (Ei), passata da 331 a 319,5 Mt (-3,5%), sia quella dei Flussi netti dall’estero (Physical trade balance, Ptb; -16,1%). In termini di materiali, impatta sul Ptb soprattutto il calo dei minerali energetici e prodotti da essi derivati (-13,7%, pari a 18 milioni di tonnellate), mentre in termini relativi i minerali metalliferi e prodotti derivati si riducono più marcatamente, passando da 14 a 9,5 milioni di tonnellate (-32%). È soprattutto l’Estrazione interna a contribuire alla diminuzione (da 221 Mt a 208 Mt) della componente del Dmc relativa ai minerali non metalliferi. Nell’ambito dell’Estrazione interna aumenta la quota delle biomasse (dal 30,9% al 32,2% del totale del peso dei materiali estratti internamente e incorporati in prodotti) il cui prelievo in quantità resta stabile tra i 102 Mt e i 103 Mt. Crescono invece le estrazioni dirette dalla natura di minerali energetici (dal 2,3% al 2,7% della Ei). L’intensità del consumo materiale sul PIL è leggermente aumentata, in linea con la tendenza degli ultimi anni, passando da 288 a 292 tonnellate per milione di euro. La quantità e la composizione della materia da cui il sistema socioeconomico italiano trae energia e beni materiali generando residui (tra i quali le emissioni in atmosfera) sono mutate notevolmente nel corso dei decenni, in maniera corrispondente alle modifiche strutturali dell’economia. Le variazioni annuali dovute alle misure di gestione della pandemia devono essere lette nel lungo periodo: soltanto dagli anni 1990 si è invertita la tendenza alla crescita registrata dal dopoguerra e si sono quindi progressivamente ridotte le quantità “consumate”, con una composizione che continua a cambiare in favore dei flussi dall’estero e dei combustibili fossili a scapito dei minerali da costruzione e delle biomasse di estrazione interna.Scende il gettito delle imposte ambientali su energia e trasporti – La generale riduzione delle transazioni economiche che ha caratterizzato il nostro Paese nel 2020 ha comportato anche una riduzione del gettito delle imposte pagate da imprese e famiglie. Le imposte ambientali, che ne rappresentano un sottoinsieme, ammontano nel 2020 a circa 50 miliardi di euro, con una contrazione di 7,8 miliardi rispetto al 2019 più pronunciata rispetto alla media delle imposte (-13,5% a fronte di -7,4%). Diminuiscono anche la quota delle imposte ambientali sul totale delle imposte e contributi sociali (da 7,7% nel 2019 a 7,1%) e l’incidenza sul PIL (da 3,2% a 3,0%), come effetto della contrazione più limitata delle basi di confronto. Nel 2021 si osserva invece una ripresa del gettito delle imposte ambientali, che superano i 53 miliardi di euro, accompagnata tuttavia dalla ulteriore riduzione del loro peso sul totale delle imposte e contributi sociali (6,9%). Quasi il 55% della riduzione complessiva del gettito delle imposte ambientali nel 2020 rispetto all’anno precedente è dovuta al minor esborso da parte delle famiglie residenti, pari a 4,2 miliardi di euro. Con 27,6 miliardi di euro pagati per le imposte ambientali, le famiglie si confermano il soggetto economico che contribuisce maggiormente al gettito complessivo (54,9% nel 2020, quota pressoché stabile rispetto al 2019). Le attività produttive corrispondono nel 2020 circa 22 miliardi euro (43,7% del gettito, quota in lieve aumento rispetto al 43,1% del 2019) con una riduzione di circa 3 miliardi. Per le famiglie, la riduzione del gettito pagato nel 2020 riguarda per il 70% le imposte sugli oli minerali (-3 miliardi circa), soprattutto a causa della contrazione del consumo di carburanti per il trasporto legata alle restrizioni alla circolazione e alle altre misure adottate nel corso della pandemia. Anche per le attività economiche la riduzione complessiva del gettito dipende dalle imposte sugli oli minerali (-1 miliardo circa, pari al 33,2% della riduzione totale) nonché, in misura ancora maggiore, da quelle per l’utilizzo dell’energia elettrica (-1,4 miliardi, pari al 46% del totale). In quest’ultimo caso, la riduzione è legata sia alla contrazione degli impieghi nel contesto del blocco, totale o parziale, dei processi produttivi durante la crisi sanitaria, sia alla riduzione nel corso dell’anno degli oneri di sistema per il sostegno alle fonti rinnovabili. I macro-settori più interessati dalla riduzione del gettito sono le Costruzioni, i Servizi, i Trasporti e il Commercio. È direttamente riconducibile alle restrizioni alla circolazione interna e internazionale anche la riduzione del gettito corrisposto da stranieri e imprese estere di trasporto operanti in Italia (unità non residenti), per l’acquisto di carburanti (imposta sugli oli minerali -38,2%) e l’esercizio del trasporto aereo (imposta sulle emissioni sonore degli aeromobili -21,6%).Anche nelle ecoindustrie calo della produzione – Nel 2020 la produzione ai prezzi base di beni e servizi ambientali (ecoindustrie) si è attestata a 104 miliardi di euro (a prezzi correnti) e il valore aggiunto a 40,9 miliardi di euro, con una flessione rispettivamente del 3,8% e del 3,0% sull’anno precedente. La contrazione del valore aggiunto del comparto è risultata minore rispetto a quella del PIL(-7,6% in valori correnti), consentendo di registrare una leggera crescita dell’incidenza sul Prodotto interno lordo, passata dal 2,3% del 2019 al 2,5% nel 2020. La produzione delle ecoindustrie è realizzata in prevalenza dal settore degli operatori market, con un valore che si attesta a 78 miliardi nel 2020, corrispondente al 74,8% del valore complessivo del comparto e a un valore aggiunto di 32,3 miliardi di euro. Il restante 25,2% della produzione di questo comparto, stimata per la prima volta dall’Istituto, è realizzata dagli operatori non market (Pubblica amministrazione e Istituzioni sociali al servizio delle famiglie) o svolta in proprio da tutti gli operatori economici, per essere destinata al reimpiego nel processo produttivo (ad esempio attività di recupero di materiali da reimmettere nel processo di produzione) o al proprio consumo finale (ad esempio l’energia solare prodotta e consumata all’interno delle famiglie). Nel 2020 si conferma la prevalenza delle attività svolte in campo energetico, che assorbono quasi il 40% del valore complessivo del comparto, seguite dai servizi di depurazione delle acque e di gestione dei rifiuti, che generano un terzo del valore aggiunto complessivo delle ecoindustrie. La riduzione complessiva osservata per il settore rispetto al 2019 è il risultato di dinamiche differenti a seconda delle finalità ambientali perseguite. Il campo energetico è uno degli ambiti con dinamiche negative, con una flessione del valore aggiunto sia nel valore degli interventi per l’efficienza energetica e dei materiali prodotti per questa finalità (-12,2%), sia nel settore delle energie rinnovabili (-4,4%). In quest’ultimo caso, pur in presenza di un’accresciuta quantità di energia prodotta, è l’andamento del prezzo base a determinare la dinamica negativa. Per contro, i servizi di depurazione delle acque reflue, il comparto dei rifiuti e le attività di disinquinamento, non hanno risentito degli effetti compressivi della pandemia, registrando incrementi del valore aggiunto (rispettivamente di 1,4%, 0,6% e 2,4%). Stabili le spese per la protezione dell’ambiente – Per la prevenzione e riduzione dell’inquinamento e di ogni altra forma di degrado ambientale, l’economia mobilita risorse, principalmente consumi e investimenti, misurate dalla Spesa nazionale per la protezione dell’ambiente. Nel 2020, la spesa è risultata di 43,2 miliardi di euro, pari all’2,6% del Pil, con una riduzione rispetto al 2019 dello 0,02%.La metà della spesa (oltre 22 miliardi nel 2020, sul 2019 +2,0%) ha riguardato attività di gestione dei rifiuti, quali prevenzione della loro produzione, raccolta, trattamento e smaltimento. Il 23% delle risorse per la protezione dell’ambiente (quasi 10 miliardi nel 2020, in aumento dello 0,8% sul 2019) è stato speso per la gestione delle acque reflue, ovvero per la riduzione degli scarichi, la raccolta e il trattamento dei reflui. Le spese sostenute per le altre attività di protezione dell’ambiente – per aria e clima, decontaminazione del suolo inquinato, riduzione del rumore, salvaguardia della biodiversità e del paesaggio, protezione dalle radiazioni e Ricerca e sviluppo – ammontano complessivamente a più di 11 miliardi correnti (-4,4% nel periodo). Sono le imprese a sostenere la maggior parte delle spese per la depurazione delle acque e per la gestione dei rifiuti (rispettivamente il 62% e 53% del totale 2020), investendo e acquistando tali servizi per la realizzazione delle proprie attività. La spesa delle famiglie per i due settori considerati copre il 27% della spesa totale nel caso della depurazione e oltre il 30% per la gestione dei rifiuti. La parte restante (oltre un miliardo per la depurazione delle acque e circa 3,5 miliardi per la gestione dei rifiuti) è rappresentata dalla spesa delle Amministrazioni pubbliche, costituita da consumi collettivi delle Amministrazioni pubbliche, da acquisti dei servizi in questione e da investimenti di operatori pubblici. Per le attività di protezione dell’ambiente diverse dalla gestione delle acque reflue e dei rifiuti complessivamente considerate, le Amministrazioni pubbliche contribuiscono per oltre il 60% alla spesa complessiva, seguono le imprese, che coprono il 36% circa del totale. La spesa nazionale comprende anche i trasferimenti al Resto del mondo, quali ad esempio i contributi a meccanismi finanziari connessi ad accordi internazionali per la protezione dell’ambiente, al netto dei finanziamenti ricevuti. Questi ultimi prevalgono nei due anni considerati, determinando un saldo negativo. LEGGI TUTTO