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    CCS, il piano “proibitivo” dell’Europa potrebbe presentare un conto da 140 miliardi

    (Teleborsa) – La maggior parte delle applicazioni di CCS (Carbon Capture and Storage) pianificate in Europa sono troppo costose per funzionare su base commerciale e non sono affatto pronte per essere implementate. Lo sostiene l’Institute for Energy Economics and Financial Analysis (IEEFA), un think tank che si occupa di energia, in un nuovo report sul tema. Sebbene i progetti CCS siano operativi dal 1971, principalmente a supporto delle operazioni di produzione nel settore petrolifero e del gas, la loro applicazione in altri settori industriali sembra ancora lontana dall’essere dimostrata.Di cosa parliamoLa cattura, l’utilizzo e lo stoccaggio del carbonio (CCUS) si riferisce a una serie di tecnologie che catturano il carbonio da grandi fonti, come impianti di produzione di energia o impianti industriali che utilizzano combustibili fossili o biomassa come combustibile. Il carbonio catturato viene quindi utilizzato in loco o in un’altra posizione: questa è l’utilizzazione o la “U”. Se il carbonio non viene utilizzato, si parla di cattura e stoccaggio del carbonio (CCS). In questo scenario, il carbonio viene compresso e trasportato tramite condotte, navi o ferrovie per essere iniettato in formazioni geologiche profonde. Si tratta di giacimenti di petrolio e gas esauriti o falde acquifere saline, che intrappolano l’anidride carbonica (CO2) per lo stoccaggio permanente.Il primo impianto è stato il Terrell Natural Gas Processing Plant in Texas, Stati Uniti, aperto nel 1972 per catturare e utilizzare la CO2 per il recupero avanzato del petrolio (enhanced oil recovery, EOR) in un vicino giacimento petrolifero. Attualmente sono in funzione 47 strutture commerciali a livello globale, che catturano 50 milioni di tonnellate di CO2 (MtCO2) all’anno, di cui il 73% viene utilizzato per EOR.La situazione in EuropaAttualmente l’Europa ha poco meno di 200 progetti CCS pianificati per molteplici settori ad alta intensità di emissioni e si prevede che oltre il 90% delle emissioni di queste strutture provenga da settori in cui la tecnologia è in fase di prototipo o dimostrazione.Dei 195 progetti in attesa, 11 progetti sono attualmente in costruzione. Degli 11 progetti di cattura in costruzione, due prevedono di utilizzare la CO2 per applicazioni industriali, la destinazione della CO2 di un progetto è sconosciuta, mentre gli altri otto saranno legati a uno dei due nuovi impianti di stoccaggio in fase di sviluppo. Questi due principali progetti di stoccaggio inietteranno la CO2 catturata da diversi siti di emissioni industriali in tutta Europa. Il primo a essere completato sarà il progetto Northern Lights in Norvegia, che dovrebbe entrare in funzione nel 2025. Il secondo è il progetto Porthos nei Paesi Bassi, che dovrebbe essere completato nel 2026.La stima dei costiLe stime dei costi effettivi per i progetti CCS variano notevolmente e la maggior parte non è di pubblico dominio. Quando si sommano i costi medi di cattura, trasporto offshore e stoccaggio, il costo del CCS per tonnellata varia da 123 a 341 dollari, calcola l’IEEFA. Costi di cattura inferiori di 30 dollari per tonnellata o inferiori sono evidenti nell’elaborazione del gas e nei biocarburanti. All’altro estremo della scala, la cattura diretta dall’aria costa in media 238 dollari per tonnellata a causa della difficoltà di elaborazione della CO2 dall’aria e dell’intensità energetica richiesta. Si prevede che i prezzi del carbonio dell’UE raggiungeranno una media di 95-103 dollari nel periodo 2021-2030, molto più bassi del costo medio del CCS in tutti i settori industriali.L’IEEFA stima che il costo totale dei progetti CCS pianificati in Europa ammonterà a 520 miliardi di euro. Questa cifra si basa sul costo medio per tonnellata di CO2 catturata, trasportata e immagazzinata in ogni settore per un periodo di vita di progetto di 20 anni. Mentre gli incentivi finanziari sotto forma di pagamenti ridotti del del sistema di scambio di emissioni (ETS) coprire circa tre quarti dei costi del progetto, il resto dovrà essere sostenuto dai governi. Ciò potrebbe significare che ai contribuenti saranno richiesti fino a 140 miliardi di euro.Il commento dell’esperto”C’è una reale mancanza di informazioni finanziarie disponibili sui progetti, principalmente perché ce ne sono così pochi e perché il CCS nei settori industriali, escluso il settore petrolifero e del gas, è più teorico che dimostrato”, spiega a Teleborsa Andrew Reid, analista energetico dell’IEEFA e autore del rapporto. “Al momento, non ci sono progetti “più promettenti” o “economici” in quanto il livello di prontezza tecnologica è basso, la legislazione è agli inizi e i costi sono ancora più alti rispetto all’uso di alternative”, aggiunge.Nonostante ciò, le tempistiche proposte per i progetti CCS europei sono eccessivamente ottimistiche. Circa 90 dovranno essere operativi entro il 2030 nell’Unione Europea e nel Regno Unito affinché entrambi raggiungano i loro obiettivi di cattura del carbonio. Attualmente, ci sono tre progetti CCS operativi nell’Unione Europea e nessuno nel Regno Unito.”Raddoppiare gli obiettivi irrealistici rischia di lasciare poco tempo per ridurre le emissioni attraverso misure alternative quando ci si renderà conto che il contributo del CCS al net zero probabilmente fallirà. I policymaker dovrebbero iniziare a lavorare con urgenza per mettere in atto soluzioni più pratiche”, afferma Reid.Secondo l’esperto, soluzioni più pratiche dovrebbero essere considerate sia dal punto di vista della domanda che dell’offerta: “Dal lato della domanda, l’uso di energia dovrebbe essere ridotto attraverso una maggiore efficienza, incluso un migliore isolamento per le case e i locali commerciali, ad esempio. Dal lato dell’offerta, si dovrebbe passare più spesso dall’energia fossile a un maggiore utilizzo di elettricità generata da fonti rinnovabili per il riscaldamento, la cucina, i trasporti e gli usi industriali”.(Foto: Marek Piwnicki on Unsplash) LEGGI TUTTO

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    Maltempo, Pichetto: da MASE risorse per 1,84 miliardi per dissesto idrogeologico

    (Teleborsa) – Il Mase provvede, per mezzo di stralci annuali, alla definizione del Piano degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico. Il Piano degli interventi è formato tenendo conto delle proposte delle Regioni, e d’intesa con le stesse, previa sottoposizione delle stesse all’Autorità di bacino distrettuale territorialmente competente, che ne valuta sia la coerenza con i Piani vigenti (Piano di Assetto Idrogeologico e Piano di Gestione del Rischio Alluvioni) sia l’efficacia in termini di riduzione del rischio. Per il Piano 2024, il Mase ha reso disponibili risorse che ammontano a circa 1 miliardo e 84 milioni di euro. Lo ha detto il ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin al Question time alla Camera. La somma, ha sottolineato il ministro, è ripartita tra Regioni e Province autonome secondo quanto stabilito dai criteri del DPCM del 5 dicembre 2016″Non c’è nessun piano alternativo fermo al Mase né può definirsi tale una serie di proposte normative che, impatterebbero sulle competenze del Ministero, depotenzierebbero la fase programmatoria, ma soprattutto complicherebbero l’attuazione dei piani da parte delle Autorità di Bacino. I Ministeri interessati stanno lavorando per semplificare ogni procedura utile a mettere in sicurezza il nostro Paese dagli eventi estremi causati anche dal cambiamento climatico. La rilevanza del tema e la necessità di garantire una corretta programmazione degli interventi ha portato il Ministero a richiedere per la prossima legge di bilancio una dotazione di 2,5 miliardi di euro per l’attuazione dei programmi triennali delle autorità di bacino, in aggiunta alle risorse della nuova programmazione degli FSC e alle dotazioni già iscritte in bilancio”. LEGGI TUTTO

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    Il conto salato del climate change, ANIA: nel 2023 in Italia oltre 6 miliardi danni da catastrofi

    (Teleborsa) – “Nel 2023, l’industria assicurativa nel mondo ha pagato quasi 100 miliardi di euro per sinistri legati a catastrofi naturali. In Italia si è registrato il massimo storico dei danni assicurati: oltre 6 miliardi, di cui 5,5 miliardi causati da eventi atmosferici e 800 milioni dalle alluvioni in Emilia-Romagna e in Toscana”. Lo ha detto la presidente dell’Ania, Maria Bianca Farina, nel suo intervento all’assemblea annuale che si è svolta oggi a Roma alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e del vicepremier e ministro degli Esteri, Antonio Tajani. Un appuntamento che è stata anche l’occasione per festeggiare gli 80 anni di vita dell’associazione, facendo il punto sui principali trend di mercato, sulle prospettive e sulle prossime sfide per il settore assicurativo. “il cambiamento climatico è una sfida cruciale. Assistiamo a catastrofi naturali sempre più estreme, frequenti e distruttive, che mettono a rischio un numero sempre maggiore di persone e beni”, ha detto Farina. “Assistiamo a catastrofi naturali sempre più estreme, frequenti e distruttive – ha aggiunto ancora -, che mettono a rischio un numero sempre maggiore di persone e beni”. E i numeri dell’Ania lo dimostrano: per coprire i danni da catastrofi naturali delle aziende italiane le compagnie assicurative devono far fronte in media ogni anno a risarcimenti per 2 miliardi. Con gli eventi emergenziali come alluvioni e terremoti, per il settore assicurativo potrebbe verificarsi una perdita assicurativa di circa 15 miliardi una volta ogni 200 anni, prevede ancora l’Ania, secondo cui il patrimonio delle imprese soggette al nuovo obbligo assicurativo per i rischi da catastrofi naturali (Catnat) previsti dalla norma è stimata in circa 4.000 miliardi. Ora l’Ania auspica che “il raggio di azione della copertura” assicurativa contro le calamità naturali “sia rapidamente ampliato alla proprietà immobiliare privata, anche con l’ausilio – almeno in avvio – di incentivi di tipo fiscale”.Gli italiani si proteggono ancora poco, dal punto di vista assicurativo, contro le calamità naturali. Solo il 6% delle 35,3 milioni di unità abitative esistenti ha infatti una copertura assicurativa contro questi eventi, nonostante l’80% delle abitazioni civili sia esposto a un livello di rischio medio-alto dal punto di vista sismico e di dissesto idrogeologico. Per quanto riguarda le aziende, solo il 5% ha una copertura assicurativa, con differenze notevoli in funzione delle dimensioni di quest’ultime. Sul complesso di oltre 4,5 milioni di aziende italiane, è infatti assicurato contro le catastrofi il 4% delle imprese micro, il 19% di quelle piccole, il 72% delle medie e il 97% delle grandi.Cala ancora gap tra premi Rc auto Italia-Ue – Nel 2023, il divario fra il premio medio rc auto in Italia e quello europeo è diminuito ulteriormente, scendendo a 36 euro dagli oltre 200 euro della prima metà degli anni 2000. Questa crescita, ha proseguito Farina, è spiegabile con la dinamica inflazionistica che si è riflessa sul costo dei risarcimenti. E’ stata peraltro inferiore a quella media degli altri Paesi europei.Secondo i dati Ania le polizze per la copertura della responsabilità civile auto nella media degli anni 2008-2012 erano più costose di 213 euro rispetto alla media di Germania, Francia, Spagna e Regno Unito, nel 2015 il divario si era ridotto a 138 euro per poi scendere ulteriormente alla fine del 2023 a 36 euro LEGGI TUTTO

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    Emissioni, Salvini avverte: “no dell’Italia a qualsiasi nuova tassa”

    (Teleborsa) – In Europa l’Italia sarà “contraria” a qualsiasi intervento che preveda una nuova tassa sulle emissioni, “a meno che non vi sia una soluzione globale”. Lo detto il ministro delle Infrastrutture e Trasporti Matteo Salvini, intervenendo all’assemblea annuale di Assarmatori a Roma. “Il voto dell’Italia sarà contrario a qualsiasi intervento che preveda una nuova tassa sulle emissioni. A meno che non ci sia una soluzione globale”, ha detto Salvini, segnalando come si “vociferi” che a Bruxelles si vorrebbe riprendere in mano la direttiva sulla tassazione dell’energia (ETD).”Non è il momento – ha detto ancora – di imporre nuove tasse a carico delle aziende italiane ed europee”. Il 2023 “è stato l’anno record mondiale storico di emissioni di CO2, nonostante gli investimenti miliardari”, ha segnalato Salvini che appunto ha sottolineato come “mentre l’Europa utilizza risorse per abbattere di poco le emissioni, la Cina e l’India si avviano verso il picco, quindi se la decarbonizzazione è un bene, nello stesso tempo si combatte “una battaglia impari e suicida” se non si trova una soluzione globale. LEGGI TUTTO

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    Mozambico, Eni lancia importante progetto per protezione foreste

    (Teleborsa) – Si chiama Great Limpopo il progetto lanciato da ENI in collaborazione con Biocarbon Partners ed è “la più grande iniziativa mai sviluppata in Mozambico per proteggere le foreste e contrastare le cause di deforestazione in linea con il quadro REDD+, definito e promosso dalle Nazioni Unite”. Il programma – spiega la nota – mira a preservare le foreste in un’area fino a 4 milioni di ettari in 4 province del Mozambico, ovvero Manica, Sofala, Inhambane e Gaza. È stato progettato congiuntamente con le istituzioni mozambicane a livello nazionale e provinciale, nonché con i leader e i membri della comunità e si basa sugli studi di fattibilità completati da Eni nel 2023, coinvolgendo tutti gli stakeholder interessati per garantire la massima aderenza del progetto alle esigenze specifiche dell’area.In particolare, le attività di conservazione mirano a ridurre la perdita di foreste attraverso l’impegno attivo delle comunità nella gestione delle risorse forestali, insieme alla promozione di iniziative climatiche di agricoltura smart e alla creazione di opportunità economiche, coinvolgendo oltre 320.000 persone. Il progetto contribuirà anche alla conservazione e al ripristino della biodiversità, collegando i principali parchi nazionali del Mozambico e del Sudafrica con le aree forestali comunali per creare corridoi naturali per la fauna selvatica; elefanti, leoni, ghepardi e leopardi sono solo alcune delle specie a rischio che vivono nell’area e che saranno protette grazie al progetto.Eni assicurerà al progetto un flusso finanziario sostenibile e a lungo termine, incanalato verso il miglioramento dei mezzi di sussistenza delle comunità attraverso il ritiro dei crediti di carbonio generati e monitorando costantemente la qualità e l’integrità socio-ambientale del mercato volontario de crediti di carbonio.L’iniziativa – chiude la nota – si inserisce nella strategia nazionale del Mozambico in materia di foreste ed è allineata all’approccio di Eni verso i Paesi produttori oltre che alla propria strategia net-zero. Eni punta a diventare carbon-neutral entro il 2050 decarbonizzando le proprie attività, la catena del valore e i prodotti con un mix di diverse leve e tecnologie, compresi i progetti Nature and Technology Based per compensare le emissioni residue che non possono essere abbattute con le tecnologie esistenti. Entro il 2050, i crediti di carbonio rappresenteranno il 5% di tutte le leve utilizzate per raggiungere l’obiettivo della neutralità carbonica. LEGGI TUTTO

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    Il Governo punta su materie prime critiche: dl domani in Cdm

    (Teleborsa) – Garantire l’approvvigionamento in Italia delle materie prime critiche per le transizioni verde e digitale. Con questo obiettivo i ministri delle Imprese e del made in Italy, Adolfo Urso, e dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto presenteranno domani in Consiglio dei ministri un decreto legge con misure urgenti. Il decreto legge stabilisce le regole e i tempi per la valutazione dei progetti di estrazione e di riciclo delle materie prime considerate critiche per le transizioni verde e digitale e per l’industria della difesa e aerospaziale. Viene istituito presso il Mimit un Comitato tecnico permanente per il monitoraggio e il coordinamento di scorte e approvvigionamenti e per il sostegno ai progetti in materia. Vengono, inoltre, semplificate le procedure per i permessi di ricerca.Il decreto legge prevede che il titolare delle concessioni debba versare una percentuale di prodotto dal 5% al 7% a favore dello Stato e delle Regioni, per sostenere gli investimenti nella filiera. Nel provvedimento ci sono norme per il recupero di risorse minerarie dai rifiuti estrattivi.L’Ispra viene incaricato di preparare il Programma nazionale di Esplorazione e di aggiornare la Carta mineraria. Il Mimit deve individuare con decreto le imprese che operano sul territorio nazionale e che utilizzano materie prime strategiche per le transizioni verde e digitale. Il decreto legge prevede anche un ampliamento del Fondo nazionale per il Made in Italy, per stimolare la crescita della estrazione di queste materie. Le materie prime critiche individuate dalla Commissione europea sono 30: antimonio, afnio, barite, bauxite, berillio, bismuto, borato, carbon coke, cobalto, fluorite, fosforite, fosforo, gallio, germanio, gomma naturale, grafite naturale, indio, litio, magnesio, metalli del gruppo del platino, titanio, niobio, scandio, silicio metallico, stronzio, tantalio, terre rare leggere, terre rare pesanti, tungsteno, vanadio. LEGGI TUTTO

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    ISTAT: “Cittadini più preoccupati per il clima. Attenzione al risparmio energetico”

    (Teleborsa) – Sei persone su dieci in Italia sono preoccupate per i cambiamenti climatici. Nel 2023 cresce la preoccupazione per i cambiamenti climatici espressa dal 58,8% della popolazione di 14 anni e più; 56,7% nel 2022. Le preoccupazioni per lo smaltimento dei rifiuti e l’inquinamento dell’acqua riguardano circa il 40%. Nel 2023 la metà dei cittadini esprime, inoltre, preoccupazione per la qualità dell’aria, quota pressoché stabile dal 1998 (primo anno di rilevazione). Il dissesto idrogeologico preoccupa il 26,5% delle persone di 14 anni e più, contro il 22,4% del 2022. Solo una persona su 10 sopra i 14 anni considera l’inquinamento acustico, quello elettromagnetico e il deterioramento del paesaggio tra le prime cinque preoccupazioni per l’ambiente. I cittadini sono sempre più attenti alla conservazione delle risorse naturali. Nel 2023, la quota di quanti fanno abitualmente attenzione a non sprecare energia arriva al 72,8%. In crescita anche quanti sono attenti a non sprecare acqua: il 69,8% contro il 67,6% del 2022. Nel Mezzogiorno si è più propensi ad acquistare prodotti a chilometro zero (28,8%). Al Nord si evita soprattutto la guida rumorosa per mitigare l’inquinamento acustico (52,5%) e si usano di più i mezzi di trasporto alternativi (20,3%). È quanto emerge dall’indagine multiscopodell’Istat “Aspetti della vita quotidiana” che rileva la percezione dei cittadini sulle tematiche ambientali e quesiti relativi ai comportamenti ecocompatibili.Forte sensibilità per i problemi ambientaliNel 2023 i cambiamenti climatici sono al primo posto tra le preoccupazioni ambientali espresse dai cittadini, confermando un primato ormai decennale: esprimono questa attenzione sei persone su 10 di 14 anni e più (58,8%) in aumento di 2,2 punti percentuali sul 2022. Seguono i problemi legati all’inquinamento dell’aria,avvertiti dal 49,9% della popolazione, dato stabile rispetto al 2022. Più distaccate, ma rilevanti, ci sono la preoccupazione per lo smaltimento e la produzione dei rifiuti (38,9%, in calo di un punto percentuale rispetto al 2022) e quella per l’inquinamento delle acque (38,0%, dato stabile). Effetto serra e buco nell’ozono (33,1%) sono percepiti come ulteriori fattori di rischio ambientale a livello globale; tuttavia, si registra una diminuzione di oltre 4 punti percentuali tra quanti lamentano questi come tra i primi cinque problemi ambientali. Altri problemi ambientali preoccupano meno di tre persone su 10; in fondo alla graduatoria vi sono le preoccupazioni per l’inquinamento elettromagnetico, per le conseguenze del rumore sulla salute e per la rovina del paesaggio.Le preoccupazioni legate al clima sono da tempo al centro dell’interesse delle persone di 14 anni e più. Tra queste, tuttavia, la preoccupazione per l’effetto serra, che nel 1998 coinvolgeva quasi sei persone su 10, cala rispetto al primo anno di rilevazione di circa 25 punti percentuali. In senso inverso, il timore per i cambiamenti climatici, indicato nel 1998 dal 36,0% delle persone, sale al 58,8% nell’ultimo anno (+22,8 punti percentuali). Valutando insieme i due problemi – effetto serra e cambiamenti climatici – emerge che l’attenzione della popolazione per la crisi ambientale aumenta in misura decisa dal 2019 (70% di cittadini preoccupati), ossia nell’anno caratterizzato dal diffondersi in tutto il mondo dei movimenti di protesta studenteschi ispirati ai “Fridays For Future”. L’indicatore si mantiene stabile negli anni successivi, salvo nel 2021, anno in cui la discesa a un livello del 66,5% è determinata da fattori più che altro legati alla pandemia e alla polarizzazione dei cittadini su un altro tipo di preoccupazioni ad essa connessi (70,8% nel 2020, 66,5% nel 2021, 71% nel 2022 e 70,8% nel 2023).L’inquinamento dell’aria rappresenta, invece, una preoccupazione costante per un cittadino su due da oltre 20anni. L’attenzione al dissesto idrogeologico, sebbene sia scesa molto nell’arco temporale in esame (dal 34,3% nel 1998 al 26,5% della popolazione di 14 anni e più nel 2023), registra un aumento di oltre 4 punti percentuali sul 2022. Le conseguenze delle alluvioni nelle Marche e in Toscana del maggio 2023 potrebbero aver innescato un aumento del livello di preoccupazione espresso dai cittadini nei confronti del dissesto idrogeologico; a conferma di ciò nelle Marche si riscontra un aumento sul 2022 pari a 11 punti percentuali mentre in Toscana, Umbria ed Emilia Romagna la crescita è di circa 6 punti. Rispetto all’inquinamento del suolo, dell’acqua e alla distruzione delle foreste, il problema più sentito è, negli anni in esame, l’inquinamento delle acque che interessa in maniera costante circa il 40% delle persone. La distruzione delle foreste, che preoccupava nel 1998 il 25,2% della popolazione, scende al 20,3% nel 2023. Si mantiene abbastanza costante la percentuale di coloro che ritengono l’inquinamento del suolo tra le cinque preoccupazioni prioritarie in tema di ambiente (da 20,3% a 21,5%). Tra le altre preoccupazioni emerge quella legata alla produzione e allo smaltimento dei rifiuti. Nell’arco di 20anni ha sempre espresso valori importanti, oscillando tra il 39% e il 47%, tuttavia negli ultimi due anni si assiste a una lieve riduzione dell’indicatore, al punto che il dato 2023 (38,9%) rappresenta il minimo storico tra quelli sin qui rilevati.Preoccupazioni ambientali legate al territorioSi conferma, nel 2023, la polarizzazione tra Nord e Mezzogiorno del Paese rispetto alle preoccupazioni per le tematiche ambientali. Ad esempio, si rileva una differenza di circa 10 punti percentuali rispetto al tema dei cambiamenti climatici che preoccupa il 61,2% degli abitanti del Nord rispetto al 51,9% di quelli del Mezzogiorno. Anche l’inquinamento delle acque rientra tra i temi particolarmente sentiti dagli abitanti delle regioni settentrionali (40,9%) e molto meno da quelli delle regioni meridionali (34,0%).All’opposto, richiamano l’attenzione soprattutto dei residenti del Centro e del Mezzogiorno le tematiche legate alla produzione e allo smaltimento dei rifiuti (41,3% nel Mezzogiorno, 43,5% nel Centro e 35,2% nel Nord) e all’inquinamento del suolo (22,8% nel Mezzogiorno, 22,4% al Centro e 20,1% nel Nord). Nel corso degli ultimi anni i cittadini del Lazio hanno manifestato maggiore preoccupazione rispetto alle altre aree del Paese per la produzione e lo smaltimento di rifiuti. Anche nel 2023 questa Regione presenta lapercentuale più elevata, pari al 47,1%, seguita dalla Calabria con il 44,8%, contro una media nazionale del 38,9%. Le persone di 14 anni e più che vivono in centri dell’area metropolitana esprimono una preoccupazione maggiore rispetto a chi abita nei Comuni di piccole dimensioni rispetto a produzione e smaltimento dei rifiuti, inquinamento dell’aria e inquinamento acustico. Nei Comuni centro dell’area metropolitana il 46,4% delle persone esprime timore per la produzione e lo smaltimento dei rifiuti mentre la quota scende al 39,0% neiComuni medio grandi (dai 10mila ai 50mila abitanti) e al 33,3% nei Comuni piccoli (sotto i 2mila abitanti). Inoltre, nei Comuni metropolitani è più elevata la percentuale di quanti si preoccupano dell’inquinamento dell’aria (53,9% rispetto al 49,9% dei Comuni medio grandi e al 41,0% dei piccoli Comuni), così come quella tra chi lamenta problemi legati all’inquinamento acustico (15,6% rispetto al 10,4% dei Comuni medio grandi e all’8,2% dei Comuni piccoli). Livelli di traffico elevati, quantità notevoli di rifiuti prodotti, maggiori difficoltà di organizzare adeguati sistemi di raccolta e smaltimento, sembrano condizionare la percezione di vita tra gli abitanti delle grandi città. Risiedere nei piccoli Comuni, aumenta, invece, la sensibilità rispetto al dissesto idrogeologico (25,9%, mentre nei Comuni dell’area metropolitana e in quelli medio grandi questa percentuale è del 23,9%). Preoccupazioni ambientali condizionate da età, genere e istruzioneL’età rappresenta un’importante determinante della variabilità delle preoccupazioni ambientali. I giovani fino a 24 anni sono più sensibili delle persone più adulte per quanto riguarda la perdita della biodiversità (il 31,9% tra i 14 e i 24 anni contro il 18,5% degli over55enni), la distruzione delle foreste (24,6% contro 18,4%) e l’esaurimento delle risorse naturali (29,2% contro 21,3%). Anche nel 2023, gli ultracinquantacinquenni si confermano più preoccupati dei giovani per il dissesto idrogeologico (29,8% contro 21,5% degli under25) e l’inquinamento del suolo (21,9% contro 18,3%). Le relazioni tra genere e ambiente sono importanti, sia perché i problemi ambientali possono avere effetti differenziati su uomini e donne, sia perché i diversi stili di vita di uomini e donne possono dare luogo a un diverso impatto ambientale. Da questo punto di vista risulta interessante l’analisi per genere tra i giovani, da cui emerge quanto risultino più preoccupate in percentuale le donne. Tra i giovani sotto i 24 anni, ad esempio, le ragazze sono preoccupate più spesso dei loro coetanei per i cambiamenti climatici (+5,8 punti percentuali), la perdita di biodiversità (+8,8 punti) e la distruzione delle foreste (+3,8 punti). La quota di cittadini che esprime preoccupazione per lo stato dell’ambiente cresce all’aumentare del titolo di studio. Nei confronti dei cambiamenti climatici si dichiara preoccupato il 63,9% dei laureati contro il 52,2% tra chi ha al massimo la licenza media. Analoghe differenze si presentano sia nei riguardi della produzione e dello smaltimento dei rifiuti (48,8% contro 35,2%) sia rispetto all’inquinamento delle acque (41,7% contro 35,1%).La difesa delle risorse naturali obiettivo dei comportamenti ecocompatibiliNel 2023 sale al 72,8% la quota di quanti fanno abitualmente attenzione a non sprecare energia (rispetto al 69,8% del 2022) mentre il 69,8% prestaattenzione a non sprecare l’acqua e il 50,0% a non adottare mai comportamenti di guida rumorosa al fine di limitare l’inquinamento acustico. Mostrano attenzione ai temi della sostenibilità ambientale anche il 35,8% della popolazione che legge le etichette degli ingredienti e il 23,5% che acquista prodotti a chilometro zero. Nel Nord si rileva una percentuale più elevata rispetto alla media nazionale di persone che hanno abitudini virtuose legate alla mobilità: il 52,5% fa attenzione a non adottare comportamenti di guida rumorosi (45,8% nel Mezzogiorno) e circa il 20,3% sceglie mezzi di trasporto alternativi all’auto privata o ad altri mezzi di trasporto a motore privati (16,0% nel Mezzogiorno). Nel Centro si nota una maggiore attenzione nel leggere le etichette dei prodotti (37,3% contro il 35% circa di Nord e Mezzogiorno). I residenti nel Mezzogiorno si distinguono invece per l’elevata frequenza di acquisto di alimenti e prodotti locali (28,8% contro 20,0% del Nord). Donne più virtuose nell’adottare comportamenti ecocompatibiliL’attenzione verso comportamenti ecocompatibili parrebbe, nei fatti, non essere caratteristica precipua dei giovani, per quanto essi si dichiarino almeno in teoria i più attenti su temi quali, ad esempio, la tutela della biodiversità, la distruzione delle foreste e l’esaurimento delle risorse naturali. Solo dopo i 25 anni di età iniziano a manifestarsi comportamenti decisamente più virtuosi. Oltre 20 punti percentuali si registrano tra gli over 55enni e i giovani sotto i 24 anni nel non sprecare l’acqua (il 53,0% delle persone tra i 14 e i 24 anni rispetto al 79,0% degli over 55), così come nel non sprecare energia (il 53,1% degli under 24 rispetto al 76,1% di coloro che hanno più di 55 anni). In compenso, i giovani sotto ai 24 anni sono sempre più propensi all’uso di mezzi di trasporto alternativi all’auto privata o ad altri mezzi di trasporto a motore privati, li sceglie abitualmente il 29,5% contro il 17,3% degli over55.Le donne sono mediamente più attente a mantenere comportamenti ecocompatibili. Le differenze più evidenti si colgono soprattutto sui comportamenti di acquisto: sussistono oltre 11 punti percentuali di differenza nelleggere abitualmente le etichette degli ingredienti (41,4% delle donne rispetto al 29,9% degli uomini); più bassa ma rilevante la differenza tra chi acquista come prassi alimenti o prodotti biologici (16,0% delle donne rispettoall’11,7% degli uomini) e prodotti a chilometri zero (25,6% rispetto a 21,4%). Le donne sono inoltre in media più accorte a non sprecare acqua (72,3% rispetto al 67,2%) ed energia (74,9% rispetto al 70,5%).Il titolo di studio posseduto si rivela una condizione determinante anche per l’analisi dei comportamenti ecocompatibili dei cittadini. Al crescere del livello di istruzione aumentano le quote di coloro che abitualmente li adottano. Tra i laureati e chi al massimo ha ottenuto la licenza media vi sono circa 20 punti percentuali di differenza nell’abitudine a leggere le etichette dei prodotti, 14 nell’acquistare prodotti biologici e quasi 8 nel preferire prodotti a chilometro zero. Una maggiore propensione delle persone con titolo di studio più elevato si rileva anche nell’attenzione a non sprecare acqua ed energia (circa 5 punti percentuali di differenza per entrambi gli indicatori). LEGGI TUTTO

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    Smart working, Italia tra ultime in classifica in Paesi Ue

    (Teleborsa) – Nel 2023 solo il 4,4% dei lavoratori e delle lavoratrici italiane hanno potuto svolgere, per almeno la metà del monte ore settimanale, la propria attività lavorativa in modalità di lavoro agile. La media Ue è del 9%. Secondo i dati Eurostat il nostro Paese è tra gli ultimi nella classifica dei Paesi Ue per quanto riguarda l l’utilizzo del lavoro da remoto. Primato che va invece alla Finlandia con un 22,4% di lavoratori e lavoratrici che svolgono più della metà della settimana in smart workingSmart working che, tra l’altro, aiuta l’ambiente: due giorni a settimana di lavoro da remoto evitano, infatti, l’emissione di 480 chilogrammi di Co2 all’anno a persona grazie alla diminuzione degli spostamenti e il minor uso degli uffici.Non solo vantaggi, ovviamente. Lavorare da casa implica, infatti, un maggiore utilizzo degli elettrodomestici e la necessità di avere ambienti ben riscaldati per tutta la giornata, in inverno con un aggravio piuttosto consistente sulle bollette di luce e gas. LEGGI TUTTO