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    PAC, agricoltori lanciano appello per tempestivo accordo su riforma

    (Teleborsa) – Alla vigilia di una riunione tra Consiglio, Parlamento e Commissione Ue (Trilogo) che potrebbe essere decisiva per la nuova Politica agricola comune (Pac), i presidenti di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti, Fnsea, Christiane Lambert e DBV-Deutscher Bauernverband, Joachim Rukwied – non solo in rappresentanza degli agricoltori francesi, italiani e tedeschi, ma rispettivamente presidente, vicepresidente e past president del Copa – esprimono preoccupazione per la discussione in corso sulla Pac.”La Pac – sottolineano i tre presidenti in una nota – è, e deve rimanere, una politica economica concepita per stabilizzare e sostenere il reddito degli agricoltori, come affermato nel Trattato Ue, affrontando contemporaneamente le attuali sfide ambientali”. “In questo momento, invece, – afferma Giansanti – il nostro settore è sotto attacco da chi vorrebbe scaricare sull’agricoltura le principali responsabilità dei mutamenti climatici e ambientali, senza avere contezza di quanto le imprese agricole siano indispensabili per il bene di tutti: senza aziende competitive e senza agricoltura mangeremo cibo sintetico e importato da Paesi che non rispettano i nostri standard di produzione in termini di sicurezza, qualità e anche di diritti sociali e ambientali”.In tale scenario Confagricoltura, Fnsea e DBV chiedono “più flessibilità nell’attuazione dell’architettura verde e nessun ulteriore onere amministrativo per le imprese agricole, già alle prese con una pesante burocrazia”. Le tre associazioni – si legge nella nota – sostengono “una Pac più verde, di facile attuazione, attraente per gli agricoltori ed efficiente”.Per quanto riguarda la condizionalità sociale, i tre presidenti evidenziano che Francia, Italia e Germania hanno già regole severe in materia di diritto del lavoro e welfare e che questa ulteriore previsione introduce ulteriori elementi di burocrazia.”Nella futura Pac – evidenzia Lambert – la lotta al cambiamento climatico e la protezione ambientale dovrebbero conciliarsi con gli aspetti economici. Gli agricoltori si impegnano ad affrontare queste sfide. Gli strumenti della Pac possono supportarli proprio per un’agricoltura ancora più sostenibile”. “È essenziale per il settore primario – afferma Rukwied – che la nuova Pac consenta agli agricoltori europei di continuare a produrre alimenti sicuri e nutrienti, oltre che proteggere la biodiversità e il clima. Per questo, la funzione di sostegno al reddito della Pac è di fondamentale importanza, sia per affrontare i mercati, sia per rispondere alle sfide ecologiche”. LEGGI TUTTO

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    Covid, CIA: “Mancano braccia nei campi serve quarantena attiva come in Germania”

    (Teleborsa) – Lavorare e vivere isolati dagli altri operai nel periodo di quarantena dopo l’arrivo in Italia. È questa la richiesta al Governo di Cia-Agricoltori Italiani, per salvare la stagione di raccolta sui campi della penisola. Il modello è la Germania, ma la cosiddetta quarantena attiva – spiega Cia in una nota – viene utilizzata anche in altri Paesi europei e da noi riguarderebbe circa 100mila lavoratori comunitari, quasi tutti da Romania e Bulgaria, che vengono abitualmente reclutati dalle nostre aziende, ma rischiano di scegliere quest’anno i lander tedeschi. Per Cia questa è la misura più efficace, insieme al rinnovo urgente dei permessi di soggiorno (scadenza 30 aprile) per i lavoratori extra-comunitari regolari, arrivati grazie ai passati decreti flussi (circa 30mila).Il nostro Paese – sottolinea la nota – deve, infatti, far fronte all’insuccesso della sanatoria degli “invisibili”, che ha portato a soli 500 lavoratori agricoli regolarizzati sui 600mila annunciati dalla ex-ministra Bellanova. Delle 210mila domande presentate, 30mila riguardavano gli agricoli e di queste il 70% non aveva requisiti. Le pratiche sono state ulteriormente frenate da ostacoli burocratici e dalle norme anti-contagio.Secondo Cia, il protocollo di “quarantena attiva” già diede in autunno buoni risultati nelle Province autonome di Trento e Bolzano, che salvarono il raccolto delle mele facendo lavorare sui campi squadre di ragazzi dell’Est separate dagli altri italiani, senza contatti con la comunità locale per 14 giorni. La soluzione è obbligata perché nessun italiano nelle liste di disoccupazione raccoglie gli inviti dei produttori agricoli e l’opzione di una quarantena vera “pagati senza lavorare” non è sostenibile né per le aziende, né per l’operaio che la deve attuare anche al ritorno nel Paese d’origine. In tal modo, invece, – prosegue Cia – il datore di lavoro viene responsabilizzato a seguire norme igieniche rigorose, col rischio che un solo contagiato blocchi le operazioni di raccolta, mandando all’aria un anno intero di lavoro.Diverso il problema per il lavoro agricolo degli extracomunitari regolari, che hanno bisogno del rinnovo del permesso di soggiorno. Si rende quindi urgente – afferma la Confederazione – la proroga dei permessi relativi al decreto flussi del 2019, che resta, ad oggi, l’unico provvedimento utile. Nel 2021 non è stato ancora emanato e nel 2020 è arrivato in forte ritardo, non producendo effetti: quasi tutte le pratiche sono bloccate perché i dipendenti pubblici lavorano in smart working e non possono convocare i lavoratori per i necessari controlli. Per sbloccare l’emergenza manodopera, Cia ha aderito all’iniziativa del noleggio di voli charter dal Marocco e dopo i primi 189 lavoratori già arrivati per alcune aziende del Fucino e del Veneto, domani – annuncia la Confederazione – atterreranno all’aeroporto di Pescara altri 144 lavoratori. LEGGI TUTTO

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    Agroalimentare, CIA: via libera a export in Cina varietà da risotto italiane

    (Teleborsa) – Dopo un lungo negoziato è arrivato l’ok delle Autorità competenti di Pechino all’import delle nostre varietà da risotto, vere eccellenze del Made in Italy agroalimentare. Grazie a questo accordo, il riso italiano potrà esser apprezzato anche in Cina da decine di milioni di consumatori. “Un via libera tanto atteso su un mercato di primaria rilevanza per l’agroalimentare italiano – commenta Dino Scanavino, presidente di Cia-Agricoltori Italiani –. Si tratta di un successo che ha visto le istituzioni e la filiera risicola nazionale unite in difesa del riso italiano e alla conquista di nuove quote di mercato. Per l’Italia, primo produttore europeo, si apre ora un mercato importante, con milioni di cinesi pronti ad apprezzare il nostro risotto”. L’Italia – sottolinea la Confederazione Italiana Agricoltori in una nota – è, attualmente, il primo produttore dell’Unione europea, assicurando oltre il 50% della produzione di riso, che si distingue da quello coltivato nel resto del mondo grazie a varietà tipiche, valorizzate grazie a marchi Dop e Igp che riconoscono le specificità dei territori di origine. Con 228mila ettari coltivati (+4% nel 2020) e 4mila aziende che raccolgono 1 milione di tonnellate di riso lavorato, si contano più di 200 varietà: dal Carnaroli, all’Arborio e al Vialone Nano, primo riso Igp, passando per il Roma e il Baldo. Attualmente il 60% del riso italiano è destinato all’export, soprattutto in Germania e Inghilterra.”L’intesa – conclude la Cia – corona un lungo negoziato diplomatico e tecnico condotto insieme al mondo imprenditoriale del comparto. Le agenzie fitosanitarie cinesi hanno, infatti, effettuato controlli molto severi e pignoli prima di autorizzare l’import del nostro riso, mandando in questi anni diverse delegazioni nelle aziende italiane per verificarne l’eccellenza dei metodi di produzione”. LEGGI TUTTO

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    IWB, emissione di prestito obbligazionario per supportare nuove acquisizioni

    (Teleborsa) – Il CdA di Italian Wine Brands, gruppo vinicolo quotato su AIM, ha deliberato l’emissione di un prestito obbligazionario senior, non convertibile, non subordinato e non garantito per un ammontare nominale compreso tra un minimo di 100 milioni di euro e un massimo di 130 milioni di euro.L’operazione servirà a dotare la società delle risorse necessarie per supportare la strategia di crescita del gruppo attraverso linee esterne e, in particolare, per operazioni di acquisizione e consolidamento di società target nel mercato italiano del “wine & food”, oltre che per diversificare le fonti di finanziamento. La società, subordinatamente all’ottenimento delle necessarie autorizzazioni e compatibilmente con le condizioni di mercato, stima che l’offerta del prestito obbligazionario possa concludersi entro il 30 maggio 2021.La durata del prestito è stabilita in sei anni a decorrere dalla data di emissione, con un tasso di interesse fisso, non inferiore al 2% lordo su base annua e un rimborso totalmente bullet a scadenza. Le obbligazioni verranno emesse ad un prezzo pari al 100% del loro valore nominale di sottoscrizione, con un taglio pari a 1.000 euro e verranno offerte per la sottoscrizione attraverso la piattaforma del Mercato Telematico delle Obbligazioni (MOT) di Borsa Italiana. Previo rilascio delle necessarie approvazioni da parte della Banca Centrale d’Irlanda, IWB prevede un dual listing anche sul mercato regolamentato (Regulated Market) dell’official list (Official List) dell’Irish Stock Exchange – Euronext Dublin (Euronext Dublin). LEGGI TUTTO

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    Agroalimentare, Ambrosetti: “In Italia settore regge a impatto pandemia”

    (Teleborsa) – All’interno dei confini nazionali l’industria agroalimentare ha saputo reggere l’urto violento della pandemia e il settore, nonostante la crisi economica innescata dal Covid, ha registrato addirittura una crescita sul fronte export. Nel 2020 il comparto ha generato un valore aggiunto pari a 64,1 miliardi di euro, di cui 31,2 miliardi derivanti dal settore food&beverage, in leggero calo dell’1,8% rispetto al 2019, e 32,9 miliardi provenienti dal comparto agricolo. Un andamento che ha accusato gli effetti della pandemia, ma segnando pur sempre una performance generale migliore rispetto al dato di contrazione avvertito sul PIL nazionale (- 8,9%). Queste le principali evidenze emerse dal Rapporto di The European House – Ambrosetti sugli scenari e le sfide per il settore agroalimentare, temi portanti della quinta edizione del Forum “La Roadmap del futuro per il Food&Beverage: quali evoluzioni e quali sfide per i prossimi anni”, che si terrà a Bormio il prossimo 4 e 5 giugno. I dati sono stati annunciati in anteprima presso la sede della Regione Lombardia nel corso di una conferenza stampa di presentazione dell’evento che ha voluto sottolineare l’importanza della scelta del territorio della Valtellina come sede del Forum e modello di sviluppo per l’agroalimentare. “L’Italia, dopo la Spagna (4%), è il secondo Paese in Europa per incidenza del settore agroalimentare sul PIL (3,8%). Un’incidenza più alta di quella che si registra in Francia (3,0%) e Germania (2,1%) – ha spiegato Valerio De Molli, managing partner & ceo di The European House – Ambrosetti –. Con 64,1 miliardi di euro di valore aggiunto generato nel 2020, il settore agroalimentare si conferma al primo posto tra le ‘4A’ del Made in Italy, 1,9 volte l’automazione, 2,8 volte l’arredamento e 3,2 volte l’abbigliamento. Il valore aggiunto generato dal settore agroalimentare italiano vale 3 volte il settore automotive di Francia e Spagna e più del doppio della somma dell’aerospazio di Francia, Germania e Regno Unito. Non solo. Il settore Food&Beverage si è dimostrato il più resiliente alla crisi Covid-19 tra tutti i settori della manifattura italiana, con una riduzione del valore aggiunto pari a -1,8% nel 2020, rispetto al -8,9% del totale dell’economia italiana”. Sul fronte dell’export, nonostante le oggettive difficoltà legate allo spostamento delle merci da un Paese all’altro e alle restrizioni che hanno penalizzato molti canali di vendita, le esportazioni dei prodotti agroalimentari italiani hanno segnato lo scorso anno una crescita dell’1,8%, raggiungendo un valore record di 46,1 miliardi di euro. Le bevande rappresentano la categoria più venduta al di fuori dei confini e generano oltre un quinto del fatturato (20,6%), mentre Germania, Francia e Stati Uniti rimangono i Paesi di maggiore approdo dell’export made in Italy. L’export regge e cresce, ma – sottolinea il Rapporto – c’è comunque del terreno da recuperare rispetto ai principali peers europei dell’Italia che esportano di più a livello di food&beverage, vale a dire Germania (75,2 miliardi), Francia (62,5 miliardi) e Spagna (54,8 miliardi). L’Italia potrebbe colmare tale divario cercando ulteriori spazi in mercati in crescita, in primis quello cinese che non rientra ancora nei primi dieci bacini di approdo delle merci italiane. A complicare tale sfida vi sono anche i possibili e indesiderati effetti della Brexit che potrebbero pesare quest’anno sull’export nostrano. Un timore che per The European House – Ambrosetti non è da sottovalutare dal momento che il Regno Unito conta per il 12% sull’intero fatturato dai prodotti agroalimentari italiani commercializzati al di fuori dei confini nazionali.Al centro del Forum di Bormio anche il rapporto tra alimentazione, salute e sport. A causa del perdurare della pandemia molti studi prevedono, infatti, un aumento dell’incidenza dell’obesità, patologia che in Italia coinvolge già il 45,5% degli italiani adulti e quasi il 30% dei bambini. L’altra faccia della medaglia vede, sempre a causa della crisi Covid-19, secondo stime Onu-Fao da 83 a 132 milioni di nuove persone denutrite nel 2020 nel pianeta. LEGGI TUTTO

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    Ferrero entra nel settore dei gelati confezionati: da aprile in Italia e 4 Paesi europei

    (Teleborsa) – Il Gruppo Ferrero è entrato nel mercato dei gelati confezionati con il lancio lancia degli stecchi Ferrero Rocher – nelle versioni Classic, Dark e Raffaello – e i ghiaccioli Estathé Ice, nei gusti limone e pesca. Le cinque ricette nel corso del mese di aprile saranno presenti in tutti i canali della grande distribuzione. Oltre che in Italia – dove il settore vale 1,9 miliardi di euro – gli stecchi verranno lanciati in altri quattro Paesi europei: Francia, Germania, Austria e Spagna. LEGGI TUTTO

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    Maltempo, CIA: “Subito piano emergenza per ristoro danni da gelate nei campi”

    (Teleborsa) – Le gelate della scorsa settimana hanno colpito il 60% dell’agricoltura italiana con gravi danni riscontrati in tutto il Paese da nord a sud, fino in Sardegna. Ne deriva, secondo le stime di Cia-Agricoltori Italiani, un taglio della produzione anche totale e per diversi milioni che richiede – questo l’appello lanciato oggi dalla Confederazione – un piano d’emergenza con risorse ancora più straordinarie e nuove strategie contro i cambiamenti climatici. “Servono – sottolinea Cia – migliori strumenti di gestione del rischio e incentivi, attraverso il PNRR, allo sviluppo di sistemi tecnologici di protezione delle colture. La straordinarietà delle forti e brusche variazioni meteorologiche nel momento di piena fioritura delle piante, fa evidenziare, ora, l’urgenza di un nuovo approccio al problema delle calamità naturali da affrontare anche in Europa e in chiave Green Deal”. Dal Veneto al Piemonte, dall’Emilia-Romagna alla Toscana, ma anche in Umbria, Lazio e Sardegna, fino in Campania, Basilicata e Puglia, – spiega la Confederazione – si è trattato di gelate che non si vedevano da 20 o 30 anni, ma che oggi si possono affrontare con consapevolezza e strumenti diversi e più innovativi, anche in piena crisi economica da pandemia.”La rapidità del confronto sui territori perché si attivino le istituzioni a livello regionale è ora nelle ore decisive – ha dichiarato il presidente nazionale di Cia-Agricoltori Italiani, Dino Scanavino –. Sul piano nazionale va fatta con urgenza una ricognizione degli strumenti vigenti e un’analisi del problema nell’ambito del PNRR e del Next Generation Eu per ragionare sul lungo periodo, ma dare anche, subito, risposte concrete”. Diversi gli esempi riportati da Cia. In Puglia, un intero campo di tulipani a Foggia, il primo e l’unico in tutta la regione, è andato completamente distrutto. Nella regione, vigneti, frutteti, ortaggi, seminativi, mandorleti e fiori sono stati pesantemente danneggiati e, in molti casi, – sottolineano gli agricoltori italiani – i prossimi raccolti potrebbero essere in parte o del tutto compromessi. Le gelate hanno colpito duro anche nel Barese, nella Bat, in provincia di Taranto, nel Brindisino e nel Leccese. Un disastro che porta – prosegue Cia – a chiedere lo stato di calamità, ma anche un fondo assicurativo per tutelare le aziende agricole dagli eventi naturali e dalle crisi di mercato, in parte coperto dalla fiscalità generale e in parte dai fondi del Psr, per svincolare gli agricoltori sui rischi da assicurare e ridurre le franchigie. In Umbria, – si legge nella nota della Confedrazione – sono ore critiche per le verifiche sull’olio, ma è certo che i -8 gradi hanno lasciato il segno sul territorio. Colpito il settore ortofrutticolo e quello vitivinicolo, con il Sangiovese e il Grechetto che registrano un danno di produzione notevole, ma non ancora quantificabile. Le due varietà della vite sono, infatti, – spiega Cia – le più precoci, oltre a essere quelle maggiormente coltivate in Umbria. Nel corso delle passate settimane, con punte di 27 gradi ad anticipare l’estate, si sono visti i primi germogli. Ora, la gelata ha bloccato lo sviluppo delle viti nel momento più importante. Con un clima ottimale da adesso fino alla vendemmia, si avrà una pianta ancora in salute, forse, ma con ben pochi frutti. LEGGI TUTTO

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    Export ortofrutta, nel 2020 volume in calo ma crescita in valore

    (Teleborsa) – Cambiano le abitudini di consumo di ortofrutta in Italia. Nel 2020, con l’arrivo della pandemia, gli acquisti al dettaglio siano rimasti sostanzialmente stabili (-1% in quantità rispetto al 2019), ma sono cambiati i comportamenti di acquisto e consumo, con effetti che si risentiranno anche nel post-Covid 19. Parallelamente l’export di ortofrutta, pur con un calo in termini di volumi del 4% nel 2020, ha registrato una crescita in valore del 5%. Il comparto ha quindi tenuto nello scenario dell’emergenza pandemica. Questo il quadro emerso nel corso dell’evento online “L’ortofrutta nello scenario post Covid: come sono cambiati imprese, mercati e consumatori dopo un anno di pandemia” promosso e organizzato da CSO Italy e Nomisma, nell’anno dedicato dalle Nazioni Unite all’ortofrutta.Per quanto riguarda l’export – come ha spiegato Barbara Brunello di CSO Italy – la diminuzione dei volumi è in alcuni casi una diretta conseguenza della minore offerta disponibile per alcune referenze, mentre in altri casi è un calo imputabile allo scoppio della pandemia, come mostrano le analisi temporali dei volumi spediti (nei mesi di marzo e aprile 2020 l’export di frutta e ortaggi è diminuito rispettivamente del 12% e del 10% rispetto allo stesso periodo del 2019). A fronte di una stabilità delle spedizioni verso il mercato intra Ue e una crescita di quello verso i Paesi europei extra Ue (+6% sul 2019), si registra invece un crollo delle esportazioni frutticole nei più lontani mercati degli altri continenti (-24% sul 2019). Sul fronte delle abitudini di consumo – rileva Nomisma – si è registrata una maggiore attenzione alla stagionalità, all’origine italiana dell’alimento, alla sua conservabilità e al prodotto ‘locale’. È cambiato, in sostanza, il profilo del consumatore di ortofrutta, che ora guarda a questi prodotti soprattutto alla ricerca di una vita sana ed equilibrata. Si moltiplicano le occasioni di consumo (un italiano su 3 mangia frutta anche fuori dai pasti, per merenda o per uno spuntino), si diversificano i canali di vendita (nel 2020 il 22% dei consumatori ha acquistato frutta o verdura online o tramite ordini telefonici), c’è grande attenzione alla varietà. Fra i criteri di scelta la stagionalità è citata dal 43% degli italiani, ma fondamentali per il 56 % dei consumatori sono origine e caratteristiche del processo produttivo (origine italiana, locale, biologico, tracciabilità, ecc.). mentre stenta ancora ad affermarsi la marca. Nel periodo del lockdown si è verificato un incremento importante degli acquisti (+13%), grazie alle ottime performance di prodotti come mele, arance, kiwi, patate, carote, solo per fare alcuni esempi, che grazie alle loro caratteristiche di elevata conservabilità, sono risultati i preferiti dai consumatori. La pandemia ha inoltre rimescolato le carte sul fronte dei canali di acquisto. I supermercati, il dettaglio specializzato, le superette e i discount proprio nel periodo di lockdown hanno aumentato la loro quota di mercato, mentre gli ipermercati, i mercati rionali e gli ambulanti hanno vissuto una importante contrazione. È cresciuta in modo significativo anche la vendita del prodotto confezionato che nel 2020 rappresenta il 23% del totale per la frutta e il 31% per gli ortaggi recuperando in entrambi i casi due punti percentuali rispetto al 2019. Cambia, inoltre, anche la mappa dei valori e nello scenario post Covid acquisteranno sempre maggiore importanza rispetto al passato: la preferenza per l’ortofrutta di origine italiana (sarà più rilevante per il 45% degli italiani), con una forte impronta “local” (35%); l’attenzione alla qualità, intesa come prodotto di stagione (42%), fresco (33%) e con garanzie di tracciabilità (34%); la spinta al “green”, sia in termini di packaging riciclabileecosostenibile (36%) che di produzioni biologiche (23%). Crescerà anche l’attenzione al prezzo, ma in maniera meno marcata (27%). Anche il packaging è un driver attivo nella scelta di un prodotto alimentare (il 25% dei consumatori considera anche le caratteristiche dei materiali della confezione tra i criteri di acquisto): è importante il ruolo di protezione del prodotto (citata dal 66% dei consumatori), ma anche il contributo attivo alla sostenibilità del prodotto (47%) e come “strumento” di comunicazione dei valori del prodotto (35%). In questo contesto anche il packaging dei prodotti ortofrutticoli ha un ruolo determinante: nel 2020 sono state vendute 2,6 miliardi di confezioni (+80 milioni rispetto al 2019), effetto legato alle nuove esigenze di sicurezza del consumatore che hanno spinto la ricerca di prodotto confezionato. Infine, l’indagine Nomisma sulle imprese ortofrutticole, che ha coinvolto una campione di 40 aziende, evidenzia la capacità di resilienza del settore ortofrutticolo in un contesto di eccezionale gravità, sia per effetto della pandemia che degli impatti negativi sulla produzione dovuti ad eventi climatici e avversità fitopatologiche (che hanno coinvolto oltre il 70% delle aziende). Le imprese sono state sempre attive, anche durante il lockdown, ed hanno prontamente adottato tutte le misure necessarie per evitare il contagio, nonostante le maggiori complessità organizzative (registrate dal 70% delle imprese del campione), la dilatazione dei tempi (55%), la minore efficienza del lavoro (60%) e conseguentemente l’incremento dei costi (65%). Le imprese si preparano ad affrontare un nuovo scenario post-Covid intercettando le nuove esigenze del consumo e pianificando il rilancio nei prossimi due anni, con attenzione soprattutto all’ampliamento e alla diversificazione dei mercati esteri (azioni pianificate nel 38% delle imprese), alla transizione ecologica nei sistemi produttivi e nel packaging (33% rispettivamente per confezioni più ecosostenibili o riciclabili e adozione di pratiche a maggiore sostenibilità ambientale), al confezionamento del prodotto fresco (31%) ed alla transizione digitale dell’industria 4.0 (23%). LEGGI TUTTO