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  • Terna: Di Foggia, risultati solidi ci consentono di confermare la guidance

    (Teleborsa) – Terna ha chiuso il primo semestre 2025 “con risultati forti, nonostante il contesto macroeconomico e geopolitico sempre più complesso e sfidante” che “ci consentono di confermare la guidance per l’intero 2025”. Lo ha detto Giuseppina Di Foggia, amministratore delegato e direttore generale di Terna, durante la presentazione dei risultati del primo semestre dell’anno che hanno mostrato investimenti record.Terna, ha aggiunto Di Foggia, è impegnata nell’esecuzione degli obiettivi del suo piano. Questo consentirà l’integrazione delle fonti rinnovabili, lo sviluppo della rete e il rafforzamento delle interconnessioni con i paesi esteri. “Questi sforzi miglioreranno la sicurezza e la resilienza del sistema elettrico, permettendo il raggiungimento degli obiettivi nazionali ed europei e garantendo la stabilità del sistema”. “Il sistema elettrico europeo è complesso, ha detto ancora la top manager rispondendo a una domanda sul rischio blackout come accaduto in Spagna, e l’Italia ne rappresenta una componente fondamentale. Sebbene non sia possibile eliminare completamente ogni rischio, la rete italiana è oggi decisamente più resiliente, grazie agli investimenti realizzati da Terna negli ultimi anni per rafforzarne la sicurezza”. LEGGI TUTTO

  • Accordo commerciale Ue-Usa, Scope Ratings: “Impatti sul settore bancario italiano saranno gestibili”

    (Teleborsa) – “Le banche italiane affrontano rischi relativamente bassi per la qualità degli attivi derivanti dai nuovi dazi statunitensi, sebbene gli effetti di secondo livello potrebbero influire sulla redditività. Prevediamo che l’accordo commerciale UE-USA avrà un impatto limitato sui profili creditizi delle banche italiane, sebbene possa potenzialmente avere ripercussioni significative su alcuni settori dell’economia italiana”. È quanto afferma Alessandro Boratti, lead analyst di Scope Ratings.Secondo il ministero degli Affari Esteri italiano, – si legge nell’analisi di Scope Ratings, elaborata dagli analisti del Financial Institutions Team – le esportazioni verso gli Stati Uniti ammontavano a 64,7 miliardi di euro nel 2024, pari a circa il 3% del PIL italiano. Oltre due terzi erano rappresentati da macchinari (20%), prodotti farmaceutici (16%), alimenti e bevande (12%), trasporti (incluso il settore automobilistico, 12%), prodotti chimici ed elettronici (4% ciascuno). I prodotti farmaceutici sono stati momentaneamente esclusi dall’accordo commerciale, il che implica che potrebbe essere applicata un’imposta più elevata, come lasciato intendere dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump.L’esposizione delle grandi banche italiane ai settori più vulnerabili alle imposte statunitensi è limitata. Ciò – evidenzia Scope Ratings – riflette il grado di diversificazione settoriale dei loro portafogli di prestiti alle imprese. Infatti, i prestiti a questi settori rappresentano solo tra il 6% e il 10% dei prestiti lordi alla clientela per le sette banche del campione analizzato da Scope Ratings (Intesa Sanpaolo, UniCredit, Banco BPM, Banca Monte dei Paschi di Siena, Mediobanca, BPER Banca, Credito Emiliano). “È irrealistico – evidenzia la ricerca – supporre che questi prestiti siano interamente concessi agli esportatori direttamente interessati dai nuovi dazi statunitensi, quindi i rischi sono contenuti”.Tuttavia, – prosegue l’analisi – i dazi potrebbero indurre un rallentamento economico, e questo potrebbe portare a un più ampio deterioramento della qualità del credito in vari segmenti dell’economia. Scope stima che l’Italia potrebbe affrontare una perdita di produzione a breve termine di 0,4 punti percentuali, aggiungendo pressione a una crescita già modesta. Oltre alle preoccupazioni sulla qualità degli attivi, il principale svantaggio per le banche italiane risiede nel potenziale impatto sulla generazione di ricavi. Le sfide alla crescita economica italiana potrebbero ridurre la già debole domanda di prestiti, che avrebbero un impatto negativo sul margine di interesse netto delle banche. La crescita dei prestiti in Italia è una delle più basse dell’area dell’euro, secondo i dati della BCE. A maggio 2025, la crescita annua dei prestiti a famiglie e imprese in Italia era quasi nulla, rispetto a una media di circa il 2% nell’area dell’euro.Una prospettiva economica più debole in Italia e in Europa, unita a un’inflazione più bassa, poiché paesi come la Cina si rivolgono all’UE per compensare le perdite commerciali con gli Stati Uniti, potrebbe indurre la BCE a tagliare i tassi più del previsto. Attualmente Scope prevede che il tasso sui depositi della BCE raggiungerà l’1,75% entro la fine del 2026, dall’attuale 2%. Uno scenario in cui la BCE taglia i tassi più o più rapidamente di quanto ipotizzato potrebbe erodere i margini delle banche e annullare parte dei recenti guadagni di redditività di cui le banche italiane hanno beneficiato grazie all’ampliamento dei margini di interesse.”Riteniamo – sottolinea Scope – che il nuovo accordo commerciale ridurrà l’incertezza, ma la mancanza di visibilità sulla politica commerciale statunitense potrebbe innescare volatilità del mercato. Ciò avrebbe effetti contrastanti sul settore bancario italiano. Fornirebbe un incremento dei ricavi agli istituti che operano su larga scala sui mercati dei capitali (ad esempio UniCredit), ma avrebbeun impatto negativo sulla vendita di prodotti di asset management e wealth management, riducendo così le commissioni legate alla performance”. A titolo di esempio, – spiega Scope – a maggio 2025 si è registrato un deflusso netto di asset in gestione pari a 2,4 miliardi di euro, secondo Assogestioni, che all’epoca ha posto fine a nove mesi di crescita.Le banche italiane sono ben posizionate per affrontare le sfide”Le banche italiane – rileva Scope – sono, tuttavia, ben posizionate per affrontare queste sfide. Dal punto di vista del rischio di credito, i loro bilanci sono i più solidi dalla crisi finanziaria globale, supportati da anni di de-risking e da una migliore gestione del rischio di credito”. A marzo 2025, il rapporto tra crediti deteriorati lordi e impieghi a breve termine (NPL) del settore si attestava al 2,8%, in calo rispetto al 17,1%. Dall’inizio della pandemia, le banche hanno accumulato ingenti accantonamenti per perdite su crediti non assegnati, la maggior parte dei quali sono ancora intatti e forniscono un cuscinetto contro un deterioramento imprevisto della qualità dei prestiti. UniCredit (A/Stabile), Intesa (A/Stabile) e Banco BPM detengono sovrapposizioni pari a rispettivamente circa 40 pb, 20 pb e 15 pb di prestiti alla clientela. Forse ancora più importante, la redditività delle banche italiane è più che raddoppiata negli ultimi tre anni.I rendimenti delle attività ponderate per il rischio per le sette banche del campione analizzato nella ricerca sono stati in media del 3,1% nel 2024, in aumento rispetto all’1,2% del 2021, quindi, – evidenzia Scope – “sebbene i rischi siano orientati al ribasso, la solida base di partenza significa che le banche italiane possono sopportare una certa pressione sui ricavi prima di compromettere materialmente la loro capacità di assorbire le perdite su crediti attraverso la redditività operativa ordinaria”. Nel 2024, gli utili medi prima degli accantonamenti nel campione di banche esaminato erano 13 volte superiori agli accantonamenti per perdite su crediti, che – conclude Scope – è un fattore chiave per i nostri rating creditizi. LEGGI TUTTO

  • FMI alza le previsioni di crescita globale: 2025 +3%, 2026 +3,1%

    (Teleborsa) – Il Fondo monetario internazionale ha rivisto al rialzo le previsioni di crescita mondiale. L’istituzione di Washington, nell’ultimo aggiornamento del suo World Economic Outlook, prevede un più 3% del Pil globale quest’anno, cui dovrebbe seguire il più 3,1% nel 2026. Si tratta, rispettivamente, di 0,2 e 0,1 punti percentuali in più rispetto alle previsioni dello scorso aprile. Una revisione che riflette l’abbassamento dei dazi imposti dagli Stati Uniti rispetto a quanto era stato annunciato lo scorso aprile, il miglioramento delle condizioni finanziarie, anche grazie all’indebolimento del dollaro, e l’espansione di bilancio “in alcune giurisdizioni”.Nel dettaglio per gli Stati Uniti, il Fmi ha alzato le previsioni di 0,1 punti al più 1,9% quest’anno e di 0,3 punti, al più 2% il prossimo. Per l’area euro ha alzato di 0,2 punti la stima sul Pil 2025, al più 1%, prevalentemente a riflesso di dati migliori delle attese dall’Irlanda, e confermato al più 1,2% quella sul prossimo anno. Per l’Italia ha alzato di 0,1 punti la stima 2025, al più 0,5%, e confermato quella sul 2026 al più 0,8%. Per la Germania ha effettuato ritocchi analoghi con cui la crescita 2025 è indicata ora al più 0,1% (prima era a zero) e quella sul 2026 al più 0,9%. Confermate le previsioni sulla Francia, più 0,6% del Pil quest’anno e più 1% il prossimo, e sulla Spagna, più 2,5% quest’anno e più 1,8% il prossimo. Per il Giappone, il Fmi prevede una crescita dello 0,7% quest’anno e dello 0,5% il prossimo, nel primo caso ritoccata al rialzo di 0,1 punti nel secondo abbassata in misura analoga. Per la Cina il Fmi ha effettuato consistenti revisioni al rialzo (presumibilmente quelle a cui si riferisce nelle sovramenzionate espansioni di bilancio): 0,8 punti percentuali di crescita in più quest’anno al più 4,8% e 0,2 punti sul prossimo al più 4,2%. Ha invece nettamente tagliato, per 0,6 punti percentuali, la previsione di crescita di quest’anno della Russia, al più 0,9%, alzandola di 0,1 punti al più 1% sul 2026. “I rischi sulle prospettive sono sbilanciati verso il rallentamento, così com’era ad aprile. Un rimbalzo dei dazi effettivi potrebbe indebolire la crescita – avverte il Fmi nel sommario dello studio –. L’elevata incertezza potrebbe iniziare a pesare in maniera più vigorosa sull’attività economica, anche mentre i termini per le trattative sui dazi scadono senza progressi consistenti o accordi permanenti”. Secondo l’istituzione di Washington, le tensioni geopolitiche potrebbero danneggiare le catene di approvvigionamento globali e spingere al rialzo i prezzi delle materie prime. In questo quadro “deficit di bilancio più elevati o un aumento dell’avversione al rischio degli investitori potrebbero – si legge nel report – provocare aumenti dei tassi di interesse sul lungo termine e un inasprimento delle condizioni finanziarie globali”. Questo “combinato con le preoccupazioni sulla frammentazione, potrebbe reinnescare la volatilità dei mercati finanziari”. All’opposto, sul versante positivo la crescita economica potrebbe essere più sostenuta se i negoziati sul commercio dovessero portare a “un quadro prevedibile e a riduzioni dei dazi”, quello che si profilerebbe tra Usa e Ue con l’accordo politico appena raggiunto, che apparentemente non si è fatto in tempo a includere nelle stime. Il Fmi raccomanda alle politiche di “apportare fiducia, prevedibilità e sostenibilità, calmando le tensioni, preservando la stabilità dei prezzi e finanziaria e ripristinando margini di bilancio, attuando le riforme strutturali richieste da tanto tempo”.Le stime del Fmi avevano come presupposto uno scenario di base che vedeva dazi Usa “attorno al 17%”, quindi non lontani dai livelli effettivamente concordati: considerando i nuovi accordo le previsioni economiche appena diffuse non subirebbero grandi variazioni. “La situazione si sta evolvendo ma da quello che possiamo vedere in generale questi accordi commerciali – ha spiegato il capo economista del Fmi, Pierre Olivier Gourinchas nella conferenza stampa di presentazione del parziale aggiornamento al World Economic Outlook – porteranno i dazi effettivi degli Usa con altre regioni del mondo in prossimità a quanto assumevamo nel nostro scenario di base di questo aggiornamento di luglio. Per ora non vediamo grandi cambiamenti rispetto al 17% di dazi pronosticato, potrebbe essere un po’ sotto, un po’ sopra. Da questa prospettiva, le nostre previsioni di base restano molto dove le vedevamo 10 giorni fa”, quando sono state finalizzate le stime. C’è poi – ha aggiunto Gourinchas – “un aspetto rilevante degli accordi commerciali: se porteranno una certa dose di certezza sul commercio. Questo ci vorrà tempo per valutarlo, quindi la situazione ancora molto da definire”.La risalita di deficit di bilancio e debiti pubblici in diversi paesi avanzati sta facendo aumentare i tassi di interesse a lungo termine sui titoli di Stato, dato che si combina anche con manovre di inasprimento quantitativo da parte delle banche centrali. Il tutto crea pressioni sulle capacità di finanziamento anche per le economie in via di sviluppo, oltre che per le stesse economie avanzate. “In vari paesi – ha detto Gourinchas rispondendo ad una domanda sui debiti di Francia e Paesi africani – vediamo i debiti risalire assieme, ai deficit, questo crea nuovi problemi sulla gestione dei conti e contribuisce a mettere pressione sui tassi di lungo termine. Vediamo che stanno salendo mentre i mercati devono assorbire maggiori quantità di titoli di Stato”. E questo – ha proseguito – è ulteriormente accentuato dal fatto che “le banche centrali stanno facendo inasprimento quantitativo, cioè riducono le loro detenzioni di titoli di lungo termine. Tutto questo porta a tassi di lungo termine più alti in tutto il mondo e questo ha un impatto sulle condizioni di finanziamento nei Paesi emergenti. Questo – ha concluso – aggiunge pressione sul resto del mondo”. LEGGI TUTTO

  • USA, fiducia consumatori sale più delle attese a luglio

    (Teleborsa) – Aumenta più delle attese la fiducia dei consumatori americani. Il sondaggio del Conference Board degli Stati Uniti sul sentiment dei consumatori ha segnalato un incremento dell’indice a 97,2 punti, nel mese di luglio, rispetto ai 95,2 punti del mese di giugno (rivisto da un preliminare di 93 punti) e contro una salita fino a 95,9 punti attesa dal consensus. Nello stesso periodo l’indice sulla situazione presente scende di 1,5 punti e si porta a 131,5 punti, mentre l’indice sulle attese sale di 4,5 punti a 74,4 punti.Il sondaggio sulla fiducia dei consumatori è basato su un campione rappresentativo di 5.000 famiglie americane ed è condotto per il Conference Board dal NFO WorldGroup.(Foto: Alexander Kovacs on Unsplash) LEGGI TUTTO

  • Da posti lavoro a PIL, quale impatto da dazi al 15%?

    (Teleborsa) – Con l’accordo con gli Stati Uniti sui dazi al 15% c’è il rischio, comprendendo il settore farmaceutico, di una riduzione del Pil di 6,296 miliardi (-0,3%), di una diminuzione delle esportazioni di 8,627 miliardi (-14%) e un calo delle unità di lavoro di 103.892 (-0,4%). E’ la stima di Svimez che sottolinea come escludendo il settore farmaceutico si riduca l’impatto.Il Pil si ridurrebbe di 5,43 miliardi (-0,2%), le esportazioni di 7,44 miliardi (-12%) e i posti di lavoro di 89.645 unità (-0,34%). Per il Mezzogiorno si avrebbe una riduzione delle esportazioni di 705 milioni (-11%), del Pil di 482 milioni (-0,1%) e di 8.519 unità di lavoro (-0,12%). “So che chi ha la delega per farlo sta analizzando il tutto”, dice intanto il vicepremier e ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini, a margine del cda della società Stretto di Messina, in merito alla possibilità che si possa indennizzare le aziende che dovessero avere delle difficoltà legate ai dazi Usa.Per quanto riguarda gli impegni plurimiliardari di investimento Ue negli Usa (per 600 miliardi di dollari) e di acquisti di energia dagli Usa (per 750 miliardi in tre anni), “la Commissione Ue non può ordinare alle imprese cosa fare, ma può parlare con industrie e compagnie per capire le loro intenzioni sui prossimi anni. E quello he ci hanno detto e’ che prevedono di investire negli Usa, ci hanno fornito le loro intenzioni, i loro impegni”: è quanto chiarisce un portavoce della Commissione Ue, Olof Gill rispondendo ad una domanda sul come verra’ attuato questo aspetto dell’accordo politico sui dazi con gli Usa. “Non posiamo costringere ma possiamo parlare, recepire quello che le imprese ci dicono e trasmetterlo ai nostri partner americani, per fare funzionare al meglio il business”, ha ribadito. LEGGI TUTTO

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