(Teleborsa) – Senza considerare l’impatto del Covid che, nel corso del 2020, ha esteso nettamente tale modalità di lavoro, già nel 2019 lo smart working in Italia ha registrato un aumento con un 20% rispetto all’anno precedente. Nel 2019, i lavoratori italiani in smart working erano 570mila, circa il 2% del totale. Se il dato appare ancora basso, tuttavia, il tasso di implementazione dello smart working registra variazioni rilevanti tra grandi aziende, PMI e PA (Grandi imprese: 58% progetti strutturati, 7% iniziative informali; PMI: 12% progetti strutturati, 18% iniziative informali; PA 16% progetti strutturati, 7% iniziative informali). È quanto emerge dallo studio di PwC Italia “Smart working e coworking, verso un nuovo modello di lavoro”, presentato nel corso del Meeting di Rimini da Andrea Toselli, presidente e ad di PwC Italia.
Tra le barriere che ancora oggi ostacolano la diffusione dello smart working in Italia il rapporto annovera diversi fattori. Nel caso delle Grandi imprese il problema principale è rappresentato dalla mancanza di interesse e resistenza dei capi (50% dei casi), a cui seguono questioni legate alla sicurezza dei dati (31%) ed attività poco digitalizzate (31%). Sul fronte delle PMI i maggiori ostacoli sono la non applicabilità dello smart working alla propria realtà (68%) e la mancanza d’interesse e resistenza dei capi (23%). Nel settore della PA a pesare per il 43% è la non applicabilità alla propria realtà, per il 27% la mancanza di consapevolezza dei benefici ottenibili, e per il 21% attività poco digitalizzate/ inadeguatezza della tecnologia.
La possibilità di lavorare in smart working – evidenzia il rapporto – differisce enormemente a seconda del settore di attività. Secondo le elaborazioni del Becker Friedman Institute in Italia potrebbe usufruire dello smart working il 35% dei lavoratori, data la struttura del nostro tessuto produttivo. Una percentuale, come già accennato, che attualmente è ferma al 2%. Riguardo ai settori che potrebbero implementare questa modalità di lavoro, la classifica stilata da PwC vede in testa quello dell’educazione (83%); seguito da Servizi professionali, scientifici e tecnici (80%); Management (79%); Finanza e assicurazione (76%); ICT (72%); Commercio all’ingrosso (52%); Real estate, noleggio e leasing (42%); Utilities (37%); Altri servizi esclusa la PA (31%); Gestione del ciclo dei rifiuti e bonifiche (31%); Arte, intrattenimento e spettacolo (30%); Assistenza sanitaria e sociale (25%); Estrazione di oil&gas e da miniere e cave (25%); Manifatturiero (22%); Trasporto e magazzinaggio (19%); Costruzioni (19%); Commercio al dettaglio (14%); Agricoltura, silvicoltura, pesca, caccia (8%); Alloggio e ristorazione (4%).
Una ricerca condotta dal centro studi Dondena dell’Università Bocconi ha dimostrato che l’introduzione di un modello di smart working nelle aziende italiane comporta benefici in termini di maggiore produttività e minori assenze dei lavoratori. Dati che – come sottolinea PwC – sono esattamente in linea con i risultati di analoghe ricerche condotte a livello internazionale.
Un maggiore ricorso allo smart working permetterebbe – rileva l’analisi – un importante aumento del valore aggiunto generato a livello di Sistema Paese. Nel dettaglio PwC stima in un +4% l’aumento di produttività registrato nei lavoratori che usufruiscono dello smart working con, in media, 5 giorni di congedo in meno richiesti. La stima dell’Ufficio Studi PwC sull’incremento massimo di PIL che sarebbe possibile generare a livello di sistema Paese se tutti i lavoratori che ne ne avrebbero la possibilità usufruissero dello smart working un giorno a settimana è pari a un massimo di +1,2%.
I benefici di un maggiore ricorso allo smart working si riflettono anche sulla mobilità. In media, – si legge nel rapporto –i lavoratori italiani dedicano un’ora al giorno al tragitto casa-lavoro e ritorno. Dunque, eliminare la necessità di tale spostamenti, avrebbe effetti positivi in primo luogo sull’ambiente e sulla vivibilità delle città (grazie al decongestionamento del traffico), oltre che permettere una più soddisfacente gestione del tempo ai lavoratori. Secondo lo studio di PwC se tutti i lavoratori che ne avrebbero la possibilità usufruissero dello smart working un giorno a settimana nel corso di un anno il tempo di viaggio risparmiato in Italia sarebbe di oltre 350 milioni di ore.
Un maggiore ricorso allo smart working implica, tuttavia, una rinnovata concezione degli ambienti di lavoro. “Come dimostrato dai processi di riorganizzazione degli spazi in occasione dell’introduzione del lavoro agile, lo smart working – si legge nel rapporto – si inserisce in un più ampio processo di rinnovamento della concezione che abbiamo degli ambienti di lavoro, nell’ottica di una sempre maggiore flessibilità”. Secondo i risultati di una Survey PwC condotta nel 2018, il 68% degli operatori del Real Estate in Europa ritiene che il business model del settore si stia evolvendo verso il concetto di “space-as-a-service” (spazi affittati su richiesta che soddisfano le esigenze specifiche di flessibilità del cliente e che ne consentono l’utilizzo più efficace e profittevole). Sotto questo punto di vista la pandemia ha generato un clima di profonda incertezza, che – sottolinea PwC – richiede alla business community di ripensare le modalità di gestione del personale e le proprie strategie real estate, aumentando ulteriormente la necessità di flessibilità. Un numero crescente di aziende programma quindi di rivolgere la propria attenzione verso flexible office e coworking, in quanto modelli per proprie caratteristiche già pronti a rispondere alla domanda di flessibilità delle aziende. A livello globale, le aziende mostrano necessità di maggiore flessibilità e questo si traduce in una maggiore attenzione per flexible office e coworking. Nel dettaglio – evidenzia lo studio – il 74% dei Cfo intervistati da Gartner prevede di ricollocare da remoto almeno il 5% della forza lavoro e solo il 29% dei senior-level global real estate executives intervistati da CBRE si dice molto fiducioso sulla possibilità di formulare una strategia real estate di lungo termine. Il 33% dei senior-level global real estate executives intervistati da CBRE ha in programma un maggiore ricorso ai flexible office, mentre JLL stima che entro il 2030 i flexible workspace peseranno per il 30% delmercato USA dell’affitto di uffici (nel 2018 pesavano per meno del 5%). LEGGI TUTTO