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    Trasporti: biodiesel centrale per la transizione energetica

    (Teleborsa) – La filiera italiana del biodiesel è pronta a dare un contributo forte alla decarbonizzazione dei trasporti, ma chiede scelte chiare alla politica, a Roma come a Bruxelles. A Ecomondo, il Gruppo biodiesel di ASSITOL ha coinvolto i principali protagonisti dell’automotive in un dibattito, che ha evidenziato i benefici e le criticità dell’impiego dei biocarburanti nella transizione energetica.Per i produttori di biodiesel aderenti all’Associazione, è finito il tempo delle contrapposizioni ideologiche e della narrazione che vede una fonte rinnovabile contro l’altra. “La soluzione – ha spiegato Carlotta Trucillo, segretaria del gruppo e vicedirettore di ASSITOL – è il mix energetico, Diciamo basta alla demonizzazione e puntiamo sulla neutralità tecnologica. Il biodiesel può fare la differenza, soprattutto in Italia, che è all’avanguardia da decenni in questo campo, e può contare sul vantaggio di essere ben noto ai consumatori, perché è utilizzato tutti i giorni nei nostri motori diesel, i più diffusi sul mercato”.La lotta al cambiamento climatico – sottolinea il Gruppo biodiesel di ASSITOL in una nota – si deve basare su un approccio pragmatico, capace di fornire risposte efficienti, immediatamente disponibili ed economicamente sostenibili, alle necessità dell’industria e dei trasporti. Risposte che il biodiesel può dare, perché è un biocarburante rinnovabile da materie prime certificate sostenibili, come l’olio da cucina usato, i residui e i sottoprodotti da grassi animali. “La crisi ucraina e i problemi di approvvigionamento che ne sono derivati – ha sottolineato Trucillo – hanno dimostrato che non è possibile privilegiare un’unica fonte, rischiando di danneggiare interi settori produttivi, come nel caso dell’automotive”. Salvaguardare le filiere è un obiettivo fattibile: l’Europa è leader di mercato nella produzione di biocarburanti e, nei trasporti, il 77% dell’energia rinnovabile proviene proprio dai biofuel. Innegabili, poi, i benefici sull’ambiente, come la riduzione fino al 90% di CO2, l’alta biodegradabilità del biodiesel, l’assenza di polveri sottili (pm), e la sua sostenibilità certificata secondo i criteri previsti dalla Direttiva “RED”, a garanzia di tracciabilità e riduzione delle emissioni per tutto il suo ciclo di vita.Dal 2015, il settore – spiega la nota – ha visto diminuire gli investimenti, proprio per via dell’incertezza normativa e della graduale canalizzazione delle scelte politiche verso altre fonti rinnovabili. Eppure, sulle strade d’Europa, ogni anno, si consumano 14 milioni di tonnellate di biodiesel. A trainare il settore sono Germania, Olanda, Francia, Spagna e Italia, che nel complesso hanno una capacità produttiva di oltre 10 milioni di tonnellate. Per la segretaria del Gruppo biodiesel di ASSITOL, “le recenti aperture della Commissione Ue sui biocarburanti fanno ben sperare. Ci auguriamo che, a queste parole, segua la revisione delle regole. La filiera è pronta a dialogare e a fare massa critica”.Oggi il biodiesel è presente per la distribuzione in miscela (B7), ma non ancora in purezza (B100). Con alcuni adeguamenti tecnici, la rete sarebbe disponibile a breve, ma, a frenare in tal senso, sono l’incertezza normativa, i dubbi sulla sua immediata disponibilità tecnica. Lo ha chiarito Mauro Concezzi, responsabile nazionale di Cna-Fita, che rappresenta le piccole e medie imprese dell’autotrasporto. “Il biodiesel – ha spiegato Concezzi – può essere la via di fuga da un quadro reso complesso dai costi della transizione energetica. La strategia europea per la decarbonizzazione rischia di colpire un settore molto frammentato, che già oggi deve fronteggiare gli alti costi del carburante, e che non può aggiungere a questi oneri anche quelli legati al passaggio al veicolo elettrico”. Concezzi ha smentito alcuni luoghi comuni sull’autotrasporto: il 58% del parco mezzi complessivo (conto terzi e conto proprio) è rappresentato da Euro 4 e inferiori, il 42,16 sono Euro 5 e 6. Tuttavia, i veicoli euro 4 ed inferiori, riconducibili al solo contoterzi, sono molti di meno, il 25,50%. “Non è quindi vero, come molti sostengono, che utilizziamo veicoli vecchi. È vero, semmai, che ogni mezzo viaggia molto, per una media annua di 100mila km” ha detto Concezzi. L’intero fabbisogno complessivo del trasporto commerciale italiano è di 8 miliardi di tonnellate di gasolio. “L’obiettivo – ha aggiunto – è la sostituzione dei veicoli, ma i mezzi per finanziarla sono sempre più ridotti, creando una trappola soprattutto per le aziende con minori risorse. Vogliamo anche noi la sostenibilità, ma, come afferma il principio base dell’economia circolare, soddisfacendo le esigenze attuali senza compromettere le generazioni future”.Utilizzare in purezza il biodiesel è già possibile, grazie alla capacità di innovazione del nostro Made in Italy. Adriano Cordisco, ceo di Refuel Solutions, ha chiarito il ruolo strategico del biodiesel B100 nella decarbonizzazione dei trasporti e dell’industria. L’Italia, ha ricordato, produce 800mila tonnellate di biodiesel all’anno da materie prime sostenibili e dispone delle competenze necessarie per puntare su questo biocarburante. “Con milioni di mezzi diesel destinati a rimanere operativi nei prossimi decenni e un tasso di rinnovo annuo del 4%, attendere la sostituzione naturale dei veicoli significherebbe aspettare 25 anni – ha stigmatizzato Cordisco –. In Refuel Solutions, dal 2021 abbiamo scelto di fare ricerca sul biodiesel, unica soluzione per la decarbonizzazione del segmento più impattante del settore industriale. Soprattutto se paragonato ad altre fonti rinnovabili in termini di polveri sottili e di CO2, il biodiesel non ha rivali”. Basti pensare alla riduzione del 60% nell’emissione di particolato, da sempre indicato come l’agente inquinante più pericoloso delle nostre città, e alle proprietà lubrificanti del biodiesel, che di fatto allungano la vita al motore. “Anche per queste ragioni, in Europa il B100 è in crescita”, ha ribadito Cordisco.Proprio agendo da scienziati, i fondatori di ReFuel Solutions si sono chiesti che cosa, tecnicamente, bloccasse l’utilizzo di biodiesel puro. In risposta ai limiti tecnologici di compatibilità con i motori diesel, è nato BiodieselKit, un sistema brevettato internazionalmente che permette di impiegare il biodiesel in purezza su qualsiasi veicolo alimentato a diesel. La tecnologia, certificata secondo la Direttiva Macchine europea e che presto inizierà l’iter omologativo per lo stradale, è applicabile in qualsiasi ambito, dalle macchine agricole ai treni, dai cantieri alle navi. “Non parlerei di rivoluzione – ha rimarcato Cordisco – ma di saper cogliere le opportunità della filiera italiana e degli investimenti in tecnologia come il nostro. Quello che serve, ora, è la volontà di tutti nel valorizzare il biodiesel”.Anche sul fronte della distribuzione, sono urgenti scelte e strategie chiare. Per Letizia Pasqualini, responsabile transizione energetica, politiche Ue e rapporti interassociativi di Assopetroli-Assoenergia, “l’infrastruttura distributiva c’è, è capillare e diffusa, Tuttavia, accanto a tanti fattori positivi, esistono fattori che bloccano l’immissione in consumo degli LCF, i Low Carbon Fuel. Se si vuole accelerare sulla transizione energetica, occorre rimuovere questi fattori”. Il primo ostacolo alla decarbonizzazione è la contraddizione tra norme. L’Europa sembra remare in due direzioni: da un lato, con la Red III favorisce i biocarburanti e con la ETS2 ne raccomanda l’impiego nei trasporti, Dall’altro, con Regolamento sulle emissioni di CO2 LDV, ha deciso di basarsi esclusivamente sulle emissioni allo scarico, decretando lo stop al motore endotermico dal 2035. “Questo paradosso determina incertezza e rallentamento negli investimenti – ha osservato Pasqualini – esattamente il contrario di quello di cui abbiamo bisogno, vale a dire regole chiare e giuste”. Per la riconversione della rete distributiva italiana agli LCF, che, secondo uno studio condotto da RIE-Assopetroli-Assoenergia, dovrebbe avere un costo di circa 2 miliardi di euro, occorre istituire un fondo di transizione. Un investimento importante, ma che corrisponde a meno del 5% di quando sarebbe necessario stanziare per il passaggio della rete all’elettrico.Un altro dato interessante riguarda la fiscalità. “Nonostante riducano fino al 90% le emissioni di gas serra – ha spiegato Pasqualini –, gli LCF pagano le stesse tasse dei carburanti fossili. Servirebbe una fiscalità ambientale coerente, parametrata sulla performance ambientale dei carburanti. In sintesi, chi inquina meno, deve pagare meno”.Puntare sul biodiesel rappresenta una delle soluzioni più facili, immediate e convenienti dal punto di vista economico, anche in virtù della compatibilità tra questo biocarburante con la rete distributiva e i veicoli esistenti. “In Assopetroli-Assoenergia – ha aggiunto Pasqualini – siamo convinti che questa sia la strada giusta. Ma occorrono volontà politica, strategia e comunicazione chiara con il consumatore”.La transizione energetica è complessa e richiede soluzioni concrete e articolate. Lo ha detto chiaramente Fabrizia Vigo, direttrice affari istituzionali e legali di ANFIA – Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica. “Decarbonizzare è un obiettivo giusto e condiviso da tutti, ma ha costi che non possono essere scaricati solo sull’industria automobilistica – ha esordito Vigo – che nel nostro Paese, vale quasi il 6% del Pil, un fatturato di oltre 100 miliardi di fatturato, 280.000 addetti diretti e 1,28 milioni nella filiera allargata”. Ricordando che i target settoriali non riguardano quello che i costruttori producono, ma quello che vendono e guardando l’andamento dei dati di mercato dei veicoli elettrici, il traguardo delle emissioni zero stabilito per il 2035 appare irraggiungibile. “L’elettrico deve essere sviluppato, ma da solo non basta – ha ribadito Vigo –. Bisogna puntare alla neutralità tecnologica, riconoscendo il giusto valore ai carburanti rinnovabili come il biodiesel. La transizione ecologica ci impone di essere pragmatici”. Dati oggettivi alla mano, se n’è accorta anche la Commissione UE, che sembra sia più propensa a parlare di neutralità e di biocarburanti. Purtroppo il comparto perde competitività: CLEPA, la confederazione europea di settore, stima che, nel 2024, si siano già persi 100mila posti di lavoro.”Non si tratta di tornare indietro – ha concluso la direttrice affari istituzionali di ANFIA –. Ma è chiaro che dal 2019, anno del Green Deal, il mondo è cambiato. I target per il 2030 e il 2035, in queste condizioni, sono irraggiungibili. Oggi, più che mai, è indispensabile il riconoscimento normativo dei carburanti rinnovabili e dei veicoli alimentati esclusivamente con essi, le nostre filiere sono pronte. Non sempre costruttori e componentisti sono stati coesi di fronte alle scelte politiche europee, oggi sono tutti dalla stessa parte, l’augurio è che la politica tutta finalmente capisca che per un’Europa competitiva, la filiera automobilistica è imprescindibile”. LEGGI TUTTO

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    Manovra, Giorgetti: “Priorità conti in ordine. Spazi più contenuti che i passato”

    (Teleborsa) – “Il mantenimento di una politica di bilancio responsabile è un requisito fondamentale per il nostro Paese”. E’ quanto ribadito dal Ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, nel corso dell’audizione alle Commissioni Bilancio di Camera e Senato sulla Manovra. Giorgetti ha richiamato la “crescente credibilità conquistata dall’Italia” sui mercati internazionali, che va a beneficio delle istituzioni finanziarie e delle aziende del nostro Paese.Parlando della dimensione della manovra, Giorgetti ha ricordato che “nel nuovo quadro di governance europea, gli spazi di manovra sono più contenuti rispetto al passato” ed “ogni confronto della manovra 2026-28, pari ad un valore medio annuo di 18 miliardi, con le precedenti, per le sue dimensioni, non terrebbe in considerazione alcuni aspetti rilevanti”. Il Ministro ha ricordato che la Manovra “si inserisce in un quadro congiunturale incerto”, dove “l’attenzione sulle politiche bilancio perseguita dagli Stati è molto elevata” ed in cui risulta prioritario “garantire la sostenibilità del debito in linea con le regole di governance Ue”. Questo non vuol dire che il governo non abbia puntato a dare “risposte a esigenze profonde del Paese”. Lo ha fatto – ha ricordato – con il taglio delle aliquote Irpef per il ceto medio ed estendendo la platea di chi aveva beneficiato del cuneo fiscale, coinvolgendo il 32% del totale dei contribuenti, per un valore del beneficio medio atteso di 218 euro all’anno.A proposito della rottamazione delle cartelle, Giorgetti ha spiegato che il “costo teorico in termini di minori entrate” viene “compensato nel lungo termine”.Sul tema del contributo di banche e assicurazioni – circa 10 miliardi nel triennio – il Ministro ha affermato che “l’impatto è assorbibile alla luce della solidità e profittabilità del sistema bancario”.Per quanto concerne le spese per la Difesa, Giorgetti ha confermaot che “il governo agli inizi del prossimo anno finanziario informerà il Parlamento relativamente alle spese militari nel prossimo triennio e, qualora se ne ravvisasse la necessità”, l’Italia “potrebbe valutare l’attivazione della clausola nazionale di salvaguardia prevista per tali tipologie di spese”. Ricordando che il testo della Manovra “rappresenta la proposta condivisa e predisposta nell’ambito del Consiglio dei ministri”, Giorgetti ha spiegato che il Parlamento potrà avanzare degli emendamenti, volti a migliorarla, e su questo avrà “come di consueto, la massima collaborazione delle strutture tecniche” del MEF, ma occorre “ricordare che i nuovi parametri europei impongono un’attenta valutazione degli effetti finanziari delle proposte emendative alla luce del rispetto non solo dei saldi di finanza pubblica ma anche della traiettoria della spesa”. LEGGI TUTTO

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    Pacchetto vino Ue, Confagricoltura: “Soddisfazione per alcune misure. Molte ancora le criticità da superare”

    (Teleborsa) – Confagricoltura accoglie positivamente le misure a favore del comparto vitivinicolo approvate nel “Pacchetto vino” in commissione Agricoltura del Parlamento europeo. “Molte delle misure ipotizzate – commenta Confagricoltura in una nota– rappresentano un passo nella giusta direzione, anche se permangono aree di criticità. Un elemento di forte innovazione nel campo della gestione del potenziale, richiesto dall’Organizzazione agricola, è l’estensione da 3 a 8 anni della validità delle autorizzazioni per i reimpianti. Tale modifica offre ai viticoltori un margine temporale più ampio per pianificare gli investimenti, scegliendo il momento più opportuno in base all’andamento dei mercati, alle risorse disponibili e alle condizioni agronomiche”.Su proposta della Confederazione – prosegue la nota – è poi stata inserita la possibilità di innalzare fino all’80% la quota di contributo UE per gli investimenti destinati alla mitigazione e all’adattamento ai mutamenti climatici: “una misura che potrà favorire la sostenibilità e la modernizzazione del comparto”.”Ottima notizia – sottolinea Confagricoltura – il trasferimento del budget non speso per gli interventi settoriali negli anni successivi e il sostegno all’estensione dei programmi di promozione da 3 a 5 anni e alla possibilità di rinnovo. Mentre si segnalano forti criticità nelle nuove misure finanziabili con i fondi al settore vitivinicolo, come l’estirpazione e la distillazione di crisi, che non migliorano la qualità della produzione né incentivano la domanda. La Confederazione ritiene che i fondi OCM dovrebbero concentrarsi su interventi strategici e costruttivi come la ristrutturazione, la riconversione dei vigneti e la promozione del comparto vitivinicolo, evitando le misure emergenziali come appunto l’estirpazione e la distillazione di crisi”.Altro punto cruciale che Confagricoltura propone di modificare è la misura relativa ai fondi destinati all’enoturismo – che prevede beneficiari come associazioni e cooperative, ma esclude le aziende individuali – poiché – spiega la Confederazione – “rappresenta oggi un asset strategico per le aree rurali, in grado di generare valore economico, culturale e ambientale”.”Nel ringraziare la commissione Agricoltura del Parlamento europeo per il contributo, la Confederazione – conclude la nota – auspica che, nei prossimi passaggi istituzionali, ci sia spazio per un ulteriore margine di miglioramento del Pacchetto”.(Foto: pixid – Fotolia/Adobe Stock) LEGGI TUTTO

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    Ralph Lauren, ricavi in crescita a doppia cifra nel 2Q26, migliora l’outlook per l’intero anno

    (Teleborsa) – Nel secondo trimestre dell’anno fiscale 2026, il fatturato di Ralph Lauren è aumentato del 17%, raggiungendo i 2 miliardi di dollari su base riportata, e del 14% a valuta costante. L’effetto valutario ha avuto un impatto positivo sulla crescita del fatturato di circa 250 punti base nel secondo trimestre.Il fatturato Nord America è aumentato del 13%, raggiungendo gli 832 milioni di dollari su base riportata. Nel settore retail, le vendite comparabili in Nord America sono aumentate del 13%, con un aumento del 12% nei negozi fisici e del 15% nel commercio digitale. Il fatturato wholesale Nord America è aumentato del 13% rispetto all’anno precedente.Il fatturato Europa è aumentato del 22%, raggiungendo i 688 milioni di dollari su base riportata. A valuta costante, il fatturato è aumentato del 15%. Nel settore retail, le vendite comparabili in Europa sono aumentate del 10%, con un incremento dell’8% nei negozi fisici e del 17% nel commercio digitale. Il fatturato all’ingrosso in Europa è aumentato del 26% rispetto all’anno precedente su base riportata e del 18% a valuta costante.Il fatturato in Asia è aumentato del 17%, raggiungendo i 446 milioni di dollari su base riportata. A valuta costante, il fatturato è aumentato del 16%. Le vendite comparabili in Asia sono aumentate del 16%, con un aumento del 14% nei nostri negozi fisici e del 36% nel commercio digitale.Il Gross Profit è stato di 1,4 miliardi di dollari e il gross margin è stato del 68,0%, 100 punti base in più rispetto all’anno precedente. L’espansione del margine lordo è stata trainata dalla crescita dei ricavi netti, dal mix di prodotti favorevole e dai minori costi del cotone, più che compensando la pressione dei dazi e di altri costi di prodotto.L’utile operativo è stato di 246 milioni di dollari e il margine operativo è stato del 12,2% su base riportata. Su base rettificata, l’utile operativo è stato di 283 milioni di dollari e il margine operativo è stato del 14,1%, 270 punti base in più rispetto all’anno precedente.L’utile netto è stato di 207 milioni di dollari, pari a 3,32 dollari per azione diluita su base riportata. Su base rettificata, l’utile netto è stato di 237 milioni di dollari, pari a 3,79 dollari per azione diluita. Questo dato si confronta con un utile netto di 148 milioni di dollari, pari a 2,31 dollari per azione diluita su base riportata, e un utile netto di 162 milioni di dollari, pari a 2,54 dollari per azione diluita su base rettificata, per il secondo trimestre dell’anno fiscale 2025.”Le previsioni della Società si basano sulla migliore valutazione dell’attuale contesto geopolitico e macroeconomico, inclusi, tra gli altri fattori, pressioni inflazionistiche, dazi e altri fattori sfavorevoli legati alla spesa dei consumatori, interruzioni della catena di approvvigionamento globale e volatilità dei tassi di cambio”, ha affermato la società.Per l’anno fiscale 2026, la Società prevede ora un aumento dei ricavi dal 5% al ??7% a tassi di cambio costanti.Ai tassi di cambio correnti, si prevede che la valuta estera favorirà la crescita dei ricavi di circa 200-250 punti base nell’anno fiscale 2026. Attesa ora un’espansione del margine operativo di circa 60-80 punti base a tassi di cambio costanti, in aumento rispetto alle previsioni precedenti, trainata principalmente dalla leva finanziaria sui costi operativi. Si prevede ora che la valuta estera favorirà i margini lordi e operativi di circa 30-50 punti base.Per il terzo trimestre, la Società prevede una crescita dei ricavi di circa 150-200 punti base a valuta costante. Si prevede che la valuta estera favorirà la crescita dei ricavi di circa 150-200 punti base. Il margine operativo è atteso aumentare di circa 60-80 punti base a valuta costante. Si prevede che la valuta estera favorirà i margini lordi e operativi rispettivamente di circa 10 e 20 punti base. LEGGI TUTTO

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    Ambiente, Urso: “Italia ha avuto ruolo spropositato per decisioni UE”

    (Teleborsa) – Secondo il Financial Times, “l’Italia ha avuto un ruolo spropositato” all’ultimo Consiglio europeo Ambiente. Lo ha ricordato il Ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, in occasione del 7º Business Forum Trilaterale tra Confindustria, BDI e MEDEF, le associazioni degli industriali tedeschi e francesi.Il titolare del MIMIT ha sottolineato che “è passata la posizione che l’Italia ha espresso, condivisa dalla stragrande maggioranza dei Paesi europei. Una posizione importante, finalmente pragmatica, flessibile, realistica e basata sul principio della neutralità tecnologica”.Al Consiglio Ambiente sono state accolte tutte le richieste dell’Italia: è stata innalzata dal 3% al 5% la possibilità di ricorso a crediti internazionali, è stata introdotta la possibilità di rivedere il regolamento sul clima ogni due anni e, per la prima volta, sono stati menzionati in maniera esplicita i biocarburanti. “Questo dimostra che l’Italia finalmente è tornata in campo nell’incidere nelle decisioni europee. E quello che voi avete fatto con la dichiarazione congiunta – ha affermato Urso rivolgendosi agli industriali – ci aiuta. Perché è bene che i governi sentano la voce, le posizioni delle imprese, che in maniera così significativa e coesa indicano la strada da percorrere. Una strada che, per quanto ci riguarda, deve essere necessariamente quella di coniugare al meglio, come indicato da Draghi, la sostenibilità ambientale con la sostenibilità industriale e con la sostenibilità sociale”.”Una strada condivisa con i grandi paesi industriali, che il nostro governo ha sin dall’inizio indicato, sia dando attuazione al Trattato del Quirinale con la Francia, sia realizzando il Piano d’azione con la Germania”, ha sottolineato Urso, aggiungendo che il governo si è impegnato dall’inizio “sui dossier centrali” per l’Europa, la revisione del CBAM e del ETS, che saranno all’ordine del giorno della Commissione il prossimo 10 dicembre. Urso ha citato il paper sull’auto, che conteneva due condizioni preliminari, entrambe accolte dalla Commissione: la prima riguarda la rimozione dell’ostacolo insormontabile che avrebbe obbligato le industrie europee ad acquistare titoli da società americane e cinesi, per evitare le multe già a partire da quest’anno; l’altra che puntava ad anticipare il Regolamento europeo sulla CO2 dal 2027 a quest’anno. “Ora bisogna agire e farlo in fretta, per ribadire che la revisione del regolamento debba riguardare sia i veicoli leggeri che i veicoli pesanti e per riaffermare quello che è stato già deciso ieri nel consiglio ambiente su neutralità tecnologica e biocarburanti. E’ necessario – ha ribadito il Ministro – per garantire alle imprese le risorse necessarie per gli investimenti, per accelerare sulla strada dell’elettrico, conservando l’autonomia strategica del nostro Continente”. LEGGI TUTTO

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    ENGIE, gestione operativa in calo nei 9M25, pesa il nucleare

    (Teleborsa) – Nei primi nove mesi del 2025 la francese ENGIE ha totalizzato ricavi per pari a 52,8 miliardi di euro, sono aumentati dello 0,2% su base lorda e dell’1,8% su base organica.A livello di gestione operativa, l’EBITDA si è attestato a 10,8 miliardi, in calo del 10,2% (-8,3% su base organica). L’aggregato al netto del settore nucleare è stato pari a 9,8 miliardi, in calo del 6,2% (-3,9% su base organica). L’EBIT, settore nucleare escluso, si è attestato a 6,3 miliardi, in calo del 10,5% (-7,3% su base organica).Da segnalare che l’EBIT delle attività nucleari è diminuito del 53,8% su base organica nei primi nove mesi del 2025, principalmente a causa di un effetto volume negativo legato alla chiusura definitiva di Doel 1 a febbraio 2025, nonché alle interruzioni per conformità di Tihange 3 nel secondo trimestre e di Doel 4 nel terzo trimestre. Tale calo è dovuto anche ai prezzi più bassi registrati in Europa.Il Cash Flow From Operations è stato pari a 11,4 miliardi, in leggero calo di 0,4 miliardi rispetto ai primi nove mesi del 2024, particolarmente elevati.L’indebitamento finanziario netto si è attestato a 36,0 miliardi, in aumento di 2,7 miliardi rispetto al 31 dicembre 2024. Tale aumento è stato determinato principalmente da: investimenti nel periodo pari a 5,6 miliardi; dividendi pagati agli azionisti di ENGIE e alle partecipazioni di minoranza per 4,4 miliardi; finanziamenti e spese relativi al nucleare in Belgio per un totale di 4,5 miliardi.Per la fine del 2025 il management conferma un Net Recurring Income atteso nella parte superiore dell’intervallo tra 4,4 e 5,0 miliardi. L’EBIT, escluso il settore nucleare, è previsto nella metà superiore dell’intervallo indicativo tra 8,0 e 9,0 miliardi.Catherine MacGregor, CEO di ENGIE, ha dichiarato: “ENGIE ha registrato una solida performance nei primi nove mesi dell’anno, nonostante un contesto di mercato caratterizzato da un indebolimento dei prezzi dell’energia. La nostra generazione di flussi di cassa rimane molto elevata, pari a 11,4 miliardi di euro, a dimostrazione della solidità del nostro modello di utilità e della qualità dei nostri utili.Il nostro piano di performance è partito con il piede giusto, con un contributo positivo di quasi 500 milioni di euro nei nove mesi.Abbiamo proseguito il nostro sviluppo nelle energie rinnovabili e negli asset flessibili in Europa, essenziali per supportare la transizione energetica. Lo slancio commerciale attorno ai PPA continua, trainato dalla crescente domanda di data center, in particolare negli Stati Uniti. ENGIE è molto ben posizionata, avendo firmato oltre 3 GW di PPA durante il periodo, con clienti come Meta. In Belgio, i reattori Tihange 3 e Doel 4 sono stati riavviati rispettivamente a luglio e a ottobre, dopo un periodo di lavori per la loro estensione decennale. Questo segna una tappa fondamentale nel programma di estensione nucleare, nonché il raggiungimento dell’obiettivo principale degli accordi firmati con il governo belga, ora completati. Siamo fiduciosi di raggiungere il limite superiore del nostro intervallo di previsione per l’anno.” LEGGI TUTTO

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    Auto aziendali: con una riforma fiscale basata sulle emissioni 4,3 miliardi per lo Stato entro il 2030

    (Teleborsa) – Riformare la fiscalità delle auto aziendali basandosi sulle emissioni potrebbe generare 4,3 miliardi di introiti per lo Stato e una riduzione delle emissioni di CO2 di oltre 2 milioni di tonnellate entro il 2030. Ecco cosa emerge da un nuovo studio di Transport & Environment (T&E), la principale organizzazione europea per la decarbonizzazione dei trasporti. Infatti, nonostante la recente riforma sui fringe benefit, l’Italia si conferma al primo posto in Europa per i sussidi alle auto aziendali inquinanti (endotermiche, ibride e ibride plug-in).Tra detrazioni IVA, ammortamento del costo del veicolo, bollo auto, agevolazioni sui carburanti e, appunto, tassazione delle auto concesse ai dipendenti in benefit in kind, il sistema fiscale italiano genera oltre 14 miliardi di euro all’anno di sussidi indiretti. In questo senso, la maggiore componente di sgravio è rappresentata dalla tassazione agevolata sulle auto aziendali in fringe benefit che prevede una tassazione limitata al 50% del valore convenzionale d’uso per le auto endotermiche e del 20% per le ibride plug-in (PHEV), che risultano ancora più favorite rispetto al passato, anche se analisi recenti attestano emissioni reali fino a cinque volte superiori rispetto a quelle dichiarate. E ciò nonostante, secondo quanto riportato nell’edizione appena pubblicata del Catalogo dei Sussidi Ambientalmente Dannosi (SAD) del MASE, proprio in virtù della recente riforma, a partire dal prossimo anno queste agevolazioni perderanno lo status di “sussidio dannoso”. Emissioni: il 90% dal traffico su strada – In Italia, i trasporti sono responsabili di oltre un quarto di tutte le emissioni di gas serra. Il traffico su strada rappresenta il 90% di queste emissioni e le auto ne producono due terzi. Il parco auto è tra i più vecchi d’Europa, molte città superano i limiti di qualità dell’aria e il mercato dei veicoli elettrici, nonostante una buona crescita percentuale nel 2025, è ancora esiguo. Per raggiungere gli obiettivi climatici – e sanare l’aria che respiriamo – serve un cambio di rotta rapido: utilizzare la leva fiscale per favorire la transizione delle flotte aziendali verso tecnologie pulite e sostenere la mobilità elettrica.Auto aziendali: 60% delle emissioni di CO2 – In Italia, nel 2024 le auto aziendali hanno rappresentato il 40% del mercato ma, percorrendo molta più strada, hanno prodotto quasi il 60% delle emissioni di CO2. Le aziende presentano caratteristiche che facilitano la transizione: sono finanziariamente più robuste, maggiormente attente al total cost of ownership dei veicoli, godono di consistenti agevolazioni fiscali e possono programmare meglio la logistica della loro mobilità, così da ottimizzarla rispetto alla distribuzione delle infrastrutture di ricarica; inoltre, possono installare infrastrutture di ricarica in sede e produrre energia rinnovabile. Dopo circa 3-4 anni, le auto aziendali finiscono sul mercato dell’usato, divenendo così un’opzione economicamente accessibile per la maggioranza dei consumatori (circa 8 su 10) che opta per veicoli di seconda mano.Emissioni: Ue incoraggia i Paesi a usare la leva fiscale – L’UE raccomanda all’Italia di utilizzare la fiscalità per promuovere veicoli puliti e sta preparando una normativa per la decarbonizzazione delle flotte, attesa entro la fine dell’anno. Esempi come quello del Belgio dimostrano che la leva fiscale funziona: una riforma del 2021, che dal 2026 consentirà di ammortizzare il costo dei soli veicoli a zero emissioni, ha fatto salire la percentuale di auto aziendali elettriche dal 8,8% nel 2021 al 41,1% nel 2024.Auto: l’Italia non collega tassazione e emissioni – “La riforma sui fringe benefit dello scorso anno è stata un primo passo, ma le nostre analisi mostrano che non basta. Non servono interventi parziali, ma una visione e un approccio sistemici. Sorprende che la tassazione agevolata sulle auto aziendali in fringe benefit verrà esclusa dal Catalogo dei SAD, nonostante le endotermiche e, ancor più, le ibride plug-in continuino a beneficiare di un regime fiscale favorevole – afferma Esther Marchetti, Clean Transport Advocacy Manager di T&E Italia –. L’Italia, con una normativa disorganica di esenzioni, continua a sussidiare indirettamente le auto inquinanti ed è tra i pochissimi paesi europei a non collegare la tassazione dell’auto alle emissioni. Tuttavia, la fiscalità è uno degli strumenti più efficaci per orientare consumatori e imprese verso veicoli più efficienti, silenziosi e alimentabili con energia rinnovabile. Per questo va utilizzata al meglio, anche a massima garanzia della salute dei cittadini”.Proposta T&E: tassazione legata alle emissioni di CO2 – T&E propone una riforma strutturale e progressiva, applicabile solo alle nuove immatricolazioni e basata su un sistema di bonus-malus legato alle emissioni di CO2, che includa: tassazione dei veicoli concessi in fringe benefit, detraibilità dell’IVA, deducibilità del costo del veicolo e l’introduzione di una tassa di immatricolazione unica, parametrata a emissioni e costo del veicolo. La proposta prevede un iniziale aumento dei benefici per le tecnologie zero emissioni e una contestuale riduzione di quelli per le endotermiche, fino al loro azzeramento. Nel tempo, la pressione fiscale aumenterebbe anche sulle auto meno emissive, per evitare distorsioni e mancato gettito.Riforma fiscale: +29% di auto elettriche, -6% import di petrolio – Secondo il modello di T&E, tra il 2026 e il 2030 questa riforma non solo genererebbe un saldo positivo di 4,3 miliardi di euro per lo Stato, riducendo le emissioni climalteranti, ma taglierebbe del 6% le importazioni di petrolio del settore trasporti e porterebbe circa 235mila auto elettriche in più in circolazione, pari a un incremento del 29%.Reinvestire le risorse contro la “transport poverty” – “Una riforma di questo tipo garantirebbe stabilità normativa e chiarezza per gli investimenti, supportando le imprese nella pianificazione della decarbonizzazione delle flotte – conclude Marchetti –. Se le risorse generate venissero reinvestite nella transizione, si potrebbero incentivare le infrastrutture di ricarica aziendali e sfruttare il potenziale di accumulo delle batterie. Destinare parte di queste risorse a programmi di social leasing, trasporto pubblico, car sharing, piani di rottamazione e incentivi alla mobilità attiva permetterebbe di supportare anche le fasce di popolazione più esposte alla transport poverty. Questo, insieme alla creazione rapida di un mercato dell’usato elettrico accessibile, renderebbe la transizione più equa e sostenibile per tutte le persone”. LEGGI TUTTO

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    UpB: economia Italia cresce poco, verso PIL sotto livello Ue

    (Teleborsa) – La Manovra si inserisce in un contesto che continua a essere piuttosto complesso, c’è una prospettiva di rallentamento della congiuntura internazionale che influenza le prospettive di crescita per l’economia italiana, che sta crescendo relativamente poco: il terzo trimestre è sostanzialmente stabile e le prospettive per quest’anno sono di un acquisito allo 0,5%, quindi una crescita che è al di sotto del livello medio nell’Ue”. Lo ha detto la presidente dell’Upb Lilia Cavallari in audizione sulla manovra alle commissioni riunite Bilancio di Camera e Senato. “Le previsioni crescita su cui si innesta la manovra sono state validate dall’Upb che ha sottolineato come i rischi siano prevalentemente orientati al ribasso”, ha aggiunto.”Secondo le stime effettuate con il modello di simulazione dell’UPB la riduzione di aliquota riguarderà poco più del 30 per cento dei contribuenti (circa 13 milioni che si collocano oltre la soglia di 28.000 euro di reddito) con un minor gettito Irpef di circa 2,7 miliardi”. “Il 50 per cento del risparmio d’imposta affluisce ai contribuenti con reddito superiore ai 48.000 euro che rappresentano l’8 per cento del totale – aggiunge -. Gli effetti variano significativamente fra contribuenti a seconda del loro reddito prevalente. Nell’ambito dei lavoratori dipendenti, il beneficio medio è pari a 408 euro per i dirigenti e si riduce a 123 e 23 euro, rispettivamente, per impiegati e operai. Per i lavoratori autonomi in tassazione ordinaria la riduzione media è di 124 euro e per i pensionati di 55 euro. In termini di aliquota media la riduzione risulta compresa fra lo 0,1 punti percentuali degli operai e 0,4 di impiegati e lavoratori autonomi in tassazione ordinaria”. “La sterilizzazione della riduzione delle aliquote per i redditi più elevati produrrà effetti parziali dato che solo il 32 per cento dei contribuenti con reddito superiore ai 200.000 euro (58.000 contribuenti) ha detrazioni aggredibili che non siano state già tagliate da precedenti interventi normativi – ha concluso -. Per tale platea il taglio medio effettivo ammonta a 188 euro, significativamente inferiore al risparmio di 440 euro derivante dalla riforma”. La legge di bilancio “conferma la linea prudente di consolidamento progressivo dei conti pubblici in corerenza con gli impegni assunti con il Piano strutturale di bilancio” che “implica spazi di manovra ristretti” ma anche “una buona probabilità di uscire dalla procedura di avanzo eccessivo già nel 2026”.”Significative coperture dal lato delle uscite riguardano riduzioni di spesa dei Ministeri, per le quali prevale ancora la presenza di ‘tagli lineari’ piuttosto che uno sforzo di razionalizzazione delle spese che sia il risultato delle attività di valutazione delle politiche pubbliche”Quanto alla detassazione dei rinnovi contrattuali prevista dalla legge di bilancio “presenta criticità” e “determina significative disparità di trattamento” tra contribuenti. “L’intervento determina un differimento temporale del prelievo più elevato, senza risolverlo strutturalmente” ricorda l’UPB, e “determina significative disparità di trattamento poiché esclude dalla platea dei beneficiari contribuenti in situazioni reddituali analoghe”. “Tali criticità – secondo l’UPB – sollevano dubbi sull’opportunità di affidare a interventi a hoc temporanei la correzione di criticità strutturali dell’imposta sul reddito derivanti dall’aver affidato al sistema fiscale obiettivi di sostegno ai redditi che sarebbero più efficacemente perseguiti con altri istituti”. La platea di quanti avrebbero beneficio dall’imposta sostitutiva al 5 per cento sarebbe, secondo le simulazioni dell’UPB, di circa 2,1 milioni di lavoratori, con un risparmio d’imposta medio per contribuente pari a circa 208 euro. LEGGI TUTTO