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    Dalle autostrade a Terzo Valico: cosa ha detto Rixi

    (Teleborsa) – Il governo punta a rivedere entro fine anno la questione delle concessioni autostradali, che blocca i nuovi investimenti infrastrutturali. Lo ha affermato il viceministro alle infrastrutture, Edoardo Rixi, a margine di un evento presso ola Confcommercio di Genova. “Entro la fine dell’anno rivedremo il tema delle concessioni e metteremo delle regole che consentiranno finalmente al nostro Paese di tornare a costruire autostrade, cosa che oggi è di fatto impossibile perché si scaricherebbero tutti gli oneri esclusivamente sugli utenti”, ha affermato Rixi, ricordando “stiamo facendo una marea di lavori sia sulle autostrade sia sul sistema ferroviario”. Per le ferrovie – ha spiegato – “Siamo passati da 2,5 miliardi di investimenti all’anno a 13,5 miliardi e nei prossimi anni solo su ferrovie si investiranno più di 100 miliardi. Sul sistema autostradale sono necessari circa 60 miliardi di investimenti nei prossimi 15 anni”.A proposito del blocco delle infrastrutture in Liguria, il viceministri ha riconosciuto che “è un tema che attanaglia questa Regione da più di vent’anni” e riguarda la normativa vigente. “Oggi la Liguria è un territorio isolato e per toglierla da questo isolamento abbiamo bisogno di continuare ad andare avanti con le opere pubbliche almeno nei prossimi 6-8 anni”, ha detto Rixi, aggiungendo “credo che la grande scommessa del nostro territorio sia quella di rompere l’isolamento infrastrutturale che purtroppo negli anni si è creato”. Rixi ha fatto cenno anche al Terzo Valico, ricordando la fuoriuscita di gas avvenuta un paio di mesi fa. “Entro questo mese avremo l’analisi da parte di Eni per capire se si tratta di un giacimento oppure se sono esclusivamente delle infiltrazioni che verranno superate”, ha detto il viceministro, aggiungendo che “questo comporterebbe, nel caso fosse un giacimento, da una parte un grande valore per il nostro territorio perché sarebbe uno dei giacimenti più grossi nel nostro Paese e dall’altra parte un ripensamento di una parte della progettazione del valico”. LEGGI TUTTO

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    Wall Street cauta nella settimana della Federal Reserve

    (Teleborsa) – Partenza contrastata per la borsa di Wall Street, nella prima seduta di un’altra settimana importante sul fronte di politica monetaria: si attendono, infatti, le decisioni della Federal Reserve sui tassi di interesse, con ancora molti dubbi sull’entità della sforbiciata. Nei prossimi giorni, si riuniscono anche le banche centrali di Regno Unito e Giappone che, secondo gli addetti ai lavori, dovrebbero lasciare invariato il costo del denaro.Sulle prime rilevazioni, il Dow Jones avanza a 41.668 punti, continuando la scia rialzista evidenziata da quattro guadagni consecutivi, innescata mercoledì scorso, mentre, l’S&P-500 rimane a 5.618 punti. Negativo il Nasdaq 100 (-0,92%); sulla stessa linea, in frazionale calo l’S&P 100 (-0,5%). LEGGI TUTTO

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    Lista del CdA, Legge Capitali porta a instabilità e incentiva blocchi di disturbo

    (Teleborsa) – Le nuove regole di voto per le assemblee delle società quotate, introdotte dalla Legge Capitali, possono produrre impatti di rilievo e – in casi specifici – ribaltare l’esito dell’assemblea, portando a una potenziale instabilità degli assetti di governance e a un incentivo a creare blocchi di disturbo. È quanto emerge da uno studio di FIN-GOV, il Centro ricerche finanziarie sulla corporate governance dell’Università Cattolica, a cura di Massimo Belcredi e Stefano Bozzi.Lo studio ha indagato gli effetti dell’applicazione delle nuove norme sulla “lista del CdA”, introdotte dalla Legge Capitali e di recente duramente criticate anche dall’International Corporate Governance Network (ICGN), un gruppo di asset manager con 77 mila miliardi di dollari in gestione. I grandi investitori globali hanno scritto il mese scorso una lettera al sottosegretario del MEF, Federico Freni, affermando che le nuove regole “potrebbero minare gli standard di governance aziendale del paese e danneggiarne la competitività”.Il lavoro di Belcredi e Bozzi presenta un’analisi quantitativa del fenomeno “lista del CdA”, analizzando 18 assemblee del periodo 2021-24 in cui il CdA uscente ha presentato una propria lista, mostrando gli esiti del voto e indagando, attraverso un’analisi di simulazione, gli impatti della nuova normativa. Negli ultimi anni una cinquantina di società italiane quotate (circa un quarto del listino) ha attribuito al CdA la facoltà di presentare una propria lista di candidati. Circa un terzo tra esse ha visto l’effettiva presentazione di una lista del CdA, prassi che si è concentrata tra le società ad azionariato diffuso o comunque prive di azionisti di controllo. “La presentazione delle candidature da parte del board, predominante a livello internazionale, si è sviluppata in Italia nel silenzio della legge, senza particolari problemi”, si fa notare.La legge Capitali, approvata a marzo 2024, ha rivoluzionato la materia, introducendo una normativa che lascia margini ristretti all’autonomia statutaria e genera importanti dubbi applicativi. L’analisi dello studio di Fin-Gov mostra che il risultato delle elezioni per il nuovo CdA dipende in maniera cruciale da due fattori: a) la “legge elettorale” adottata (sistema proporzionale puro vs maggioritario); b) il comportamento (passivo vs attivo) degli azionisti. Il primo profilo è importante perché la legge Capitali non chiarisce se le società possano continuare a fare uso del sistema maggioritario, limitando l’applicazione del proporzionale puro al “riparto tra liste di minoranza”, ovvero se il sistema proporzionale puro debba applicarsi anche al “riparto tra maggioranza e minoranze”. Se si ammette che le società possano conservare libertà statutaria nell’individuare i posti spettanti alle minoranze, gli impatti sul riparto dei posti tra liste sono contenuti. Dove i voti conseguiti dalle liste dei soci sono inferiori o pari al 20%, la variazione rispetto allo status quo è addirittura trascurabile; dove sono superiori al 20%, se si ammette la fissazione di un cap ragionevole ai posti di minoranza, le modifiche degli assetti di governance sarebbero comunque minime. Se si ipotizza invece che la legge imponga il metodo proporzionale puro nel riparto di tutti i posti in consiglio, si apre un vero e proprio vaso di Pandora. Se si ipotizza che gli azionisti assumano un atteggiamento passivo, le uniche assemblee impattate in modo significativo sarebbero le due ampiamente citate nel dibattito sulla stampa negli ultimi mesi: Generali e Mediobanca. In particolare, gli azionisti (Caltagirone e Delfin) critici verso l’attuale management otterrebbero un sostanziale potere di veto sulla presentazione di candidature da parte del CdA uscente. Nessun’altra società sarebbe impattata nello scenario in esame.Ma lo studio Fin-Gov mostra che il vero punto sta altrove: al mutare delle regole i soci possono ritirare vecchie/presentare nuove liste e votare in modo differente. Se i soci influenti (chi detiene più del 10% del capitale) adottano un comportamento attivo, in presenza di un sistema proporzionale puro, l’esito del voto può cambiare in modo radicale: in varie società potrebbero essere eletti board spaccati e poco governabili; in alcuni casi (vedi ultima assemblea di Tim) si può avere un ribaltamento delle maggioranze assembleari e la presa del board da parte di soci di minoranza. In altre parole, basta ipotizzare che gli azionisti – come è logico – ragionino strategicamente e si vede subito la nuova legge crea notevoli opportunità di attivismo a soci rilevanti già presenti nell’azionariato. In sintesi, essi possono cogliere l’occasione offerta dalle nuove regole per acquisire una posizione forte all’interno del consiglio; in casi particolari, essi possono addirittura ribaltare l’esito della votazione e conquistare la maggioranza dei seggi. Quello che gli autori chiamano “l’esempio più spettacolare” è l’assemblea 2024 di Telecom Italia, in cui l’azionista Vivendi – se le nuove regole fossero state già in vigore – avrebbe potuto ottenere la maggioranza dei seggi, con conseguenze facilmente immaginabili per i progetti di ristrutturazione e di cessione della rete.”La legge Capitali detta, unica al mondo, regole asimmetriche che favoriscono gli azionisti attivi e la creazione di posizioni di disturbo, soprattutto se dovesse prevalere un’interpretazione rigida che imponesse l’applicazione del sistema proporzionale puro – si legge nel rapporto – Ciò genera conseguenze paradossali e non desiderabili, tra cui un disincentivo a presentare liste del CdA, che la legge dichiara di voler regolare, non sopprimere. È opportuno un intervento chiarificatore del legislatore che affermi, in linea con l’ordine del giorno approvato dalla Camera contestualmente alla legge Capitali, che il numero di posti riservati alle minoranze va lasciato all’autonomia statutaria”.Lo studio di Fin-Gov esamina infine il sistema a doppio turno imposto dalla legge Capitali. La legge prevede un secondo voto (referendum) sui singoli candidati della lista del CdA, se questa risulta maggioritaria, ma non chiarisce chi è legittimato a votare al secondo turno (solo chi ha votato la lista del CdA al primo turno? O tutti coloro che hanno “espresso voti”?). “Il sistema induce i soci ad adottare strategie di voto complesse”, viene sostenuto. L’analisi mostra che – al secondo turno – gli investitori istituzionali sarebbero sovente arbitri del destino di questo o quel candidato, soprattutto se al voto potessero partecipare tutti i soci. Tale effetto è destinato ad essere visto con favore da istituzionali e proxy advisors, anche se non necessariamente da parte degli emittenti; la norma pare destinata ad aumentare l’attrattività del mercato dei capitali italiano per gli investitori, anche esteri. Mantenere il secondo turno ma consentire il voto solo a chi ha sostenuto la lista del CdA al primo turno ridurrebbe i problemi di sistema e potenzierebbe il ruolo degli investitori istituzionali senza generare eccessivi rischi di manovre strategiche e accordi sottobanco.In sintesi, l’analisi svolta da Fin-Gov mostra che “le nuove regole di voto possono produrre impatti di rilievo e – in casi specifici – ribaltare l’esito dell’assemblea. Ne risultano una potenziale instabilità degli assetti di governance e un incentivo a creare blocchi di disturbo, che paiono meritare un supplemento di riflessione da parte del legislatore, soprattutto nel senso di lasciare maggiore spazio all’autonomia statutaria degli emittenti”. L’analisi mostra inoltre che “gli investitori istituzionali assumono un ruolo importante e, talora, decisivo al secondo turno, potendo decidere spesso in autonomia se confermare o bocciare i singoli candidati nella lista del CdA, soprattutto se operano in modo coordinato o seguendo le indicazioni dei proxy advisors. Anche qui, un intervento del legislatore sembra necessario per chiarificare dubbi interpretativi sulla legittimazione al voto”. LEGGI TUTTO

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    Auto, il 25 settembre il voto finale dei Paesi Ue sui dazi alle elettriche made in China

    (Teleborsa) – Il 25 settembre i Paesi dell’Unione europea sono chiamati al votofinale sull’introduzione di dazi definitivi sulle auto elettriche importate dalla Cina. A riportarlo è Bloomberg. Se il voto sarà favorevole, le misure saranno applicate per 5 anni. La votazione arriva dopo quella non vincolante di metà luglio quando i governi europei avevano deciso di inviare a Pechino. Erano stati in tutto 12 quelli che avevano espresso voto favorevole – tra cui Italia, Spagna e Francia – mentre 11 si erano astenuti (compresa la Germania). Solo 4 erano stati invece i voti contrari – Ungheria, Slovacchia, Malta e Cipro – ma questa volta il risultato potrebbe essere molto diverso.La Germania ha già espresso a più riprese la contrarietà a rendere definitivi i dazi alle auto elettriche cinesi. A Berlino si è accodata anche Madrid, soprattutto dopo il viaggio del presidente Pedro Sanchez in Cina. In quella occasione Sanchez ha chiesto infatti di riconsiderare l’imposizione delle tariffe sostenendo che una guerra commerciale con Pechino è tutt’altro che auspicabile in questo momento.Il voto decisivo si terrà a maggioranza qualificata, il quorum da raggiungere è dunque quello di 15 Paesi che rappresentino il 65% della popolazione.A luglio la Commissione Ue ha imposto alcune tariffe provvisorie aggiuntive fino al 36,3% nei confronti di Byd, Geely e Saic, che si vanno ad aggiungere ai dazi del 10% a cui erano già soggetti gli esportatori dalla Cina. LEGGI TUTTO

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    Aeroporto di Bologna, Intesa lima target price e conferma Hold

    (Teleborsa) – Intesa Sanpaolo ha abbassato a 8 euro per azione (dai precedenti 8,2 euro) il target price su Aeroporto Guglielmo Marconi di Bologna, società quotata su Euronext STAR Milan che gestisce lo scalo aeroportuale bolognese, confermando la raccomandazione “Hold” sul titolo visto il potenziale upside del 2%.Gli analisti scrivono che la società sta sfruttando molto la forte domanda di traffico aereo e quest’anno il traffico supererà ampiamente il livello pre-Covid, con largo anticipo rispetto a quanto previsto in passato. Tuttavia, i ritardi strutturali dell’azienda nell’implementazione dell’espansione della capacità necessaria per far fronte all’evoluzione del mercato stanno creando un collo di bottiglia, con implicazioni negative sulla crescita del traffico, in particolare l’anno prossimo, che potrebbe estendersi anche agli anni successivi, se non eseguirà l’ambizioso piano di capex annunciato di recente.Viene anche evidenziato che la società sta gradualmente recuperando la sua redditività storica (40,6% nel 2019), riequilibrando il mix di traffico verso il traffico meno incentivato e i contratti più favorevoli con le principali vettori low-cost come Ryanair e Wizz Air (circa il 65% del traffico totale). Tuttavia, “riteniamo che lo sconto medio rispetto alla media del settore sia ancora meritato (-27% FY24/FY25 EV/EBITDA), dato il divario in termini di dimensioni e redditività”, si legge nella ricerca. LEGGI TUTTO

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    Buzzi, azioni proprie al 5,9% del capitale sociale

    (Teleborsa) – Buzzi ha reso noto di aver acquistato, tra il 9 e il 13 settembre 2024, complessivamente 276.977 azioni proprie, al prezzo medio di 34,4688 euro per un controvalore pari a 9.547.053,64 euro.A seguito degli acquisti appena comunicati, considerando le azioni proprie già in portafoglio, al 13 settembre Buzzi detiene 11.399.489 azioni ordinarie proprie pari al 5,918% del capitale sociale.Intanto, a Milano, la Società attiva nel settore del cemento estende i guadagni rispetto alla seduta precedente, attestandosi a 34,74 euro. LEGGI TUTTO

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    USA, Empire State: migliora il settore manifatturiero a settembre

    (Teleborsa) – Migliora e passa in territorio positivo, a settembre, l’indice manifatturiero Empire State di New York. L’indicatore si è portato a +11,5 punti dai -4,7 punti di agosto. Il dato è migliore delle stime degli analisti, che erano per un miglioramento fino a -4,1 punti. L’indice misura le condizioni del settore manifatturiero nel distretto di New York. Si ricorda che un livello del dato superiore/inferiore allo 0 indica che la maggior parte delle compagnie riportano miglioramenti/peggioramenti delle condizioni. Fra le varie componenti dell’indice, quella sui nuovi ordini è migliorata a +9,4 punti (da -7,9) mentre quella sulle consegne sale a 17,9 punti. Quella sulle scorte migliora di 10,6 punti e si porta a zero dai -10,6 punti. LEGGI TUTTO

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    UniCredit, Barclays: payout policy sarebbe mantenuta anche dopo fusione con Commerzbank

    (Teleborsa) – UniCredit sarebbe in grado di mantenere la sua attuale politica di distribuzione ordinaria dopo un’eventuale proposta di fusione con Commerzbank e, anche se rimangono diverse domande senza risposta in questa fase, la logica dell’accordo sarebbe chiara: creare valore per gli azionisti rafforzando il nuovo franchising tedesco. Ne è convinta Barclays, che ha analizzato il potenziale deal a seguito dell’acquisto del 9% del capitale della banca tedesca da parte dell’istituto guidato da Andrea Orcel.Gli analisti affermano che UniCredit sarebbe in grado di pagare a Commerzbank (con un premio del 30% sul prezzo delle azioni Commerzbank del 10 settembre) fino al 45% in contanti, utilizzando quasi tutto il suo attuale capitale in eccesso per massimizzare l’accrescimento dell’EPS e mantenere comunque il rapporto CET1 al 13%. Tuttavia, per fornire un accrescimento dell’EPS positivo mantenendo buffer di capitale più grandi, UniCredit potrebbe prendere in considerazione di pagare meno in contanti.In particolare: l’accrescimento dell’EPS rimane positivo (+3% anno 1 a +7% anno 3) con il 30% dell’accordo Commerzbank finanziato in contanti (portando a un rapporto CET1 del 13,6% o al 13,3% al netto della stima degli oneri di integrazione). In ogni caso, le considerazioni in tutti questi scenari suggeriscono la capacità di UniCredit di mantenere anche l’attuale politica di pagamento ordinaria dopo una combinazione, anche se pagata parzialmente in contanti.Barclays cita anche potenziali ostacoli: oltre alle approvazioni normative standard, ci sono infatti alcuni aspetti chiave in sospeso da considerare per quanto riguarda qualsiasi combinazione: 1) Un potenziale accordo sarebbe amichevole? Il tono di UniCredit suggerisce la possibilità di trovare accordi con Commerzbank, mentre la posizione di quest’ultima non è ancora chiara. 2) Il governo tedesco sosterrà UniCredit? Si potrebbe sostenere che c’è stata un’apertura dato che UniCredit ha acquisito una quota in Commerzbank direttamente dal governo, ma non c’è ancora alcuna garanzia che il governo sosterrebbe una quota maggiore o addirittura una fusione completa. 3) La prima reazione degli azionisti di Commerzbank è stata “positiva” (prezzo delle azioni Commerzbank in aumento del +4% dall’annuncio rispetto a Commerzbank +25% e indice bancario +3%): questo è rilevante in quanto qualsiasi accordo sarebbe soggetto all’approvazione sia degli azionisti UniCredit che di Commerzbank.Guardando al settore bancario italiano, secondo Barclays “nulla cambia nel breve termine” per Banco BPM, MPS (e BPER). “L’interesse di UniCredit nelle banche italiane a media capitalizzazione non è sembrato elevato, a nostro avviso, e i prezzi di mercato di queste banche non hanno incorporato un premio M&A significativo – si legge nella ricerca – In effetti, tutte queste banche italiane hanno basato la loro strategia su elevati rendimenti di capitale (o la baseranno nel caso di BPER, pensiamo, nel prossimo piano aziendale) e hanno un ampio capitale in eccesso”. LEGGI TUTTO