(Teleborsa) – Anche quando le risorse economiche sono accessibili ad un costo molto contenuto, la Pubblica Amministrazione (PA) non paga i propri fornitori. La denuncia è sollevata dalla CGIA di Mestre che torna ad occuparsi di un tema che sta molto a cuore a centinaia e centinaia di migliaia di imprese che lavorano per lo Stato.
Come spiega l’associazione degli artigiani e delle piccole imprese di Mestre in una nota, tramite la Cassa Depositi e Prestiti (CDP), il decreto Rilancio ha messo a disposizione delle Aziende Sanitarie Locali (ASL), delle Regioni e degli enti locali 12 miliardi di euro per liquidare i debiti commerciali maturati prima della fine del 2019.
Entro lo scorso 7 luglio, termine entro il quale le articolazioni periferiche della PA dovevano presentare la richiesta di denaro alla CDP, sembra che, secondo alcune indiscrezioni riportate dalla stampa specializzata, sia stato richiesto solo un miliardo.
La conferma di questo clamoroso flop emerge dalla lettura delle bozze del decreto Agosto: all’art. 55 il Governo ha riaperto i termini per la presentazione della domanda alla CDP. Pertanto, ASL, Regioni ed enti locali potranno chiedere l’anticipazione di liquidità per pagare i creditori tra il 21 settembre e il 9 ottobre prossimi.
“Dalla segnalazione riportata dalla Corte dei Conti – ha dichiarato il segretario Renato Mason – si starebbe consolidando una tendenza in atto da alcuni anni che vede le Amministrazioni pubbliche saldare con puntualità le fatture di importo maggiore e ritardare intenzionalmente la liquidazione di quelle di dimensione meno elevate. Una modalità operativa che, ovviamente, penalizzerebbe le piccole imprese che, generalmente, lavorano in appalti o forniture di importi nettamente inferiori a quelli ‘riservati’ alle attività produttive di dimensione superiore. Senza liquidità molte PMI non hanno futuro e, paradossalmente, rischiano di chiudere per troppi crediti inesigibili”.
Stando al trend in atto in questi ultimi anni, i ritardi dei pagamenti penalizzerebbero soprattutto le PMI, sottolinea CGIA.
Trend che coinvolge anche i Ministeri: nel secondo trimestre di quest’anno 8 su 13 hanno pagato in ritardo i propri fornitori. Gli altri 5 non hanno ancora aggiornato l’indice di tempestività dei pagamenti che misura i giorni di ritardo o di anticipo in cui vengono saldati i fornitori rispetto alle scadenze previste dal contratto . La situazione più difficile è in capo alle attività economiche che hanno lavorato per il Ministero dell’Interno: tra aprile e giugno sono state liquidate mediamente con 62 giorni di ritardo.
Seguono le aziende che hanno instaurato un rapporto commerciale con il ministero delle Politiche Agricole (61 giorni di ritardo) e quelle con il ministero dell’Ambiente (+53 giorni). Forti ritardi nei pagamenti hanno registrato anche il Ministero dei Trasporti (+ 49 giorni), i Beni Culturali (+30 giorni), Difesa (+16 giorni), Economia e Finanze (+14 giorni) e Sviluppo Economico (+12,5 giorni).
Contravvenendo alle disposizioni di legge,, infine, cinque ministeri (Lavoro, Esteri, Giustizia, Salute e Istruzione) non hanno ancora aggiornato i dati del secondo trimestre. Quelli della Giustizia e della Salute, non hanno addirittura ancora reso disponibili gli indici di tempestività del primo trimestre del 2020.