(Teleborsa) – Europa si, Europa no, Europa si…ma… Europa si ma non questa Europa. Meno Europa. Quante tesi si sono ascoltate in questi ultimi anni. “Più Europa” è anche il nome di una nuova formazione politica presente oggi in Parlamento.
Negli anni ’50 nacque la Comunità Economica del Carbone e dell’Acciao (CECA): Italia, Belgio, Francia, Germania Ovest, Lussemburgo, Paesi Bassi. Nel 1992 nacque l’Unione Europea. Se ne occuparono tra gli altri grandi leader della terra come Schuman (francese), De Gasperi (italiano), Spaak (belga), Adenauer (tedesco). Oggi la scena politica, su fatti gestionali, si ripete in parte con due leader “forti”. Il presidente francese Macron e la cancelliera tedesca Merkel.
Merkel e Macron spesso si pre coordinano e lanciano proposte concrete per interventi in vari settori che poi vengono sottoposti all’attenzione dei vertici istituzionali dell’Unione Europea. Secondo Lei, Professor Paolo Bongarzoni, è quello che è successo anche recentemente con la proposta, a due, avanzata dal Presidente francese Macron e dalla Cancelliera tedesca Merkel?
A mio avviso, la proposta relativa al Fondo per la Ripresa, frutto dell’asse Franco-Tedesco e presentata il 27 Maggio dal Presidente della Commissione Ursula von der Leyen, potrebbe essere una cosa positiva. Francia e Germania sono i due paesi economicamente e politicamente più importanti dell’Unione e il loro accordo rappresenta un primo serio e concreto impegno per far fronte alla crisi europea. Le risorse di cui si è discusso saranno messe a disposizione dei Paesi che hanno più sofferto in questa situazione di emergenza e saranno coperte dal Bilancio dell’Unione Europea (attraverso un meccanismo di contribuzione da parte dei vari Stati). La speranza è che il Fondo per la Ripresa sia il primo di una serie di strumenti comunitari di solidarietà, diversi dai normali prestiti.
Vi è anche nei fatti una trazione a due dell’Europa?
La Germania e la Francia sono i due paesi con i più alti numeri in Europa (popolazione, PIL, numero e importanza dei ruoli ricoperti, contributo netto al bilancio dell’Unione in funzione delle risorse proprie, miglior giudizio assegnato dalle agenzie di rating). Ogni volta che i due paesi hanno preso un’iniziativa di comune accordo, sono seguite decisioni importanti. Questa intesa è stata rafforzata dal Trattato di Aquisgrana del 2019 che ha promosso e formalizzato questi incontri istituzionali franco-tedeschi.
Come si devono interpretare queste iniziative di un numero ristretto di registi?
In funzione dei numeri sopra indicati e del sodalizio storico, economico e politico, l’asse franco-tedesco rappresenta il fulcro delle decisioni prese in Europa negli ultimi anni. Ciò è anche avvalorato dal fatto che, nell’ambito della proposta sul Fondo della Ripresa, la Germania ovviamente sosterrà il peso maggiore dei nuovi fondi/garanzie del bilancio Ue. Più volte, come in questo caso, la Germania e la Francia hanno giocato un ruolo di mediazione tra i vari Paesi del sud, del nord e dell’est Europa.
Spesso sembra che l’Italia, nonostante punti di forza economica importanti, non sia nel centro della elaborazione delle pre riunioni e delle proposte. È così secondo Lei?
Secondo me si. La mia impressione, come quella di molti, è che siamo entrati in Europa sulla base di promesse troppo ottimistiche (stabilità dei prezzi, alti livelli occupazionali, sviluppo sostenibile, coesione economica/territoriale/sociale, solidarietà tra gli Stati membri) alle quali non fa riscontro però la situazione attuale in cui il nostro tenore di vita sembra di molto inferiore a quello di 20 o 30 anni fa. Le spese per investimenti produttivi e la possibilità di indebitarsi sono state limitate dall’adozione dei parametri di Maastricht (3% Deficit/PIL e 60% Debito/PIL). La libera circolazione ha favorito le grandi aziende penalizzando la competitività delle piccole/medie (che rappresentano più del 10% del nostro PIL). Lo Stato copre le proprie spese con il gettito fiscale (in assenza, purtroppo, di una politica fiscale coordinata a livello europeo) e attraverso il ricorso al libero mercato dei capitali; secondo molti, la perdita di sovranità monetaria e dei poteri della Banca d’Italia a favore della Banca Centrale Europea (nonché il meccanismo di spread, come differenza tra il tasso dei bonds tedeschi e i bond emessi da altri paesi) hanno contribuito alla crisi di liquidità e di solvibilità, alla depressione della domanda e alla speculazione internazionale. Molte aziende non investono in Italia per motivi che sono ben noti, e il sistema nella sua generalità spesso segna il passo.
Venendo ai fatti specifici Macron e Merkel hanno avanzato una proposta di iniezione di €750 miliardi? In cosa consiste, più nel concreto, questa proposta? I contorni di questa proposta sono ben delineati e precisi? Potrebbe cercare di dare una spiegazione concreta di queste proposte che spesso appaiono di difficile comprensione nei meccanismi di conoscenza e di facile intendimento?
Questa proposta, frutto di un accordo tra Germania e Francia, rappresenta un’iniziativa a carico dei Bilanci annuali dell’Unione europea e servirà a finanziare le regioni e i settori più colpiti dalla pandemia. Il funzionamento e le modalità di questa proposta è stata fatta propria dalla Commissione Europea durante la presentazione il 27 Maggio del piano “Next Generation EU” (intervento da € 750Mld), che andrebbe a rafforzare il Budget comunitario o Quadro Finanziario Pluriennale 2021-2017 (che ammonta a € 1.100Mld). Il budget totale 2021-2027 raggiungerebbe quindi € 1.850Mld a cui andrebbero aggiunti i provvedimenti approvati sulla sicurezza dei lavoratori (SURE di € 100Mld), delle Imprese (BEI di € 200Mld) e MES (€ 240Mld) per un totale di € 540Mld. La principale linea del fondo “Next Generation EU” è rappresentata dal “Recovery and Resilience Facility” di € 560Mld (€ 310Mld per trasferimenti e € 250Mld per prestiti) istituita per sostenere (senza condizionalità) gli investimenti prioritari per una ripresa duratura (soprattutto nel campo della Green Economy, Digitalizzazione e altri importanti settori colpiti). Sarà compito degli Stati membri di preparare dei piani nazionali di ripresa e resilienza che saranno approvati dalla Commissione; il rilascio dei fondi avverrà quindi in modo graduale in funzione dell’andamento dei progetti.
Inoltre la Commissione ha anche proposto la modifica del Quadro Finanziario 2014-2020 integrandolo con € 11,5Mld (React-Eu) che saranno utili a far fronte all’emergenza già dal 2020. Il prossimo obiettivo è il raggiungimento di un accordo sul fondo “Next Generation EU” e sul Budget 2021-2027 al prossimo Consiglio Europeo.
In dettaglio, il fondo “Next Generation EU” di € 750Mld (di cui € 250Mld di prestiti) saranno raccolti dalla Commissione Europea attraverso l’emissione di titoli obbligazionari (acquistabili anche dalla Banca Centrale Europea) garantiti e rimborsati dal Bilancio dell’Unione Europea (la Commissione innalzerà temporaneamente il tetto delle risorse proprie fino al 2% del PIL). La distribuzione dei fondi agli Stati membri (si parla di € 172,7Mld per l’Italia di cui € 90,9Mld di prestiti) sarà fatta in funzione delle necessità degli Stati colpiti dalla pandemia e non in base a parametri rigidi (es. PIL). Ogni Stato contribuirà alla restituzione dei fondi negli anni successivi, in funzione della sua quota di partecipazione al Bilancio Europeo.
Gli aspetti positivi sono che le obbligazioni sono garantite dal bilancio della Commissione, che i fondi sono distribuiti in funzione delle necessità post Covid-19 e che la proposta provenga inizialmente dai due pilastri dell’Unione. Come anticipato, sarà possibile introdurre tassazioni minime e sovvenzioni concrete a beneficio di settori come la sanità e ricerca (es. potenziamento dei piani di prevenzione), l’ambiente (es. lotta contro il cambiamento climatico), l’informatizzazione d’azienda e le sinergie tra aziende europee. I prestiti e i finanziamenti saranno assicurati dall’emissione di obbligazioni (massimo trentennali) da parte della Commissione Europea e il rimborso avverrà nel periodo 2028-2058. L’ipotesi di emissione di “obbligazioni perpetue” (per le quali si pagano solo gli interessi) è stata scartata come ipotesi.
La sensazione è che i fondi messi a disposizione dell’Italia, in combinazione con gli altri meccanismi di prestito discussi (MES “light”, BEI, SURE) potrebbero non essere sufficienti a far fronte ad una situazione economica così compromessa. Ciò anche alla luce di quanto è già stato stanziato in altri continenti al fine di sostenere il loro sistema economico.
Perché Austriaci, Olandesi, Danesi, Svedesi… hanno preso pozioni critiche alle proposte franco tedesche soprattutto per la parte relativa all’Italia e al “finanziamento” quanto meno secondo alcune indicazioni? Ma noi siamo messi cosi male da un punto di vista economico e finanziario? Come mai queste reazioni contro l’Italia? Germania e Francia, come sono messe rispetto a noi?
Al momento dell’iniziale proposta Franco-Tedesca i paesi del nord Europa hanno avanzato le loro controproposte che riguardano sempre i prestiti (a breve termine), con vincolo di restituzione, del pagamento di interessi e di impegno sulle riforme da portare avanti. Dopo la riunione della Commissione Europea il 27 Maggio, alcuni di questi paesi hanno ribadito che le decisioni sul “Recovery Fund” prevedono l’unanimità e che sarà necessario un adeguato periodo di negoziato. Le posizioni di questi paesi nascono, a mio avviso, dalla mancanza di fiducia nei confronti dell’Italia, per via delle difficoltà che potrebbe incontrare nei processi di utilizzo/restituzione delle risorse. Ciò è confermato dal fatto che questi paesi hanno chiesto, nelle loro controproposte, un coinvolgimento della Corte dei Conti Europea. C’è da dire che anche noi abbiamo contribuito a questa situazione. Molti dei finanziamenti europei non sono stati utilizzati in passato per via della difficoltà di attrarre in Italia investitori adeguati, per l’eccessiva burocraticità nell’accesso ai fondi e per il loro utilizzo in iniziative a volte non di lungo periodo o strutturali.
È questo dovuto anche ad alcune valutazioni sui contenuti del “decreto rilancia Italia”? Da alcuni economisti e da varie parti politiche il contenuto dei provvedimenti del RILANCIA ITALIA viene giudicato come un insieme di voci di spesa e non di sviluppo come invece da più parti verrebbe richiesto. Lei cosa ne pensa?
Sono d’accordo, ma bisogna fare i conti con una situazione di liquidità che non è quella di molti altri paesi, che possono permettersi di mettere a disposizione delle aziende fermate dalla crisi una quantità di fondi sufficiente a coprire gli stipendi dei lavoratori (e quindi evitarne il licenziamento). Gli strumenti oggetto dei decreti emessi (crediti di imposta, ammortamenti/super ammortamenti, sgravi fiscali, capitalizzazione, garanzie pubbliche alle banche, ricorso alla cassa integrazione in deroga e degli ammortizzatori sociali) possono andare bene ma c’è necessità di liquidità immediata al fine di stimolare la domanda.
Partiamo già con un debito di 2.400 miliardi. La “manovra Conte” riguarda 55 miliardi. Crisi delle aziende. Parametri di operatività che fanno dichiarare agli operatori stessi che la riapertura di alcuni settori (come Turismo, Ristorazione, Intrattenimento,…) non supererà il trenta per cento. Fonti internazionali e esponenti del governo italiano prevedono a fine anno, con questo trend, un forte calo del nostro PIL (Un punto di PIL vale circa 17 miliardi). Oltre una carenza di liquidità già da ora inaudita.
Possibile che il cielo sia così nero e nessuno si accorga che potrebbe piovere a dirotto con conseguenze drammatiche per le casse dello Stato, per lo Stato Sociale, per la Scuola, per la Ricerca, per la Sanità…? Con queste premesse, e proprio perché non si vuole fare dietrologia, possiamo chiedere ad un attento osservatore delle strutture istituzionali e degli andamenti economici le Sue valutazioni? Se Lei fosse nella camera di regia quali potrebbero essere alcune proposte concrete al fine di uscire da questa situazione?
Io, come molti altri, sono per le politiche a sostegno della domanda. Deprimere la domanda con un’eccessiva pressione fiscale, con tanta burocrazia e con la mancanza di un piano di investimenti produttivi di lungo periodo è come avere in garage una bellissima auto sportiva e pretendere che abbia delle buone performances senza fare un’adeguata manutenzione. Gli investimenti produttivi dovranno valorizzare le enormi risorse che abbiamo a disposizione (patrimonio storico-culturale, artistico, naturale e manifatturiero); a tale proposito esistono modelli di sinergia tra settori che hanno funzionato in realtà meno virtuose dell’Italia.
Le banche dovrebbero esser messe in condizione di trasferire, per quello che è di loro competenza, le risorse alle attività produttive, favorendo la competitività delle aziende locali; in questo ambito, è necessario un forte intervento pubblico di indirizzo dell’attività bancaria e dell’attività produttiva (es. digitalizzazione). A livello di politiche monetarie, la Banca Centrale Europea deve poter operare come facevano le Banche Centrali e agire come prestatore di ultima istanza. Bisognerebbe maggiormente investire nell’istruzione e ricerca, nella sicurezza e nella sanità; tutte queste spese fondamentali non sono state tenute in particolare considerazione negli anni per via di alcune politiche europee legate all’austerità. Molte risorse possono essere liberate dalla riorganizzazione della struttura pubblica e dallo snellimento della burocrazia. La riforma della giustizia e l’utilizzo adeguato dell’enorme risparmio privato ai fini della ristrutturazione del debito pubblico sono argomenti attuali che però non sono stati ancora affrontati adeguatamente. Se il sistema di finanziamento dovesse rimanere quello del libero accesso al mercato dei capitali, a fronte di queste idee è necessaria l’adozione di azioni finalizzate al miglioramento del rating del nostro paese e quindi delle condizioni di accesso al credito.
D’altro canto è fondamentale ridiscutere tutta la struttura dei parametri europei che al momento limita la spesa in deficit e il debito per investimenti produttivi. Se è giusto che ci sia un’Europa è anche giusto che ci sia un maggior coordinamento a livello europeo (della politica fiscale, degli investimenti produttivi, della politica sanitaria e del lavoro). A mio avviso, non è accettabile che alcune nazioni europee si siano arricchite, a seguito dell’adozione di parametri e regolamenti che ci siamo autoimposti, mentre altre siano sull’orlo del fallimento. Sono sicuro che questa consapevolezza sarà fatta propria dall’Unione Europea nei prossimi anni (il Fondo per la Ripresa potrebbe esser un primo passo) altrimenti non ci saranno più le condizioni per andare avanti.
Gli Italiani cosa devono sperare? E cosa devono temere ad ottobre?
Le sensazioni raccolte tra i rappresentanti di categoria (es. piccole medie aziende) non sembrano molto ottimistiche. Sicuramente c’è la volontà di continuare e riaprire l’attività immediatamente, anche se le prospettive di economicità saranno visibili solo sul medio periodo (es. Settembre/Ottobre). In questa fase 2, alcune realtà imprenditoriali (legate soprattutto al turismo) hanno preferito attendere, onde evitare di incorrere in costi variabili certi a fronte di un fatturato incerto, anche per via delle restrizioni alla libera circolazione dei potenziali clienti (sia di natura legislativa da parte dei decreti che di natura psicologica). In particolare, proprio l’aspetto psicologico non è valutabile, nella sua portata e durata nel tempo.
Un elemento negativo è rappresentato dalla copertura degli elevati costi fissi a cui non hanno fatto riscontro soluzioni adeguate da parte del Governo. A seguito della riapertura, un business con una struttura costi/ricavi sotto il punto di pareggio continuerà ad operare se almeno i costi fissi saranno coperti, altrimenti la soluzione più plausibile è la cessazione.
Sempre secondo i dati raccolti dalle associazioni di categoria, dal punto di vista dei ricavi, i dati mensili sono ovviamente preoccupanti vista l’unicità della situazione rispetto ad altre crisi passate (-80%/90% degli incassi solo ad Aprile). Per quel che riguarda le proiezioni nazionali del PIL, sulla base dei dati del primo trimestre (-4,7%) e delle previsioni negative del secondo, esistono stime più o meno pessimistiche per il dato di fine anno (-10%/-15% di PIL) che saranno legate anche alla flessibilità nell’applicazione dei decreti emanati. Questi dati fanno eco alla stima peggiorativa a livello europeo in caso di “seconda ondata di covid” (-16% di PIL). Per quel che riguarda i dati sulla disoccupazione, la sensazione è che a Settembre si riuscirà ad avere un quadro più chiaro della situazione per via dell’attuale ricorso alla cassa integrazione in deroga e agli ammortizzatori sociali. Gli effetti sui licenziamenti e quindi sul tasso di disoccupazione sembrano quindi posticipati. In altri contesti internazionali (es. USA), caratterizzati da una diversa legislazione, la situazione è molto più chiara già da adesso.
di Egidio Pedrini
(Foto: Lukasz Kobus – © Unione Europea)