(Teleborsa) – Crescono tutti i principali indicatori economici del biotech italiano, che conta circa 700 imprese (a fine 2019 erano 696), di cui la metà attiva nel settore salute, più di 13mila addetti (di cui il 34% impiegato in attività di R&S) e oltre 12 miliardi di euro di fatturato con un incremento medio annuo tra il 2014 e il 2018 di circa il 5%. Due terzi del fatturato biotech è generato dalle imprese a capitale estero, che rappresentano appena l’11% di quelle censite, e sono attive soprattutto nell’area della salute umana. Gli investimenti complessivi in R&S delle imprese censite ammontano a 2,3 miliardi di euro mentre gli investimenti in R&S biotech superano i 760 milioni. Questi ultimi registrano una crescita di oltre il 7% rispetto al 2016 e del 25% rispetto al 2014. La fotografia scattata dal nuovo rapporto Assobiotec-Enea “Le imprese di biotecnologia in Italia” mostra un settore in crescita, con una popolazione di imprese che si è andata consolidando in termini numerici, a forte intensità di ricerca e sviluppo, ma che ha bisogno di rafforzarsi sotto il profilo dimensionale per migliorare la propria competitività a livello internazionale.
Certamente un settore che – sottolinea Enea in una nota – in questi primi mesi del 2020 ha mostrato tutto il proprio valore e le proprie potenzialità, nella reazione all’emergenza sanitaria causata dalla diffusione del Sars-Cov2. E che sempre più si sta affermando come tecnologia chiave per una ripartenza “sostenibile” del Paese. Infatti, motore chiave della bioeconomia, le biotecnologie applicate all’agricoltura – spiega Enea – offrono una risposta concreta per gestire la ridotta disponibilità di suolo, di acqua, per preservare la biodiversità, per rendere le produzioni resistenti ai cambiamenti climatici. Così come bioprodotti e bioprocessi sono grandi opportunità per il futuro del pianeta perché hanno un impatto ambientale molto basso e rappresentano una strada concreta verso la decarbonizzazione dell’economia e la riduzione della dipendenza dalle fonti fossili.
A livello regionale le attività biotecnologiche si confermano fortemente concentrate in Lombardia, la prima regione in Italia per numero di imprese (195 pari al 28% del totale), investimenti in R&S intra-muros (30% del totale) e fatturato biotech (45% del totale). Si registra, tuttavia, un progressivo sviluppo delle regioni del Nord-Est e una crescente diffusione di nuove iniziative nelle regioni del Centro (con il Lazio in testa) e del Sud. Particolarmente significativa è stata la crescita della quota del Mezzogiorno, anche se solo in termini di numero di imprese: la quota di imprese biotech con sede nel Mezzogiorno è passata dal 14,4% nel 2008 al 19,4% nel 2019. È la Campania a guidare questo sviluppo.
Secondo un il sondaggio “Biotech vs Covid19: un comparto in prima linea” – realizzato nel mese di aprile da Assobiotec e finalizzato a indagare il ruolo che il biotech sta giocando nella battaglia globale contro la pandemia e che tipo di impatto ha avuto la diffusione del virus Sars-CoV-2 sul comparto biotech nazionale – emerge un importante coinvolgimento delle imprese presenti sul nostro territorio nella ricerca e nella produzione di soluzioni contro il virus (57% del campione) con particolare riferimento all’area della diagnostica (44%) e della ricerca di terapeutici (34%). Solo il 7% dichiara invece di essere impegnato nella ricerca di un vaccino. Significativo è l’effetto che la pandemia e il lockdown stanno avendo sul comparto: sebbene il 60% del campione indichi di continuare a portare avanti il proprio business, anche se in modalità differente, il 40% si è vista costretta a ridimensionare (29%) o bloccare (11%) la propria attività. A soffrire in particolare le realtà a capitale italiano che nel 13% dei casi hanno dovuto bloccare totalmente le attività in corso, mentre le imprese con headquarter estero sono riuscite tutte a proseguire le attività (dato imputabile al fatto che queste realtà svolgono in prevalenza attività più vicine al mercato e sono dunque meno esposte ad attività ad alto rischio di R&S). Tante e differenti le difficoltà operative incontrate fra carenza di clienti (32%), logistica (29%) e crisi di liquidità (25%). Carenza di budget (36%), inaccessibilità dei laboratori e sospensione delle attività di arruolamento di pazienti negli studi clinici (21%), mancanza di materiali (19%) sono invece i principali fattori alla base di un rallentamento generale delle attività di R&S. Quasi la metà delle imprese italiane ha, inoltre, evidenziato la necessità di individuare urgentemente un piano di lungo periodo per la Ricerca e l’Innovazione (42%) così come allocare più investimenti in R&S (41%), mentre le imprese a capitale estero chiedono minore burocrazia (28%) e l’individuazione di un pacchetto di sgravi fiscali (14%).
“Fra emergenza coronavirus e ricerca di soluzioni per una nuova ripartenza sostenibile, le biotecnologie stanno mostrando negli ultimi mesi in maniera sempre più chiara il determinante contributo che sono in grado di offrire a livello globale per rispondere a queste urgenze – afferma il presidente Assobiotec Federchimica Riccardo Palmisano –. Il settore in Italia c’è ed è ricco di eccellenze, ma per poter competere a livello internazionale ha bisogno di urgenti interventi a livello di sistema Paese. L’esperienza che stiamo vivendo ci ha insegnato, in primis che gli investimenti in ricerca e innovazione sono fondamentali: essere fermi all’1,3% del PIL rispetto al 3% individuato dal piano Horizon 2020 non è un risparmio, ma significa perdere opportunità di crescita per il Paese. Poi che la collaborazione pubblico-privato funziona. Ancora, che lentezze burocratiche, regole farraginose e frammentazione sono i nemici numero uno della velocità d’azione che nei settori ad alta tecnologia globalizzati come il biotech rappresenta un elemento vitale. Se vogliamo che il biotech diventi una catapulta per la ripartenza dobbiamo rendere il nostro Paese attrattivo per gli investimenti. Infine, ci ha insegnato quanto sia importante per un Paese industrializzato come il nostro disporre, oltre che della conoscenza, anche di strutture ed infrastrutture strategiche e quanto oggi si debba agire per favorirne l’attrazione e la nascita. Mi piacerebbe che da questi punti si potesse ripartire, tutti insieme, per lo sviluppo del settore, per la crescita dell’economia e dell’occupazione del Paese”.
“Dal Rapporto sulle biotecnologie emerge con forza come la ricerca e l’innovazione possano dare un contributo di rilievo allo sviluppo di settori strategici, in una prospettiva di sostenibilità economica e ambientale e di collaborazione pubblico-privato – ha commentato il presidente Enea Federico Testa –. Per sfruttare al meglio le potenzialità del nostro sistema innovativo, infatti, è necessario sviluppare nuove modalità di collaborazione fra ricerca pubblica, imprese e finanziatori, in primo luogo i fondi di venture capital, al fine di massimizzare le opportunità di scambio tecnologico in un approccio di open innovation, per potenziare l’azione di sistema fra i vari attori coinvolti. Su questa traiettoria si posiziona ormai da alcuni anni Enea con strumenti ad hoc per rafforzare la collaborazione con le imprese, attraverso programmi come il Knowledge Exchange a supporto del sistema industriale, il fondo interno da 2,5 milioni di euro per il proof of concept, la formazione di ricercatori esperti in trasferimento tecnologico, solo per fare alcuni esempi. E su questa intendiamo proseguire, ampliando servizi e strumenti disponibili, anche nella prospettiva di contribuire alla ripartenza post emergenza Covid-19″.