(Teleborsa) – Un quadro strutturale segnato dal progressivo rallentamento della crescita economica, in un contesto che vede una maggiore incertezza globale dovuta alle guerre commerciali – attenuate ma non scomparse in seguito al recente accordo Usa-Cina – e alle accresciute tensioni geopolitiche. Questo lo scenario presentato dal Rapporto annuale sul Mercato del Lavoro 2019 realizzato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Istat, Inps, Inail e Anpal. A indebolire ulteriormente le prospettive di crescita economica anche la comparsa, a gennaio 2020, del coronavirus Covid-19. Dall’analisi emerge, infatti, come la sua rapida diffusione in Cina e nel resto del mondo avrà un prevedibile impatto sfavorevole anche sul mercato del lavoro.
Se da un lato emergono evidenze di un miglioramento del mercato del lavoro in cui fattori di fondo – demografici e sociali, di selezione interna e risposte ai mutamenti tecnologici delle imprese – e di più breve periodo hanno contribuito a una prolungata ripresa che ha portato i livelli occupazionali ai massimi storici, dall’altro – rileva il Rapporto – “permane un’ampia area di inoccupazione e sottoccupazione dove spicca l’utilizzo del part time involontario, accanto all’aumento dei divari con l’Ue e l’acuirsi degli squilibri territoriali”.
Le dinamiche del mercato del lavoro in una fase di incertezza – Nel terzo e quarto trimestre 2019 nell’area dell’euro, coerentemente con l’andamento del Pil, – si legge nel Rapporto – prosegue a ritmi più lenti la crescita dell’occupazione che resta al massimo storico. Prosegue, inoltre, la diminuzione del tasso di disoccupazione che a dicembre 2019 tocca il 7,4%. In Italia nel terzo trimestre 2019 si osserva per la quarta volta consecutiva una crescita congiunturale del Pil dello 0,1%. Tuttavia, nel quarto trimestre 2019 il Pil ha subìto una riduzione dello 0,3% rispetto al trimestre precedente e una variazione dello +0,1% nel raffronto su base annua. Nel terzo e quarto trimestre 2019, l’occupazione in Italia è al massimo storico di 23,4 milioni di unità, ma nei dati preliminari di dicembre e gennaio si registra un calo sia del numero di occupati sia del tasso di occupazione. Permane la tendenza a una crescita occupazionale a bassa intensità lavorativa: il numero di occupati supera il livello del 2008 ma la quantità di lavoro utilizzato è ancora sensibilmente inferiore. A differenza della fase ciclica degli anni ’90, in cui l’occupazione e le ore lavorate seguivano sostanzialmente lo stesso andamento, la fase più recente è caratterizzata da una discesa delle ore lavorate e da una caduta del tempo pieno a fronte di una sostanziale tenuta dell’occupazione. Dallo Studio emerge, inoltre, un aumento dei divari, sia quelli con l’Ue che, a livello interno, quelli generazionali e di genere che continuano a penalizzare le donne (la metà delle quali in età attiva non lavora) e i giovani. Si accentuano, poi, le disuguaglianze territoriali: nella media dei primi tre trimestri del 2019 la distanza tra il Mezzogiorno e il Centro-nord è di oltre 20 punti per il tasso di occupazione e per quello di mancata partecipazione.
Crescita del part time come alternativa all’orario standard – Nel 2018 gli occupati a tempo parziale in Italia sono 4,3 milioni, il 18,6% del totale. Tale quota, cresciuta in modo continuo negli ultimi anni, si è avvicinata a quella della media Ue (20,1%). La differenza residua dipende principalmente dal lavoro indipendente che in Italia è più presente e meno interessato dal part time, mentre per i dipendenti la quota è pressoché analoga in Italia e in Europa. Nel 2018 oltre 5,5 milioni di dipendenti sono stati interessati, per almeno un giorno, da rapporti di lavoro part time; di questi 4,6 milioni sono stati coinvolti in maniera esclusiva. Rispetto al 2008 le giornate retribuite part time sono aumentate del 60% mentre quelle complessive appena del 5%. La crescita è spiegata più dalle nuove assunzioni che dalle trasformazioni da full time a part time. Mediamente il regime di orario part time è pari nel 2018 al 59% dell’orario contrattuale.
Cessazioni dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato – I licenziamenti relativi a rapporti di lavoro a tempo indeterminato sono passati da 647 mila nel 2014 a 579 mila nel 2018. La quota di licenziamenti sul totale delle cessazioni nel 2018 è risultata pari al 36% contro il 42% nel 2014. Le dimissioni hanno pesato per il 53% nel 2018 e per il 48% nel 2014. La gran parte dei licenziamenti è motivata da ragioni economiche, circa nove su dieci, ma – spiega il Rapporto – l’incidenza di quelli disciplinari sul totale dei licenziamenti risulta in crescita: dal 7,4% del 2014 al 13% del 2018. La maggior parte dei licenziamenti avviene nelle piccole imprese (62% nel 2018). In particolare, i datori di lavoro che hanno licenziato dipendenti con rapporti di lavoro a tempo indeterminato hanno anche attivato nuovi contratti a tempo indeterminato, in ragione di 1,2 rispetto ai licenziamenti effettuati (0,7 nelle piccole imprese e 2,0 in quelle più grandi). La quota di lavoratori licenziati in presenza dei requisiti richiesti per accedere alla NASpI, lo strumento di sostegno al reddito dei disoccupati entrato in vigore nel 2015, oscilla attorno al 60% per gli anni 2016-2018.
Tirocini extracurriculari – A livello nazionale, il numero dei tirocini è passato dai 227 mila nel 2014 ai 349 mila nel 2018, con una crescita del 53,9%. Nel complesso, nel quinquennio 2014-2018, i tirocini sono stati 1 milione e 615 mila e rappresentano il 2,5% di tutte le attivazioni riferibili alla somma dei nuovi rapporti di lavoro attivati e dei tirocini avviati nello stesso periodo. Il numero di individui è cresciuto nel corso del quinquennio del 57,1%, per un totale di 1 milione 158 mila, dei quali il 51% sono giovani tra i 15 e i 29 anni alla loro prima esperienza nel mercato del lavoro. A un anno dal termine dell’esperienza, il tasso di inserimento si avvicina al 60%.
Lavoro autonomo – Nel 2018 in Italia i lavoratori indipendenti sono circa 5 milioni (il 21,7% degli occupati). Nel periodo 2008-2018 l’occupazione indipendente si è ridotta del 9,5% (558 mila unità in meno) a fronte di un aumento del 4,0% di quella dipendente (+682 mila persone). L’Italia si colloca al terzo posto in Europa per la quota di indipendenti, dopo Grecia e Romania.
Infortuni sul lavoro e malattie professionali – Nel 2018 gli infortuni sul lavoro accaduti e denunciati all’Inail sono stati 562.952, oltre 1.500 al giorno, in lieve flessione rispetto al 2017 (-0,5%, circa 3 mila in meno). Gli infortuni riconosciuti per il 2018 sono 373 mila, di cui più del 21% fuori dell’azienda (in occasione di lavoro con mezzo di trasporto coinvolto e in itinere). Le denunce per esiti mortali di infortuni accaduti nel 2018 sono state 1.245, oltre 3 al giorno, 95 in più rispetto al 2017, ma 369 in meno dal 2008. Il 2018 – sottolinea il Rapporto – si è contraddistinto per l‘elevato numero di incidenti mortali plurimi (come il crollo del ponte Morandi a Genova, con 15 vittime, e i due incidenti stradali a Lesina e a Foggia con 16 braccianti vittime). I casi mortali accertati positivamente sono stati 744, di cui il 60% fuori dell’azienda. Nel 2018 sono state denunciate 59.503 malattie professionali, in lieve aumento (+2,6%) rispetto all’anno precedente. Le malattie riconosciute positivamente, a dato consolidato, sono circa 24 mila l’anno: per il 2018, nel 67% dei casi interessano il sistema osteomuscolare (prevalentemente disturbi dei tessuti molli e dorsopatie), nel 15% il sistema nervoso (prevalentemente sindromi del tunnel carpale), nel 4% sono tumori.