(Teleborsa) – Per risolvere le controversie sui dazi, che stanno attanagliando l’economia internazionale, l’unica strada è quella dei negoziati bilaterali come il CETA, in grado di rilanciare l’export.
È la tesi di Confagricoltura che cita a sostegno i dati elaborati dal suo Centro Studi sull’accordo Unione europea-Canada: dalle elaborazioni è infatti emerso un aumento delle esportazioni di prodotti agroalimentari italiani sul mercato canadese del 9,7% (gen-set 2019 su gen-set 2018).
“Gli ultimi dati relativi all’accordo UE-Canada (CETA) dimostrano che l’unica strada perseguibile per rilanciare l’export, in base a principi di reciprocità ed equilibrio tra le parti, è quella dei negoziati bilaterali. L’alternativa, a seguito pure della difficoltà di intese WTO, finisce per essere quella dei rapporti di forza basati sull’imposizione di dazi e sulle inevitabili misure di ritorsione, come sta accadendo, negli ultimi tempi, tra Ue-Usa”, ha commentato il presidente di Confagricoltura Massimiliano Giansanti.
Circa un quinto dell’export totale, in valore, dell’Italia verso il Canada è composto da prodotti agricoli ed agroalimentari e, di questi, quasi il 40% è costituto da prodotti vitivinicoli.
I numeri dimostra che c’è sempre più interesse per vini e spumanti made in Italy di qualità, tanto è vero che le esportazioni di imbottigliato in recipienti superiori a 2 litri (come ad esempio il vino sfuso o in damigiana) sono fortemente diminuite, sia in valore, sia in quantità (-33,8%). C’è indubbiamente una fascia di consumatori che apprezzano i vini e gli spumanti italiani (+12%) di qualità, trainati dal Prosecco, e che sono disposti a spendere di più.
Il Ceta – pone in evidenza l’Organizzazione degli imprenditori agricoli – fa bene anche alle esportazioni dei nostri formaggi che, nel primo trimestre 2019, sembravano avere avuto una battuta d’arresto e che invece, tra giugno e settembre, risultano al di sopra della media mensile.
Importante nell’accordo Unione europea-Canada, ad avviso di Confagricoltura, anche la tutela delle indicazioni geografiche agroalimentari, in particolare delle dieci che rappresentano il 90% del valore dell’export di tutte le denominazioni agroalimentari del nostro Paese. È il caso – ricorda l’associazione – delle denominazioni “Prosciutto di Parma” e “Prosciutto San Daniele” che non potevano essere utilizzate in Canada da oltre venti anni.