(Teleborsa) – Le tensioni commerciali e il rischio di recessione disegnano uno scenario economico incerto per l’anno 2020. Gli analisti, infatti, sebbene prevedano una ripresa della crescita frenano il loro ottimismo da diverse incognite.
Le Borse attendono con fiducia l’annunciata pax commerciale tra Stati Uniti e Cina per mettere, finalmente, la parola fine alla lunga guerra dei dazi che ha drammaticamente segnato lo scorso anno. Dopo mesi di negoziati e fibrillazioni che per lungo tempo hanno scosso i mercati, con un tweet postato alla vigilia del nuovo anno Donald Trump ha indicato nel prossimo 15 gennaio la data per la firma della “fase uno” dell’accordo raggiunto da Washington e Pechino.
Ciò significherebbe una riduzione dei dazi su beni per circa 120 miliardi di dollari e l’impegno della Cina a incrementare gli acquisti di prodotti made in Usa, soprattutto quelli agricoli come la soia. Le previsioni americane parlano di un aumento di almeno 40 miliardi di dollari l’anno per due anni. Dovrebbero poi essere incluse nel testo anche alcune misure che limitano la capacità della Cina di indebolire la propria valuta per favorire le proprie esportazioni.
Infine sono attesi passi in avanti per rafforzare la protezione delle aziende Usa che operano nel Paese asiatico. Se la prospettiva di un’imminente firma dovrebbe, dunque, assicurare una partenza sprint di Wall Street, già protagonista di una cavalcata record nel 2019, il migliore degli ultimi sei anni, resta un alone di incertezza, visto che la data della cerimonia non è stata ancora confermata da Pechino.
Il presidente americano – facendo intendere di voler imprimere un’accelerazione al dialogo con Pechino – ha, inoltre, annunciato di volersi recare presto in Cina per avviare la “fase due” delle trattative in vista della chiusura dello storico patto. Tra i nodi della seconda fase dei negoziati, centrali risultano il controverso capitolo della difesa dei diritti di proprietà intellettuale e la questione degli aiuti di Stato che Pechino continua a garantire a molte sue aziende. Una nota positiva sullo scenario americano sul quale sono puntati i riflettori in vista del processo che attende Trump in Senato dove si deciderà sull’impeachment del presidente.
Ampliando lo sguardo l’anno si apre all’insegna della minaccia della cosiddetta “Debt bomb”, ovvero la minaccia del debito globale che ha raggiunto ormai livelli monstre. A lanciare l’allarme è la Banca mondiale che in un recente rapporto esprime serie preoccupazioni in particolare per le sorti dei mercati emergenti. In un contesto in cui l’ammontare del debito medio delle principali economie globali rappresenta più del 70% dei loro Pil, il livello più alto da più di 150 anni, se si esclude il picco intorno alla seconda guerra mondiale – secondo quanto affermato da Edward Bonham Carter, vice chairman di Jupiter asset management, in una recente intervista al Sole 24 Ore – “gestire tale debito non è un problema quando i tassi di interesse sono bassi ma può diventarlo velocemente se i tassi iniziano ad aumentare e la crescita inizia a dissiparsi”.
Lo stesso Fondo monetario internazionale nel suo ultimo report sulla stabilità finanziaria globale ha previsto che un rallentamento dell’economia grave, solo la metà rispetto a quello della crisi finanziaria 2007-2008, potrebbe mettere a rischio di insolvenza fino al 40% del debito societario in essere nelle principali economie mondiali per un valore complessivo di 19 mila miliardi di dollari. Nel momento in cui l’economia globale sta rallentando, la sostenibilità di tali livelli di debito rimane una delle principali sfide per il 2020.