(Teleborsa) – Incerto, così è per gli italiani il presente e così è il futuro percepito. Pensando al domani, il 69% dei cittadini dichiara di provare incertezza, il 17,2% pessimismo e il 13,8% ottimismo, con i pesi relativi di questi ultimi due stati d’animo quasi equivalenti, che finiscono per neutralizzarsi. È questa la fotografia scattata dal Rapporto Censis 2019.
Dopo aver dovuto metabolizzare la rarefazione della rete di protezione di un sistema di welfare pubblico in evidente crisi di sostenibilità finanziaria, destinando risorse crescenti a strumenti privati di tutela e introiettando l’ansia del dover fare da soli rispetto a bisogni individuali e familiari non più coperti come in passato, gli italiani – si legge nel Rapporto – hanno dovuto fare i conti con la fine della corsa verso il benessere, sperimentando una rottura dell’ascensore sociale segnata da un concomitante andamento negativo di retribuzioni e redditi. A crollare – evidenzia il Censis – sono stati anche i due pilastri storici della sicurezza familiare, il mattone e i Bot, di fronte a un mercato immobiliare senza più le garanzie di rivalutazione di una volta e titoli di Stato dai rendimenti ormai infinitesimali. Un contesto in cui gli italiani si ritrovano ora a “subire il grande tradimento: un attacco a freddo proprio contro quelle soluzioni individuali di vitale reazione alle avversità”. Così – rileva il Censis – è stata percepita “la minacciosa scure fiscale agitata sopra le loro teste, con l‘annuncio della caccia al cash accumulato in chiave difensiva in questi anni, alle cassette di sicurezza e al nero di sopravvivenza”.
Oggi – evidenzia il Rapporto – il 69% degli italiani è convinto che la mobilità sociale sia bloccata; il 63,3% degli operai crede che in futuro resterà fermo nell’attuale condizionesocio-economica, perché è difficile salire nella scala sociale; il 63,9% degli imprenditori e dei liberi professionisti teme invece la scivolata in basso. Inoltre, il 38,2% degli italiani è convinto che nel futuro i figli o i nipoti staranno peggio di loro, il 21,4% non sa bene che cosa accadrà e solo il 21% pensa che staranno meglio di loro. Il ceto medio (43%), dagli impiegati agli insegnanti, è più persuaso che figli e nipoti staranno peggio.
Il 74,2% degli italiani dichiara di essersi sentito nel corso dell’anno molto stressato per la famiglia, il lavoro, le relazioni o anche senza un motivo preciso; al 54,9% è capitato talvolta di parlare da solo (in auto, in casa, ecc.); e per il 68,6% l’Italia è un Paese in ansia (il dato sale al 76,3% tra chi appartiene al ceto popolare). Tanto che nel giro di tre anni (2015-2018) il consumo di ansiolitici e sedativi (misurato in dosi giornaliere per 1.000 abitanti) è aumentato del 23,1% e gli utilizzatori sono ormai 4,4 milioni (800.000 in più dal 2015). Una situazione che genera sfiducia e insicurezza: il 75,5% degli italiani non si fida degli altri, convinti che non si è mai abbastanza prudenti nell’entrare in rapporto con le persone; il 48,6% dichiara di avere subito nel corso dell’anno almeno una prepotenza in un luogo pubblico (insulti senza un apparente motivo, spintoni, ecc.); il 43,7% si sente molto insicuro, quasi minacciato nelle strade che frequenta abitualmente; il 25,7% ha litigato con qualcuno per strada o in luoghi pubblici.
Per quanto riguarda la politica il Censis descrive uno scenario “affollato da non decisioni: sul contenimento della pressione migratoria, sulla digitalizzazione, sulla politica tributaria, sulle concessioni e sui lavori per le grandi infrastrutture di rete, sui servizi idrici o per i rifiuti, sulla collocazione delle scorie nucleari, solo per richiamarne alcune.
Più occupati, meno lavoro: il bluff dell’occupazione che non produce reddito e crescita – Rispetto al 2007, nel 2018 si contano 321mila occupati in più: +1,4%. La tendenza è continuata anche quest’anno: +0,5% nei primi sei mesi del 2019. Il riassorbimento dell’impatto della lunga recessione nasconde però – rileva il Censis – alcune criticità. Il bilancio dell’occupazione è dato da una riduzione di 867mila occupati a tempo pieno e un aumento di 1,2 milioni di occupati a tempo parziale. Nel periodo 2007-2018 il part time è aumentato del 38% e anche nella dinamica tendenziale (primo semestre 2018-2019) è cresciuto di 2 punti. Oggi un lavoratore ogni cinque ha un impiego a metà tempo. Ancora più critico è il dato del part time involontario, che riguarda 2,7 milioni di lavoratori. Nel 2007 pesava per il 38,3% del totale dei lavoratori part time, nel 2018 rappresenta il 64,1%. E tra i giovani lavoratori il part time involontario è aumentato del 71,6% dal 2007. Così oggi le ore lavorate sono 2,3 miliardi in meno rispetto al 2007 e parallelamente le unità di lavoro equivalenti sono 959mila in meno. Nello stesso periodo le retribuzioni del lavoro dipendente sono diminuite del 3,8%: 1.049 euro lordi all’anno in meno. I lavoratori con retribuzione oraria inferiore a 9 euro lordi sono 2.941.000: un terzo ha meno di 30 anni (un milione di lavoratori) e la concentrazione maggiore riguarda gli operai (il 79% del totale).