Un argomento di strettissima attualità da affrontare con urgenza, nella speranza di riuscire a trovare una soluzione che faccia diminuire il divario tra uomo e donna sul posto di lavoro e non solo.
Le disuguaglianze di genere presenti nel mercato del lavoro si ripercuotono anche sul sistema previdenziale: le pensioni di vecchiaia erogate alle donne sono il 48% in meno rispetto a quelle erogate agli uomini, quelle anticipate il 20% in meno. Inoltre, l’83% delle pensioni integrate al minimo sono liquidate alle donne, che ricevono una pensione di vecchiaia che ammonta a 645 euro lorde al mese. Sono alcuni dei dati più significativi – e di certo non rassicuranti – contenuti nell’analisi elaborata dall’Ufficio Previdenza della Cgil Nazionale insieme all’Inca, e presentata nel corso della secondo appuntamento della campagna “Rivolti al Futuro”.
Come si evidenzia nel rapporto le donne sono penalizzate anche per l’accesso alla pensione anticipata. Hanno potuto usufruire di strumenti come Ape sociale e Precoci solo rispettivamente il 34% e il 17% delle lavoratrici. Anche Quota 100 resta una risposta “parziale”, infatti, sulla base di alcune stime del sindacato le donne che nel 2019 utilizzeranno tale misura saranno circa 40mila, il 26% del totale (pari a 144mila).
“Per rimuovere le attuali disuguaglianze – dichiara il Segretario confederale della Cgil, Roberto Ghiselli – serve una riforma complessiva dell’attuale sistema pensionistico, così come proponiamo nella Piattaforma unitaria elaborata con Cisl e Uil. Per il dirigente sindacale “vanno riconosciute le diverse condizioni delle persone, a partire da quelle di genere, bisogna prevedere una vera flessibilità in uscita, tutelare le carriere discontinue, il lavoro di cura prestato in ambito familiare, che per il 68% è a carico delle donne”. “Inoltre – sottolinea Ghiselli – è urgente intervenire per garantire una piena e regolare copertura previdenziale alle lavoratrici in part time verticale ciclico, che ad oggi, non vedendosi riconoscere i contributi nei periodi di sosta lavorativa, sono costrette ad andare in pensione più tardi”.