Il Governo non ha nessuna intenzione di abbandonare l’ex Ilva al suo destino e far fuggire AncelorMittal, la cordata indiana che l’aveva rilevata lo scorso anno. Per questo è allo studio del premier Conte e dei ministri un piano per salvare lo stabilimento di Taranto.
La soluzione passa attraverso il fondo della famiglia Riva, precedenti proprietari dell’allora Ilva, scovato dai magistrati nel 2013 in Svizzera. Un tesoretto da 1 miliardo di euro che era stato messo a disposizione dell’amministrazione straordinaria, e vincolato al risanamento ambientale della fabbrica di acciaio pugliese. Di questo miliardo, 635 milioni sono già stati spesi o allocati. Il resto, pari a 448 milioni, restano da spendere e sono nelle disponibilità della gestione commissariale, l’affittuaria di AncelorMittal. Questa cifra potrebbe essere messa sul tavolo delle trattative e rimarrebbe destinata al risanamento ambientale di Taranto e dello stabilimento. Non un punto secondario, considerato che due degli altiforni dell’impianto sono stati chiusi per ragioni ambientali, e un terzo è a rischio. Nelle intenzioni del Governo, il tesoro dei precedenti proprietari diventa quindi una garanzia per mantenere la nuova proprietà.
L’altro nodo da sciogliere sono i posti di lavoro. Il premier Conte ha assicurato che la questione esuberi è prioritaria, e se AncelorMittal tornasse a sedersi al tavolo delle trattative, il Governo potrebbe aprire all’ipotesi di una cassa integrazione più grande, idea avanzata ufficialmente dal viceministro dell’Economia Antonio Misiani.
Ma è una soluzione che non piace a Confindustria, che con il presidente Vincenzo Boccia sposta l’attenzione sulla crisi del settore dell’acciaio, sostenendo che in queste condizioni imporre di mantenere gli stessi livelli di occupazione è un “errore madornale”. Parole che hanno suscitato lo sdegno dei sindacati, a partire dalla Cgil di Maurizio Landini che chiede invece il rispetto degli accordi firmati un anno fa che impegnavano AncelorMittal a garantire i posti di lavoro. Sulla stessa scia anche Annamaria Furlan, leader della Cisl, che chiede che la crisi dell’acciaio sia risolta con un confronto che includa anche i sindacati e non chiudendo le fabbriche.
Da ultimo, resta lo scudo penale. Proprio la scelta di eliminare l’immunità per reati ambientali è stata il “casus belli” che ha indotto i vertici di AncelorMittal a chiedere la risoluzione del contratto. Del resto lo scudo penale era stato garantito al momento del subentro di AncelorMittal, ma è stato poi cancellato dal recente decreto imprese, su proposta di Barbara Lezzi, ex ministro del Movimento 5 Stelle. L’ipotesi è quella di reintrodurlo, e tanto basta per spaccare i pentastellati. E tuttavia anche la reintroduzione dell’immunità non basterebbe a garantire che AncelorMittal rimanga a Taranto.
Il premier Conte incontrerà di nuovo a breve i vertici del colosso indiano per valutare il da farsi. Se la trattativa non andasse a buon fine, restano in piedi due soluzioni estreme: la statalizzazione dell’ex Ilva, o la sua chiusura.