(Teleborsa) – Vi siete mai chiesti perché i pezzi di ricambio per un elettrodomestico hanno costi elevati o sono difficili da reperire? Perché il computer o lo smartphone dopo pochi mesi è già diventato vecchio? La risposta è semplice e si racchiude in due parole: “obsolescenza programmata”. Si tratta di una politica commerciale adottata dalle aziende produttrici che ha lo scopo di accorciare la vita naturale di un prodotto spingendo così il consumatore a comprare prima del tempo il modello nuovo. L’obiettivo è dunque: acquistare frequentemente
Come funziona?
Si tratta dunque di una strategia industriale creata affinché la domanda di prodotti messi sul mercato non venga mai meno.
Quando nasce il termine obsolescenza programmata? Tale definizione è salita all’onore delle cronache soprattutto negli ultimi anni, ovvero da quando gli strumenti elettronici sono diventati sempre più presenti nella nostra vita.
La cospirazione delle lampadine. Il termine “obsolescenza programmata o pianificata” venne usato nella prima metà degli Anni 20 quando i principali produttori di lampadine a incandescenza si misero d’accordo per ridurne la durata della luce. Una strategia che segnò l’inizio della tecnica voluta dalle aziende per ridurre il tempo di funzionamento di un prodotto e garantirsi il ricambio con oggetti di ultima generazione.
Nel tempo, il termine obsolescenza è stato accostato sempre più al mondo dell’informatica e dell’elettronica. Lo smartphone, seguito da lavatrici, frigoriferi ed altri elettrodomestici di varie dimensioni, è uno dei prodotti più soggetti a questo processo di “invecchiamento”: una volta acquistato, dopo un paio di anni gli aggiornamenti di sicurezza non vengono più rilasciati, le nuove applicazioni non sono più compatibili con il sistema operativo esistente e diventa così “tecnologicamente vecchio”. A tal proposito, a fine 2018 il Garante ha sanzionato colossi come Samsung e Apple per aver aggiornato il firmware dei loro dispositivi mobili causandone in modo significativo la riduzione delle prestazioni e alcune disfunzioni.
Così come utilizzare materiali di minor resistenza, viti speciali e accorgimenti tali da rendere impossibile un semplice smontaggio, assemblaggi che non rendano possibile l’estrazione del singolo elemento guasto, la non disponibilità di ricambi dopo poco tempo dalla messa in produzione e comunque a prezzi molto elevati tali da non rendere conveniente la riparazione. Metodi semplici per costringere i consumatori all’acquisto di nuovi apparecchi. In precedenza anche le stampanti Epson caddero nel mirino dell’Antitrust.
Senza l’obsolescenza programmata non esisterebbero, o meglio sarebbero in numero decisamente inferiore, centri commerciali, prodotti, come anche industria. Meno anche rappresentanti di commercio, addetti alle pulizie o agenti della sicurezza.
Oggi questa strategia industriale è parte integrante del programma di studi delle scuole per progettisti e ingegneri ai quali viene insegnato il concetto di ciclo vitale del prodotto, un eufemismo moderno che sta per obsolescenza programmata. Gli studenti apprendono come creare progetti per un mondo degli affari dominato da un solo obiettivo: acquistare frequentemente.
Viviamo in una società in crescita la cui logica non è tanto crescere per soddisfare le necessità, ma crescere rinnovando senza soluzione di continuità: crescere ma non durare, una società priva di riparatori, in sostanza all’insegna della parola d’ordine “usa e getta”. Crescere all’infinito, aumentare la produttività senza limiti e per giustificare tutto ciò anche il consumo deve crescere all’infinito.
La problematica questione dello smaltimento rifiuti
Una conseguenza della obsolescenza programmata è lo smaltimento rifiuti. Si parla di una enorme quantità di stoccaggio: oltre 40 milioni di spazzatura a livello globale, con frigoriferi, lavastoviglie e lavatrici ai primi posti in quanto a peso, ingombro e difficoltà di trasporto e smaltimento.
Questa politica commerciale produce, infatti, un flusso continuo di rifiuti che viene poi spedito nei paesi del terzo mondo, ad esempio il Ghana, in Africa. Più dell’80% dei rifiuti elettronici è però impossibile da riparare e interi carichi di container sono abbandonati in discariche in ogni parte del Paese che sta diventando sempre più il “cassonetto” dell’immondizia mondiale. Una situazione che rischia di aumentare esponenzialmente senza possibilità di ritorno.
Ma qualcosa si sta muovendo. Nel 2017, il Parlamento europeo attraverso una risoluzione ha invitato tutti gli stati membri a promuovere prodotti con un ciclo di vita più lungo oltre che riparabile senza ricorrere quindi ad una continua sostituzione con uno nuovo.