(Teleborsa) – Doveva arrivare entro il 30 aprile ma non ha visto ancora la luce. La tassa sull’economia digitale dovrebbe valere sui ricavi dei colossi del web già da quest’anno ma in assenza del decreto attuativo rischia di creare un mini-buco per le casse dello Stato da 150 milioni nel 2019, che diventano oltre mezzo miliardo (600 milioni era cifrata in manovra) a regime a partire dal prossimo anno.
L’Italia tenta di introdurre la web tax dal 2013 ma sembra che anche il tentativo giallo-verde, per il momento, sia fallito. Il decreto attuativo, di concerto tra ministero dell’Economia e dello Sviluppo economico, sentiti anche Garante per la privacy e Agcom andava emanato entro fine aprile per fissare i servizi effettivamente assoggettati alla nuova imposta ma a rallentarlo è subentrato anche il mancato accordo Ue sulla tassazione dei giganti del web a causa dell’opposizione di Irlanda, Svezia, Danimarca e Finlandia. A livello europeo la questione è stata rinviata in in sede Ocse che, per giungere a una proposta condivisa e fare pagare le tasse ai colossi del web là dove generano fatturati e utile, si è data come deadline il 2020.
In Italia, in seguito alle modifiche introdotte lo scorso autunno, la norma sulle transazioni digitali prevede, sulla falsariga della web tax francese e spagnola, un’aliquota del 3% per le aziende con oltre 750 milioni di ricavi di cui almeno 5,5 milioni da servizi digitali sul territorio nazionale, dalla pubblicità mirata online alla fornitura di beni e servizi venduti su piattaforme web, fino alla trasmissione di dati raccolti sempre attraverso interfaccia digitali.