(Teleborsa) – Artista a tutto tondo, scienziato, ingegnere, inventore. Sono solo alcuni degli attributi che descrivono Leonardo da Vinci, un genio, una mente brillante, un uomo che riuscì ad anticipare i tempi nelle scienze applicate, dotato di una naturale predisposizione alla multidisciplinarietà, caratteristica fondamentale nel campo delle scienze che lo rende uno scienziato a pieno titolo.
Ma Leonardo è anche l’espressione dell’italianità, della prontezza d’ingegno, dell’idea brillante e rivoluzionaria, caratteristiche che sono nel DNA del popolo italiano. Ebbene, Leonardo fu un inventore, si pensi agli studi sulle macchine e sul volo, al suo modello di aliante e di paracadute, e certamente fu un grande innovatore, un uomo che anticipò i tempi con discrezione ed eleganza, senza imporsi, e come accadeva all’epoca, condizionato dalle intuizioni di aristocratici e nobili che lo vollero presso la loro corte per periodi più o meno lunghi, commissionando opere e finanziando la sua ricerca.
Un destino comune a tanti inventori, oggi come allora, che talvolta limita l’ingegno ed il progresso dell’innovazione, nell’età moderna più che allora, per la scarsezza di capitali e per la miopia di chi specula su risultati facili e rapidamente redditizi. Qual è dunque il ruolo oggi degli inventori ed innovatori in Italia affascinati e nello stesso tempo limitati dalla globalizzazione? Leonardo fu la summa di un’agilità di intelletto che oggi non conosce ancora la sua decadenza, ma non esplode, come avviene in molti Paesi più inclini a finanziare l’evoluzione ed il progresso.
LEONARDO MODELLO DELLE PMI INNOVATIVE
Leonardo può essere considerato un modello ed un precursore per la vasta schiera di PMI innovative che popolano il nostro Paese. Il potenziale in Italia conta ben 18 mila PMI innovative, ma si tratta di piccole imprese che sono nascoste, non note ai più, perché molte non hanno richiesto e ottenuto l’iscrizione alla sezione speciale del registro imprese dedicata alle PMI innovative. Secondo l’Osservatorio PMI Innovative, le imprese censite in questo registro “speciale” nel 2018 erano solo 877, un numero sicuramente in forte crescita, che fa segnare un +35% rispetto al 2017.
Va meglio se non si considera il modello d’impresa e si guarda alle startup innovative, realtà piuttosto piccole, spesso formate da una o poche persone, arrivate a circa 10 mila alla fine del 3° trimestre 2018 rispetto alle 8.391 di dicembre 2017 (dati desunti dal monitoraggio Mise-InfoCamere).
L’identikit delle PMI innovative vede una prevalenza (65%) nel settore dei servizi, un dato che non sorprende nell’era della digitalizzazione, poi nell’industria/artigianato (28%) ed una piccola parte nel commercio (6%). La distribuzione geografica Penalizza il Sud e premia le più floride regioni den Nord Est: gran parte delle nuove PMI Innovative si concentra in Lombardia (29%), cui seguono Piemonte (13%), Veneto (10%), Lazio, Emilia-Romagna e Marche (ciascuna con un 7%).
IL RUOLO DI INDUSTRIA 4.0
L’industria 4.0 scaturisce dalla quarta rivoluzione industriale, legata appunto alla digitalizzazione di massa e alla globalizzazione, che che porterà alla produzione industriale “automatizzata” ed “interconnessa”. Rivoluzione che segue le tre precedenti: la prima alla fine del ‘700 determinata dalla nascita della macchina a vapore e della meccanizzazione della produzione, la seconda alla fine ‘800 determinata dall’elettricità e dell’avvio di un metodo di produzione di massa, la terza del 1970 innescata dalla nascita del computer e dell’informatica.
L’espressione Industrie 4.0 è stata coniata per la prima volta alla Fiera di Hannover (Germania) nel 2011 e diede avvio ad un gruppo di lavoro presieduto da Siegfried Dais ed Henning Kagermann, che presentarono al governo federale tedesco una serie di raccomandazioni per la sua implementazione. Il tema fu poi al centro del World Economic Forum di Davos nel 2016 e da lì è stato più volte affrontato, soprattutto per quanto concerne l’impatto sul lavoro e l’occupazione.
In Italia se ne parla da fine 2016, quando l’allora governo Renzi volle inserire un “pacchetto di agevolazioni” nella Legge di Bilancio, battezzato appunto Piano Industria 4.0, per favorire lo sviluppo della ricerca e dell’innovazione. L’intendimento era favorire la ricerca pubblica e privata movimentando diversi miliardi di capitali. Il Piano ancora oggi attivo prevede una serie di facilitazioni per PMI e startup innovative, agevolazioni sui finanziamenti concessi per acquistare macchinari e garanzie sui finanziamenti concessi per avviare PMI o startup innovative, super e iper ammortamento per innovare le strumentazioni in azienda, deduzioni per le somme investite in R&S.
Sicuramente, il piano Industria 4.0 ha rappresentato uno shock positivo per l’industria italiana, avendo incentivato gli investimenti in ricerca ed innovazione dopo anni di paralisi, tanto che la fase due ha voluto favorire soprattutto i piccoli “innovatori” nel capo della digitalizzazione, venendo ribattezzata Impresa 4.0.
La sfida oggi al contrario del Risorgimento si gioca tutta sulla digitalizzazione, tema su cui l’Italia è ancora fortemente arretrata. Ma la riduzione del digital divide potrebbe essere vista come una opportunità, mentre il rischio principale è quello di venir rigurgitati dalle grandi multinazionali estere, più flessibili, più pronte e soprattutto più ricche di capitali da investire.