(Teleborsa) – Quello del 24 aprile proposto dal premier Giuseppe Conte e accettato dai sindacati maggiormente rappresentativi è solo un accordo di facciata, che lascia inalterati i problemi della scuola. Questo il pensiero del giovane sindacato della scuola Anief, secondo il quale l’unica certezza che abbiamo oggi è quella del dato tendenziale contenuto nel Documento di economia e finanza, approvato dal Governo e ora all’esame del Parlamento: nel Def è infatti previsto che la spesa per l’Istruzione pubblica scenda in modo graduale sino a raggiungere nel 2040 la miseria del 3,1%, mentre la media dell’Unione Europea sfiora il 5%, con punte del 7%.
Ecco perché Anief ha deciso di confermare e raddoppiare i giorni di stop dal lavoro, come ufficializzato dalla Commissione di Garanzia: il 10 maggio a fianco del Cub; una settimana dopo, il 17 maggio, con Cobas e Unicobas.
I motivi della protesta
Sono troppi i temi trascurati o male affrontati: il passaggio del personale dallo Stato nella regionalizzazione dell’istruzione pubblica e la ridistribuzione delle risorse tra le regioni, la mancata riapertura delle GaE con nuovi e inutili concorsi straordinari, la trascuratezza verso gli idonei agli ultimi concorsi, il prezioso ruolo dei vicari dei presidi e il personale di ruolo che chiede il trasferimento in altra provincia, l’elusione delle direttive europee sulla stabilizzazione automatica dei precari storici con oltre 36 mesi di servizio, l’abbandono al loro destino dei diplomati magistrale e il loro licenziamento, la disapplicazione della norma sui passaggi professionali verticali del personale Ata, l’adozione di stipendi ridicoli che necessitano di almeno 200 euro ulteriori di aumenti, l’assegnazione ai precari dello stipendio base senza alcuna considerazione dei periodi di precariato se non in fase di ricostruzione di carriera e anche limitata, i trasferimenti ancora oggi castrati da norme anacronistiche, come quelle che vietano di andare a coprire posti solo sulla carta di fatto, ma in realtà liberi a tutti gli effetti.