(Teleborsa) – Ottenere un quadro preciso dell’impatto delle elezioni presidenziali statunitensi sui mercati è complesso, non solo perché i sondaggi continuano a indicare una competizione estremamente serrata. È necessario considerare due fattori: in primo luogo, i programmi restano ancora molto vaghi e difficilmente diventeranno più dettagliati nelle settimane a venire. In secondo luogo, e soprattutto, misure fiscali incisive richiedono che il Presidente disponga del sostegno di entrambe le Camere del Congresso, una possibilità che appare possibile, ma estremamente incerta.
Sul fronte Democratico, la candidata Harris ha delineato un programma caratterizzato da un aumento delle tasse societarie, portandole dal 21% al 28%, una sorveglianza antitrust più rigorosa per frenare i profitti “eccessivi” nel settore alimentare, misure per incrementare l’offerta abitativa e agevolazioni fiscali per i compratori alla prima casa e per le famiglie con bambini piccoli. L’obiettivo è sostenere il potere d’acquisto della classe media e risolvere la crisi abitativa, le due esigenze più urgenti espresse dagli elettori. Per quanto riguarda il commercio, si prevede di mantenere la posizione protezionistica verso la Cina adottata dall’amministrazione Biden, che rimane popolare tra gli elettori. Lo stesso vale per le misure destinate a promuovere lo sviluppo domestico della manifattura e la transizione ecologica.
L’ex presidente Trump prevede una serie di tagli fiscali generalizzati, in particolare per le imprese, e una drastica riduzione dell’immigrazione. I suoi esperti economici hanno in programma di aumentare significativamente i dazi sulla Cina e, in misura minore, sull’UE e sui principali partner commerciali, sostenendo però che tali misure servano anche come leva per ottenere condizioni più favorevoli per le esportazioni statunitensi. Gli economisti temono che gran parte di queste misure possa provocare inflazione, in particolare quelle riguardanti l’immigrazione. È opportuno ricordare che l’aumento dell’immigrazione dopo il COVID ha contribuito a contenere le pressioni salariali di fronte a una forte domanda di lavoro. In passato, Trump e alcuni altri Repubblicani hanno minacciato di ridurre l’indipendenza della Fed nominando membri più fedeli al FOMC, ma ciò richiederebbe il pieno sostegno del Senato.
Ciò detto, il punto più importante da considerare consiste nelle restrizioni che il nuovo presidente dovrà affrontare nell’attuazione della propria piattaforma economica. Sebbene i dazi possano, in linea di principio, essere imposti con un decreto presidenziale, le azioni di politica fiscale richiedono una maggioranza sia alla Camera dei Rappresentanti che al Senato (dove, in alcuni casi, è necessaria una maggioranza del 60%). Guardando al passato e agli attuali sondaggi (molto incerti), l’esito più probabile è che il Presidente si trovi a dover lavorare con un Congresso privo di una chiara maggioranza. Questo limiterebbe gravemente la possibilità di azioni politiche radicali.
Ciò che è certo è che nessuno dei due partiti sembra preoccupato per l’aumento previsto del debito pubblico. Al contrario, entrambi i programmi porterebbero probabilmente a un deficit più elevato. Allo stesso tempo, il livello estremo di polarizzazione politica rende improbabile un accordo bipartisan per riportare il debito a un livello sostenibile.