(Teleborsa) – Le proposte del Governo italiano confluite nel Ddl capitali, a lungo attese da tutta l’industria finanziaria, contribuiranno certamente allo sviluppo dei mercati di Borsa e, con questi, delle imprese quotate e di tutto l’indotto, anche se il risultato finale delle discussioni parlamentari rischia di presentare alcuni problemi, a meno che non arrivino precisazioni e correttivi. È questo, in estrema sintesi, il giudizio dei vertici di AMF Italia – Associazione Intermediari Mercati Finanziari (ex ASSOSIM) nei confronti del Ddl Capitali, il provvedimento che intende rendere più attraente la quotazione e la permanenza in Borsa.
Se il giudizio è quindi positivo sulla quasi totalità delle novità, a preoccupare gli operatori del mercato finanziario italiano è soprattutto l’articolo che norma la lista del CdA, che nella formulazione definitiva finisce per complicare la prassi ora in atto, rendendo la presentazione in Italia di una lista per il rinnovo del board – da parte del consiglio stesso – un unicum a livello globale. La norma – ad esempio – permette a un fondo attivista che ha appena l’1% del capitale di ottenere il 20% dei consiglieri, oppure a una lista del CdA che ottiene più voti di non essere sicura di avere la maggioranza, oltre che aprire a diverse interpretazioni giuridiche i meccanismi che regolano l’elezione dei consiglieri, fa notare Marco Ventoruzzo, presidente di AMF Italia e professore ordinario di diritto commerciale presso l’Università Bocconi.
Queste complicazioni potrebbero spingere grandi aziende italiane ad azionariato diffuso, come e , a scegliere di spostare la loro sede legale in Olanda per trovare una normativa più business-friendly e una giustizia più certa e veloce nelle decisioni, sostiene Andrea Vismara, amministratore delegato di e vicepresidente di AMF Italia. Secondo il banchiere, la formulazione attuale dell’articolo 12 del Ddl Capitali, appunto quello incriminato sulla lista del CdA, va a danneggiare una prassi virtuosa sviluppata dal mercato negli anni, e potrebbe spingere alcune società a trovare modi per evitarne l’applicazione, come far presentare candidati ad alcuni azionisti.
Vista l’esperienza vissuta con il Ddl Capitali – dove per mesi si è discusso di lista del CdA e di voto maggiorato, trascurando altri punti ritenuti dagli operatori altrettanto importanti – l’auspicio dei vertici di AMF Italia è che i punti salienti del Testo unico sulla Finanza (TUF) siano rivisti tenendo conto delle priorità del mercato e non concentrandosi sulle richieste di pochi, secondo quanto emerso in un incontro con la stampa per presentare le ultime novità in casa AMF Italia (il cambio di nome e l’apertura di una sede a Bruxelles).
Dopo l’approvazione del Ddl Capitali (per il quale è arrivato il via libera alla Camera e si aspetta un ultimo passaggio al Senato per una questione tecnica di coperture) si aprirà infatti il cantiere della riforma del TUF, per la quale il Governo ha una delega di 12 mesi. Si tratta di una revisione invocata da tempo dal mercato, visto che il testo è datato 1998, quando direttore generale del Tesoro era Mario Draghi.
Indicazioni per la riforma del TUF arrivano anche dall’Europa, dove recentemente è stato raggiunto un accordo politico tra Consiglio e Parlamento UE sul Listing Act, per approvare il provvedimento entro la fine della legislatura. Anche in questo caso le novità sono accolte positivamente dagli operatori – l’introduzione del voto multiplo è considerata necessaria in questa fase storica – perché vanno soprattutto a livellare la normativa a livello comunitario, introducendo delle disposizioni minime da applicare in tutti gli Stati membri per combattere l’arbitraggio regolamentare che avvantaggia oggi soprattutto Olanda e paesi nordici.
Il Listing Act riconosce anche che alcune delle scelte fatte in passato hanno fatto più danni che altro, fa notare Marco Turrina, senior advisor di Banca Finnat e vicepresidente di AMF Italia. Il riferimento è soprattutto all’introduzione del cosiddetto “un-bundling” dei servizi di ricerca azionaria prodotta da soggetti vigilati da parte della MiFID, nella convinzione che pagare la ricerca sulle società quotate – un pezzo fondamentale per il funzionamento dei mercati e per far conoscere le PMI e Mid Cap – attraverso le commissioni di trading fosse una forma di “indebito incentivo”.
Secondo l’esperto, ostacoli tecnologici e prassi consolidate renderanno difficile tornare indietro – ovvero al “re-bundling” dei pagamenti per la ricerca azionaria e l’esecuzione degli ordini – ma resta il rammarico per il fatto che all’epoca la Commissione UE non abbia ascoltato gli operatori e inserito una misura che ha avuto gli effetti opposti a quelli auspicati, quasi azzerando la ricerca indipendente prodotta in Europa da soggetti vigilati e spianando la strada alle grandi banche statunitensi, che hanno fatto dumping sui prezzi della ricerca, spingendo fuori dal mercato tanti player italiani ed europei.
Promuovere la ricerca azionaria, che oggi per la maggior parte delle piccole società quotate è sponsorizzata, serve anche a contrastare la crisi di liquidità che attanaglia il mercato italiano e in particolare l’Euronext Growth Milan (EGM), peraltro l’unico mercato che sta portando un numero consistente di aziende sul mercato, anche se di taglia molto ridotta. Per questo è fondamentale introdurre agevolazioni fiscali a sostegno della ricerca azionaria, ad esempio con la creazione di un fondo per la ricerca indipendente, alimentato con una parte del gettito della FTT; la ricerca finanziaria dovrebbe infatti essere considerata un bene di pubblica utilità per il funzionamento dei mercati, afferma Franco Fondi, esperto di diritto tributario e coordinatore del comitato fiscale di AFM Italia. Occorre anche cercare di ridurre lo svantaggio competitivo degli investimenti finanziari tassati al 26% rispetto all’investimento in titoli del debito pubblico tassati al 12,5%; quindi ben venga un ulteriore rafforzamento dei PIR che premiano il “capitale paziente”.
L’introduzione di incentivi alla ricerca azionaria è un tema molto caro anche a Vismara, che però se deve identificare il tema più urgente per il rilancio di Piazza Affari non ha dubbi: lavorare sugli investitori domestici, che in Italia sono presenti molto meno che nel resto d’Europa nel capitale delle società quotate. Le idee per incentivare la presenza di più player e l’arrivo di più capitali italiani sul listino sono quelle contenute nel Manifesto per lo sviluppo dei Mercati dei Capitali in Italia, come incentivare Cassa Depositi e Prestiti – oltre che le maggiori banche, assicurazioni, fondazioni, fondi pensione e casse previdenziali – a investire nell’equity italiano. Secondo il banchiere, a servire non sono nuove norme o necessariamente la leva fiscale, ma uno scatto culturale e una volontà politica di spingere gli investitori istituzionali domestici ad aiutare la Borsa, con il ruolo di guida di questo progetto che potrebbe anche essere assunto dalla maggiore banca o assicurazione del paese.
Le richieste degli operatori non vanno solo a vantaggio delle imprese italiane, che con un contesto più favorevole potrebbero accedere più facilmente alla Borsa, ma puntano anche a sostenere l’ecosistema finanziario italiano, che si trova a competere con i colossi americani ma anche con altri soggetti europei, che possono sfruttare framework normativi migliori. In questo contesto, fa notare Stefano Vincenzi, general counsel di e vicepresidente di AMF Italia, l’attività dell’associazione è volta a tutelare tutti gli operatori e in particolare quelli di piccole dimensioni, che hanno meno possibilità di far sentire la loro voce e sono stati i più colpiti dalle difficoltà degli ultimi anni determinando l’uscita di molti di loro dal mercato.