(Teleborsa) – L’Associazione Bancaria Italiana (ABI) sostiene che l’imposta sugli extraprofitti delle banche “solleva dubbi di compatibilità con i precetti costituzionali”. Nel corso di un’audizione alle commissioni Ambiente e Industria del Senato sul decreto asset, ABI ha affermato che “la Corte costituzionale ha delineato precise direttrici per verificare la compatibilità di una imposta straordinaria con i principi sanciti nella Carta, in particolare quello di uguaglianza (art. 3) e quello di capacità contributiva (art. 53)” e “ha ribadito come una misura fiscale di carattere discriminatorio, per superare il vaglio di costituzionalità, debba rispondere a criteri di adeguata ragionevolezza”.
Secondo le banche, invece, “l’art. 26 del decreto-legge non sembra tener conto di tali precettive condizioni”. L’ABI ha quindi ricordato anche che in occasione della sentenza sulla Robin Tax la Consulta ha giudicato “irragionevole e pertanto incostituzionale, l’addizionale IRES sul settore energetico, perché, tra le altre cose, difettava di un meccanismo che consentisse la tassazione separata del solo reddito supplettivo connesso alla posizione privilegiata delle imprese coinvolte”.
Secondo l’associazione bancaria, quindi, “i medesimi profili di incostituzionalità possono ricorrere anche per l’art. 26 del DL 10 agosto 2023, che assume a base imponibile l’intero margine di interesse come individuato dalla relativa voce di bilancio, senza verifica concreta sulla sua correlazione con gli asseriti ‘extra’ profitti derivanti da ‘l’andamento dei tassi di interesse e del costo del credito“. L’ABI ha inoltre segnalato sulla base della giurisprudenza comuitaria “possibili profili di incompatibilità con la disciplina comunitaria sono relativi all’articolo 42 della Costituzione, per lesione del diritto di proprietà, stante il carattere espropriativo della misura sulla ricchezza dell’impresa”.
L’associazione ha poi rilevato che la tassa introdotta “senza alcun confronto preventivo anche con l’ABI” ha prodotto “sui mercati un impatto solo parzialmente poi attenuato” ed “un vulnus alla fiducia riposta sul mercato finanziario italiano“. “La nuova norma produce effetti retroattivi, in quanto si riferisce a periodi conclusi (2021 e 2022) o in corso (2023)” ha aggiunto l’associazione bancaria secondo la quale “la retroattività incide sulla certezza del diritto, in contrasto con i principi e i criteri di certezza, irretroattività, programmabilità cui si ispira la delega fiscale“.
Secondo ABI l’imposta dovrebbe inoltre essere deducibile a fini IRES e IRAP. “Se così non fosse, la norma produrrebbe un improprio aggravio impositivo a danno dei soggetti passivi”. Il direttore generale dell’Abi, Giovanni Sabatini, nel corso dell’audizione ha proposto misure “migliorative” del decreto, sottolineando la necessità di “escludere dal computo dell’imposta gli effetti reddituali (margine di interesse) e patrimoniali dei titoli sovrani”. Analoghe riflessioni, ha aggiunto Sabatini, andrebbero fatte in termini di sterilizzazione di altre poste, “ad esempio le attività infragruppo”.