(Teleborsa) – “L’esperienza dello scorso anno dovrebbe insegnarci che dipendere da altri Paesi in settori come quello delle materie prime è sempre un rischio, soprattutto in tempi di grande instabilità geopolitica come quelli che stiamo vivendo e che avremo purtroppo di fronte anche in futuro”. È quanto afferma il presidente di Federbeton, Roberto Callieri commentando il nuovo Codice degli Appalti apprezzando il primo passo verso la difesa dei materiali nazionali ed europei, ma sottolineando la necessità di norme concrete di attuazione.
L’industria alla base della produzione di cemento in Italia sta affrontando un passaggio storico importante: all’impegno per la decarbonizzazione del settore, con una previsione di investimenti di 4,2 miliardi di euro, oltre a extra-costi operativi pari a circa 1,4 miliardi annui, si aggiunge la necessità di proteggere il proprio mercato dall’importazione da Paesi che non hanno gli stessi requisiti ambientali a cui è sottoposta la produzione italiana. In questo senso, si muove anche il testo approvato del Codice degli appalti con la misura di legittima tutela nei confronti dei materiali italiani ed europei. Mancano tuttavia riferimenti e pesi che la rendano ineludibile nella pratica degli appalti.
“La preferenza, nello sviluppo delle opere pubbliche, per la provenienza italiana o europea dei materiali da costruzione rappresenta un passo fondamentale verso la tutela della competitività della nostra filiera, della sicurezza delle opere e della loro sostenibilità – commenta Callieri –. Confidiamo ora in un’azione decisa del Ministero delle Infrastrutture nell’ambito della definizione degli indirizzi citati nel Codice. Anche in vista dei progetti da realizzare grazie al PNRR, è necessario fissare criteri precisi in termini di provenienza dei materiali. Solo gli elevati standard qualitativi e ambientali italiani ed europei possono garantire affidabilità, sicurezza e durabilità delle opere. Il Governo ha ascoltato il nostro appello, ma il rischio non è ancora scongiurato. Il nostro è un comparto fondamentale per lo sviluppo socioeconomico del Paese poiché produce i materiali alla base della sicurezza delle costruzioni – aggiunge Callieri –. La perdita di competitività dell’industria nazionale del cemento metterebbe a rischio la sua stessa esistenza. Non avere un’industria italiana del cemento significherebbe dipendere dalle importazioni, con tutte le incognite sulle catene di fornitura a cui il conflitto in Ucraina ci ha improvvisamente messo di fronte e con grandi incertezze sugli standard di sicurezza e ambientali”.
Fondamentale, dunque, garantire efficacia alle misure di promozione delle forniture di materiali provenienti da Paesi che applicano il Regolamento ETS (Emission Trading System) ovvero per i quali esista un obbligo di certificare le emissioni di CO2 attraverso norme precise e direttamente applicabili.
Il settore italiano conta circa 2.700 imprese, pari a 34mila addetti su tutto il territorio nazionale producendo cemento e calcestruzzo frutto di ricerca e innovazione in sostenibilità e sicurezza, vantano un’alta qualità ambientale nel rispetto delle normative vigenti e dell’interesse del pianeta.