(Teleborsa) – Il fenomeno delle criptovalute è stato regolamentato, limitatamente agli aspetti fiscali, nella legge di bilancio 2023, la quale espressamente prevede la tassazione delle “cripto-attività”, introducendo una nuova categoria di “redditi diversi”. Si è molto dibattuto, negli ultimi anni, dell’inquadramento giuridico di tutte le realtà sviluppate sulla base della tecnologia blockchain, tra cui le criptovalute (Bitcoin, Ethereum etc.) ma anche NFT e metaverso. Il recente fallimento di alcuni progetti di finanza decentralizzata o comunque collegata a queste tecnologie (quali il collasso di terra/luna e lo scandalo FTX) ha fatto sì che da molte parti si sia chiesto, a gran voce, una regolamentazione giuridica di questi fenomeni e, nel mese di ottobre 2022, il Consiglio Europeo ha approvato la proposta di Regolamento sui mercati delle criptovalute (markets in crypto-assets –MiCA). Il legislatore italiano non ha dedicato a questi temi una disciplina organica, anche se nel 2018 è stata data (dal Decreto-legge 135/2018) una definizione di blockchain (quali tecnologie basate su registri distribuiti) e smart contract. Ma il primo settore dell’ordinamento italiano che si è dovuto, per forza di cose, misurare con questi temi è quello tributario. Già da alcuni anni esiste una prassi dell’Agenzia delle entrate che ritiene assoggettabili a tassazione le plusvalenze conseguite grazie alle criptovalute, ed oggi la legge di bilancio appena approvata prevede una disciplina specifica. Abbiamo chiesto al prof. Carlo Cicala, avvocato e direttore di Criptolex.it di spiegarci le principali novità della nuova normativa.
Quali sono gli aspetti più importanti definiti dalle nuove norme sulle “Cripto-attività” contenute nella finanziaria 2023?
“Bisogna innanzitutto apprezzare lo sforzo che è stato profuso nel concepire l’impianto normativo, che presuppone la conoscenza delle tecnologie derivate dalla blockchain, come emerge dalla lettura della relazione illustrativa. Innanzitutto, è sicuramente positivo il fatto che ci si sia occupati di dare una definizione di cripto-attività quale ‘rappresentazione digitale di valore o di diritti che possono essere trasferiti e memorizzati elettronicamente, utilizzando la tecnologia di registro distribuito o una tecnologia analoga’. Ciò premesso, possiamo dividere le nuove norme in due gruppi: da un lato vi sono quelle che guardano al futuro, cioè che disciplinano la tassazione per operazioni eseguite dal 1 gennaio 2023 (data di entrata in vigore della Legge di bilancio), e dall’altro quelle applicabili a quanto accaduto nel passato”.
Cominciamo dal presente. Quali sono, in sintesi, le regole in vigore oggi?
“Per quanto riguarda il presente e il futuro, è stata specificamente prevista una nuova categoria di ‘redditi diversi’ da assoggettare a tassazione nella misura del 26% (art. c-sexies dell’art. 67 TUIR). Essa è costituita dalle plusvalenze conseguite grazie alle cripto-attività, ma solo per la parte superiore a 2mila euro nel periodo di imposta. Anche le minusvalenze sono fiscalmente rilevanti, sono previste regole specifiche per portarle in deduzione nei periodi di imposta successivi (non oltre il quarto) a quelli in cui si sono verificate. Viene poi previsto che il possesso di cripto-attività deve costituire oggetto di monitoraggio fiscale (indipendentemente, quindi, dal fatto che si siano conseguite plusvalenze) e che il contribuente possa scegliere l’opzione del risparmio amministrato o quella del risparmio gestito presso gli intermediari bancari e finanziari abilitati. È prevista la possibilità di esercitare l’opzione per il risparmio amministrato anche nel caso di cui la chiave privata sia custodita da operatori non finanziari (ad esempio, l’exchange). Infine, è istituita l’imposta di bollo”.
Si può quindi dire che la nuova disciplina abbia ricalcato l’orientamento che ha seguito, in passato, l’Agenzia delle entrate?
“Sicuramente questa sembra essere l’intenzione di chi ha scritto le nuove norme. Sappiamo che l’Agenzia, nelle sue circolari, ha sempre assimilato, beninteso solo dal punto di vista fiscale, il possesso di criptovalute a quello di valute estere, in modo da assoggettare la relativa ed eventuale plusvalenza alla tassazione del 26% prevista per i “redditi diversi”, ma solo se – come per il caso del possesso di valute estere – la giacenza media nei wallet avesse superato un controvalore di euro 51.645,69 per almeno sette giorni lavorativi continui nel periodo d’imposta. Le nuove norme, pertanto, inquadrano in una specifica e nuova categoria di “redditi diversi” ciò che l’Agenzia, in via interpretativa, assimilava ad una categoria di “redditi diversi” già esistente. L’aliquota è la medesima, ma i criteri per la sua applicazione sono diversi. Scompare, con le nuove previsioni, la necessità di aver superato la giacenza di 51.645,69 euro. Quindi, ad esempio, da oggi in poi è sufficiente una giacenza di 10mila euro per far scattare l’obbligo impositivo, ma la plusvalenza fiscalmente rilevante sarà soltanto quella superiore a 2mila euro. Ma l’aspetto più interessante, ed anche problematico, dell’intera materia, sempre per quanto riguarda il passato, riguarda la legittimità del comportamento dell’Agenzia che, in assenza di una specifica previsione normativa, ha ritenuto assoggettabile a tassazione un fenomeno, quello delle plusvalenze derivanti da criptovalute, in forza di un’assimilazione di queste ultime alle valute estere, assimilazione che è stata da più parti criticata, proprio per il fatto che le due fattispecie sono strutturalmente distinte.
Ci troviamo, pertanto, di fronte ad un fenomeno piuttosto singolare, anche se non nuovo alle logiche del diritto tributario: una norma di legge regola una materia in modo parzialmente diverso (anche se per certi aspetti simile) al modo in cui l’Agenzia delle entrate riteneva considerava il medesimo fenomeno”.
La nuova disciplina prevede anche regole applicabili alle annualità passate?
“Sì. Chi ha scritto le nuove norme, come si ricava anche leggendo la relazione illustrativa, ha ben presente l’opinione espressa dall’Agenzia, ed emerge altresì l’intenzione di fare salvo il pagamento delle imposte, già avvenuto, ad opera dei contribuenti che si sono conformati a tale opinione, seguendo quanto riportato nelle Circolari. Lo si capisce chiaramente leggendo le previsioni che riguardano la “regolarizzazione”, commi da 140 a 143, nonché quelle relative alla “rideterminazione del valore” (commi da 133 a 139). È chiaro che, con la previsione di una specifica procedura per la regolarizzazione, si da per presupposto il fatto che il mancato pagamento delle imposte, per il passato, abbia costituito un’irregolarità. Ma ancor più importante, sul tema, è il comma 127: qui si prevede che le plusvalenze eseguite ‘prima della data in vigore della presente legge’ si considerano realizzate ai sensi della disciplina dei redditi diversi (art. 67 Tuir). Nello stesso senso è chiarissima la Relazione illustrativa, secondo la quale, per effetto delle nuove previsioni, le plusvalenze da cripto-attività ‘non saranno più comprese’ nelle previsioni applicabili alle valute estere, dando quindi per scontato che, per il passato, dovevano considerarsi comprese in questa categoria”.
L’assimilazione alle valute estere è stata criticata?
“L’assimilazione delle criptovalute alle valute estere è stata, a mio avviso a ragione, più volte contestata in passato, e taluno è arrivato a sostenere che, in assenza di una specifica previsione normativa, nessuna imposta potesse essere legittimamente richiesta”.
Se il legislatore ha sentito il bisogno di prevedere una nuova imposta, ciò può voler dire che in passato nessuna imposta fosse effettivamente dovuta?
“Per rispondere occorre immergersi nella complessa (e a volte contro-intuitiva) logica del diritto tributario. A mio avviso, il comma 127 non può valere, di per sé solo, a legittimare, per il passato, una pretesa impositiva, in ipotesi, non esistente. Non lo può fare perché questa disposizione non ha la natura di norma interpretativa, anche perché non si auto-qualifica come tale, come invece sarebbe richiesto dallo Statuto del Contribuente. In altre parole, il legislatore, oggi, non ha detto che, per il passato le norme sulle valute estere si devono interpretare in modo da comprendere anche le criptovalute. La questione, in sostanza, si inserisce tra due principi costituzionali: quello stabilito dall’art. 23, secondo il quale nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge, e quello contenuto nell’art. 53, secondo cui tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Ove si ritenesse prevalente, in questo caso, il principio espresso dall’art. 53, è chiaro che le plusvalenze realizzate in passato, in quanto espressione di una capacità contributiva, dovrebbero comunque essere sottoposte a tassazione. Il che non esclude che, come già alcuni hanno osservato, la questione possa essere esaminata dalla giustizia tributaria”.
Come può quindi regolarsi chi, avendo pagato in passato l’imposta sulle plusvalenze realizzate con le cripto-attività, ritenga oggi di avere diritto ad ottenere la restituzione? E chi, non avendo pagato imposte per il passato, ritenga non avere nulla da regolarizzare?
“Cominciamo dalla seconda domanda. Si deve, in questo come in tutti i rapporti con il Fisco, adottare comportamenti conformi alla massima cautela e ponderazione. Ciò anche in ragione del fatto che Fisco ha la possibilità di emettere atti esecutivi senza alcun controllo giudiziale preventivo. Il contribuente può certamente sottoporre a verifica giudiziale ogni pretesa tributaria, ma, in difetto, diventa definitiva la pretesa dell’Agenzia. E, in caso di soccombenza in giudizio, il rischio è quello di vedersi costretti a pagare l’imposta e le sanzioni (che sono pari almeno al 90% dell’imposta non versata). La soluzione più prudente consiste quindi nel conformarsi a quanto previsto dalla normativa vigente, anche per quanto riguarda la legittimazione che la medesima effettua con riguardo all’orientamento dell’Agenzia per le annualità precedenti all’entrata in vigore, avvalendosi magari del ravvedimento operoso, quando risulti più conveniente della regolarizzazione prevista dai commi 140 – 143 o della rideterminazione del valore, prevista dai commi 133 – 139. Si potrà poi procedere alla richiesta di rimborso, valutando di procedere all’impugnazione della eventuale, ed assai probabile, risposta negativa, ma con ciò scongiurando l’applicazione delle sanzioni. Identica soluzione può riguardare i casi di imposta già versata, di cui può essere chiesto il rimborso presentando la relativa domanda entro il termine previsto (48 mesi dalla data di versamento dell’imposta)”.