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Le challenger bank alla conquista delle PMI

(Teleborsa) – Dopo un’ondata di challenger bank rivolte al singolo consumatore, con un’offerta soprattutto di conti smart e light, sempre più banche e fintech hanno scelto di aggredire il segmento delle Piccole e Medie Imprese (PMI), ai cui bisogni le banche tradizionali riescono a rispondere in molti casi in ritardo e in modo solo parziale. Se nella prima metà dello scorso decennio hanno visto infatti la luce colossi europei come N26 e Revolut, ma anche realtà italiane come Hype e Widiba, negli ultimi anni si è assistito al lancio di vere e proprie challenger bank per il segmento PMI. Alcune frutto di startupper, altre nate come emanazione più o meno diretta di gruppi bancari e altre ancora emerse dal rilancio di istituti in crisi. Una challenger bank è una banca piccola e nata da poco, che mira a competere direttamente – o sfidare – le banche tradizionali utilizzando strumenti tecnologici e processi innovativi. Molte di esse si sono allontanate dall’attività bancaria in filiale e operano esclusivamente online o tramite app. Se si guarda al contesto italiano, è possibile notare come ognuna delle maggiori challenger bank rivolte alle PMI abbia scelto di focalizzarsi su uno o più segmenti come la cessione del quinto (IBL Banca, Vivibanca), il leasing (BPL), il factoring (), la gestione dei crediti in sofferenza (, , Gardant, Guber) e i prestiti (Banca CF+, Banca AideXa, Banca Progetto, Solution Bank).

La necessità di velocità e agilità

Tutte partono da bisogni insoddisfatti delle imprese. Un recente report realizzato da PwC e Banca CF+ ha calcolato che nei dieci anni che hanno preceduto la pandemia il credito bancario alle PMI italiane (che rappresenta il 20% degli impieghi complessivi alle aziende non finanziarie) si è ridotto di circa 40 miliardi, passando dai 210 miliardi del 2010 ai 171 miliardi del 2019 e registrando così una contrazione del 20%. Le challenger bank sono così partite dai problemi di un processo industriale – in questo caso quello creditizio – e hanno tentato di ottimizzarlo senza avere legacy alle spalle e con la tecnologia. Proprio quest’ultimo aspetto è stato essenziale, se si pensa che con l’open banking e altre fonti informative gli istituti innovativi possono migliorare la valutazione creditizia e tagliare i tempi di erogazione delle risorse. “La valutazione di credito oggi si basa sul set informativo base – bilanci, informazioni aziendali, centrale dei rischi – mentre con l’open banking si arriva ad avere accesso a un set informativo più ampio e dettagliato – estratti dei conti correnti, cassetto fiscale, magazzino, ordini – e si capisce meglio come funziona l’azienda stessa. Questo set informativo viene affiancato a quello storico per creare dei modelli di valutazione nuovi, che vengono migliorati continuamente”, racconta Iacopo De Francisco, amministratore delegato di Banca CF+.

Nata dall’esperienza di Credito Fondiario, che nel 2021 si è separato in due società con Gardant che si occupa di investimenti e gestione di crediti deteriorati, Banca CF+ ha cambiato pelle a febbraio 2022 e oggi offre diverse soluzioni specializzate di finanziamento: factoring, finanziamenti garantiti e non da MCC e SACE, acquisto di crediti fiscali. Banca CF+ si descrive come istituto tecnologicamente evoluto, ma crede che i professionisti che lavorano in banca siano ancora essenziali nei suoi processi, anche se devono avere competenze nuove rispetto a quelle dei classici bancari. “La nostra competenza core è valutare il credito, al di là della forma che assume poi il finanziamento – afferma De Francisco – Per far questo abbiamo bisogno di una competenza che hanno anche le grandi banche commerciali, che è quella di leggere un bilancio, valutare un settore o un progetto. Accanto a questo noi abbiamo anche la persona che riesce meglio a raccogliere, immagazzinare, elaborare e far fruttare i dati, per tirare fuori la migliore valutazione possibile. Questa sarà poi analizzata a sua volta da un professionista, perché ad oggi non crediamo ancora in un modello di erogazione del credito completamente digitale, ma nel mettere insieme il professionista della valutazione del credito con una base informativa migliore e più solida”.

Il focus su un uso migliore dei dati è proprio anche di Banca AideXa, che ha sviluppato XScore: si tratta di un algoritmo proprietario che stabilisce l’affidabilità e la sostenibilità di un’azienda. “Utilizziamo diverse tecnologie, alcune delle quali tipiche dell’open banking, per analizzare i dati in tempo reale di un’impresa – spiega l’AD Federico Sforza – Questo ci ha consentito di essere molto robusti nel merito creditizio, ma anche di essere inclusivi e aver potuto dare credito durante la pandemia a quei soggetti che venivano messi in black list durante i lockdown, come i ristoranti ad esempio. Al contrario delle banche tradizionali che usavano i bilanci, e quindi magari non veniva valutato il fatto che un ristorante si fosse orientato al delivery con prospettive positive”.

Banca AideXa offre oggi essenzialmente tre soluzioni: finanziamenti X Instant (fino a 100.000 euro ottenibili in meno di 48 ore) e X Garantito (fino a 500.000 euro garantiti dallo Stato, erogati in pochi giorni) e il conto deposito X Risparmio, che offre tassi di interesse convenienti. Lanciata durante la pandemia e con licenza bancaria da poco meno di un anno, la banca stessa si è stupita dalla platea di imprese e imprenditori che trovano conveniente rivolgersi a un soggetto così disruptive. “Il nostro cliente tipo ha circa 50 anni e ci sono anche imprenditori di oltre 70 anni. Questo ci ha stupito perché essendo digitali ci aspettavano di rivolgerci a un target più giovane. Allo stesso tempo abbiamo tantissima di richiesta di startup, che ancora facciamo fatica a seguire, e c’è un segmento molto grosso, circa il 35%, che è rappresentato da aziende a guida femminile”, spiega Sforza, che in passato ha ricoperto importanti ruoli in e .

Gli assetti e i tratti comuni

Tratto comune di diverse challenger bank è il fatto che raccolgono denaro presso i privati, tipicamente tramite conti deposito, mettendolo poi a disposizione dei progetti imprenditoriali delle imprese italiane, a cui offrono accesso al credito. Altre similitudini possono essere trovate nel loro assetto. Molte di esse partono dal rilancio di un istituto dalla lunga tradizione e magari in difficoltà, dal sostegno di un fondo e da un management fatto di banchieri d’esperienza ma dotati di spirito d’avventura. Banca CF+ ha origine da un istituto di 120 anni, è controllata dal fondo Elliott e guidata da Iacopo De Francisco (ex Popolare di Viceza e BPM) e Panfilo Tarantelli (ex e Schroders).

Solution Bank (ex Credito di Romagna) è stata rilanciata nel 2018 da SC Lowy, gruppo di Hong Kong fondato da ex banchieri di e Value Investment Group (Cargill), e impiega la tecnologia per migliorare la valutazione del credito alle aziende in situazioni complesse e di ristrutturazione. Banca Progetto è nata nel 2015 dal riassetto di Banca Popolare Lecchese da parte del fondo californiano Oaktree, ed è guidata da Paolo Fiorentino, ex amministratore delegato di Capitalia e . Vivibanca è nata nel 2017 dalla fusione tra Credito Salernitano e TerFinance, ed è specializzata nel credito alle famiglie attraverso la cessione del quinto ed altri prodotti correlati. Ciò è differente rispetto alle challenger bank italiane rivolte ai consumatori finali, che nella maggioranza dei casi sono costole di grandi gruppi: Isybank di , Buddy Bank di , Widiba di , Hype di Banca Sella-, Tinaba di , Dots di e Flowe di , solo per citare le principali.

Ad aver spinto la crescita delle challenger bank rivolte alle PMI ha contribuito anche la situazione vissuta negli ultimi due anni, con una decisa spinta all’adozione del digitale nei rapporti di lavoro e nella vita più in generale. “La pandemia ha certamente accelerato sia lato clienti sia lato banche la trasformazione digitale – afferma Anna Omarini, professoressa di Economia degli intermediari finanziari presso l’Università Bocconi – La vera cartina di tornasole sarà però lo sviluppo ulteriore e più marcato dal “go digital” – trasformazione dell’ultimo miglio nella relazione banca-cliente – al “be digital” – quando saranno dapprima alcuni processi aziendali e a seguire anche i modelli di business che evolveranno”.

Secondo l’esperta, “ci potrà essere un’ulteriore spaccatura tra un banking “della quotidianità” che non richiederà la filiale – pagamenti in primis – e un banking a maggiore valore aggiunto – consulenza, gestione rischi, ecc. – che per alcuni segmenti di mercato continuerà a basarsi sulla relazione personale, ma che già si osserva in parte in evoluzione in direzione di approcci ibridi”.

Challenger bank rimane comunque un termine che comprende soggetti che hanno core business anche molto diversi tra loro e, inoltre, il divario tra domanda e offerta di servizi finanziari rivolti alle PMI potrebbe portare alla proliferazione di soggetti difficilmente classificabili come banche. “La PSD2 e l’accelerazione della digitalizzazione dei servizi per le imprese delle pubbliche amministrazioni fanno sì che oggi sia possibile approcciare le PMI non solo con i normali servizi bancari e di credito, ma in senso più ampio, in logica di servizio, offrendo loro un ecosistema di prodotti e servizi extra-finanziari, grazie a partner specializzati – afferma Carlo Giugovaz, fondatore e CEO di Supernovae Labs, il primo acceleratore di fintech per banche e assicurazioni in Italia – Con questa logica negli ultimi mesi si è assistito alla nascita in Italia di Marketplace e di b-ilty (Illimity) che, non a caso, non si definiscono più banche, ma marketplace che offrono, tra gli altri, servizi bancari”.

L’evoluzione del settore

Nonostante il fermento del settore – Banca CF+ nei primi 100 giorni di operatività ha ricevuto richieste di credito superiori ai 2 miliardi, mentre Banca AideXa ha superato i 2.000 clienti – le quote di mercato delle challenger bank sono ancora limitate. “Siamo tutte realtà all’inizio di questo percorso di crescita e non vedo un tema di competizione sul mercato, che al 95-96% è nelle mani delle banche commerciali – afferma De Francisco – Inizieremo a dire che c’è bisogno di un consolidamento quando le challenger inizieranno ad avere complessivamente il 15-20% della quota di mercato e avranno erogato 20 miliardi di euro di credito. Per ora c’è spazio per tutti”.

Questa visione è condivisa anche dall’AD di Banca AideXa, secondo il quale le grandi banche italiane sono ancora impegnate nel consolidamento tra loro, e solo in un secondo momento orienteranno lo sguardo agli istituti più nuovi. “Siccome molti operatori hanno il vantaggio di essere open e integrare soluzioni tech molto diverse, credo una strada molto importante sia quella della collaborazione – spiega Sforza – Le banche hanno una copertura territoriale e relazionale molto forte, oltre che un gran numero di clienti. Dall’altra parte le fintech hanno la possibilità di innovare molto più rapidamente, apprendere dai propri errori e sviluppare dei prodotti veramente su misura”.

La strada della crescita non sarà comunque priva di insidie. Se da un lato le challenger bank hanno bisogno di capitali relativamente bassi per iniziare, dall’altro per scalare e consolidare il settore serve un passo diverso. Inoltre, i costi operativi più bassi e un time to market più veloce si scontrano con le loro risorse molto più elevate degli incumbent. “Nei prossimi anni, le banche sfidanti dovranno affrontare una maggiore concorrenza anche da parte della “nuova ondata di fintech” come l’embedded finance, il wealth management, ecc, e da “non-bank corporate” come o , che possono guardare con più slancio al mondo dell’innovazione – aggiunge Giugovaz – Ci saranno più prodotti e servizi finanziari incorporati e offerte più personalizzate per creare un’esperienza olistica e senza soluzione di continuità per i clienti, il che può portare ad attrarne di nuovi e a convincere più segmenti a lasciare le loro banche tradizionali: sicuramente una delle principali preoccupazioni per le challenger”.

E non è nemmeno detto che le challenger finiscano per allargare la propria offerta verso segmenti più classici del settore. “In particolare all’estero, si osserva che alcune di queste si stiano strutturando con logiche di offerta molto più articolate e simili in termini di funzioni economiche alle banche retail tradizionali – fa notare Omarini – Certamente con un “look and feel” e dunque strutture di business, differenti dal passato“.

(Foto: Photo by path digital on Unsplash)


Fonte: http://news.teleborsa.it/NewsFeed.ashx

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