(Teleborsa) – S&P Global Ratings ha migliorato le proprie stime sulle perdite su crediti del settore bancario globale. Ora l’agenzia di rating calcola circa 635 miliardi di dollari nel 2021, un quinto al di sotto della previsione precedente e un livello di poco inferiore a 585 miliardi di dollari per il 2022, un terzo in meno rispetto alle stime precedenti. La prima previsione globale per il 2023 è per perdite su crediti di circa circa 595 miliardi di dollari. In sostanza, una ripresa delle economie globali più forte del previsto ha migliorato la situazione, anche se le perdite probabilmente rimarranno elevate rispetto ai minimi pre-pandemia. Per perdite su crediti si intende l’addebito sul conto economico con cui le banche aggiungono accantonamenti di bilancio o indennità per perdite attese sui prestiti della clientela.
Le previsioni di S&P indicano che gli indici di costo del credito scenderanno ai livelli pre-pandemia nella maggior parte del mondo: i ratio del costo del credito delle banche saranno in media di circa 65 punti base (pb) nel 2022 e nel 2023. Si tratta di un miglioramento rispetto al massimo pandemico di poco più di 100 pb nel 2020 e ai 77 bps del 2021.
Analogamente, nel 2021 le perdite del settore bancario in Nord America o dell’area Latam sono tornate ai livelli pre-pandemia (2019) o inferiori. S&P si attende livelli inferiori di perdite fino al 2022-23, pur non prevedendo una replica degli alti livelli di rilascio degli accantonamenti registrati negli Stati Uniti nel 2021. L’agenzia di rating ha inoltre rivisto al ribasso le previsioni per le perdite su crediti del settore bancario nell’Asia-Pacific, in Europa occidentale, in Medio Oriente e Africa, come conseguenza della ripresa economica globale. A differenza di quanto previsto per il continente americano, però, in queste aree S&P non prevede un ritorno ai livelli pre-pandemia nel 2022-2023.
Nonostante una riduzione dei rischi legati alla pandemia, ci sono altri fattori che potrebbero incidere negativamente sulla qualità degli asset bancari. Tra questi vi sono un’inflazione che si mantiene elevata in gran parte del mondo e potrebbe innescare una stretta monetaria aggressiva e una destabilizzazione dei mercati, causando pressioni sui debitori.