(Teleborsa) – Da oggi 1° novembre qualunque impresa di qualsiasi settore potrà licenziare i dipendenti, poiché il 31 ottobre è scaduto, senza alcuna proroga, il periodo transitorio che estendeva il blocco dei licenziamenti alle PMI, all’artigianato e ad alcuni settori particolarmente colpiti dalla pandemia, come il tessile, la moda e la pelletteria.
Il divieto, entrato in vigore a febbraio 2020, con lo scoppio della pandemia di Covid-19, era scaduto a giugno per tutte le altre imprese dell’edilizia e dell’industria, coinvolgendo circa 4 milioni di lavoratori. Ma cosa è successo in questi tre mesi nei settori in cui il divieto era già caduto? E’ scattato il temutissimo tsunami dei licenziamenti?
I dati incrociati dell’Osservatorio Bankitalia-Ministero del Lavoro smentiscono le aspettative più catastrofiche, indicando che il numero delle cessazioni è stato “modesto”, fatta eccezione per i precari, che non si sono visti rinnovare i contratti in scadenza. Una dinamica indotta dall’accelerazione registrata dall’economia italiana, che si appresta a chiudere il 2021 cn una crescita più forte del 6% indicato dal DEF.
Accelerazione che si è vista soprattutto nel trimestre estivo, al cadere di tutte le restrizioni del lockdown invernale. A luglio si sono registrati infatti circa 10mila licenziamenti, sui valori medi del 2019, mentre ad agosto il numero è risultato estremamente basso, per effetto dell’accelerazione dell’economia e del ricorso alla cassa integrazione.
Il governo, contestualmente allo sblocco dei licenziamenti, ha infatti confermato ed anzi sollecitato l’uso della Cassa integrazione Covid con decurtazione dei contributi addizionali, al posto dei licenziamenti, fino al 31 dicembre 2021. Possibilità offerta per un massimo di altre 13 settimane alle PMI del terziario, commercio, artigiani, giornalisti e di altre 9 settimane per tessile, abbigliamento, pelletteria. Una decisione che però non ha soddisfatto i sindacati, più propensi a mantenere il blocco.