(Teleborsa) – “Gli amici ci dicevano che eravamo dei folli, che sicuramente l’idea era bella, ma più adatta a Milano che ai piccoli centri del Sud Italia”. È con queste parole che Carmine Iodice, CEO e co-fondatore di Alfonsino, ricorda come è nata la società specializzata nel servizio di food delivery nelle piccole e medie città italiane, e che oggi è pronta a sbarcare a Piazza Affari. La startup di Caserta è stata co-fondata nel novembre 2016 da Carmine Iodice, Domenico Pascarella (CMO) e Armando Cipriani (CTO), a cui poi si è aggiunto Valerio Chiacchio (CFO). A cinque anni dalla sua fondazione, la società si appresta a quotarsi sull’AIM Italia e punta a “diventare la società leader del mercato delivery italiano”, ha spiegato Iodice in un’intervista a Teleborsa.
Come è strutturata oggi Alfonsino?
“Il 70% dell’azionariato è detenuto da noi 4, mentre il 30% rimanente è detenuto da quei soci che provengono da due campagne di crowdfunding. La prima, fatta nel 2018, ebbe un grande successo: si chiuse con un raccolta di 150 mila euro in 48 ore, in un periodo in cui eravamo attivi solo in due città, Caserta e Aversa. Nel 2020, rispettando tutte le promesse fatte agli investitori della prima campagna, abbiamo deciso di fare in pieno lockdown una raccolta da 450 mila euro. Ad oggi il CdA è composto da noi 4 e un consigliere indipendente: Fulvio Citaredo, CEO di . Ci dà un valore aggiunto importante dal punto di vista imprenditoriale e delle conoscenza delle società quotate”.
Come funzione la società?
“Alfonsino è presente nelle piccole e medie città italiane, quelle che vanno da 25 mila a 250 mila abitanti e che sono coperte in via del tutto marginale dai grandi player internazionali. Questo perché quando entriamo in una nuova città sottoscriviamo dei contratti di esclusiva, che costituiscono una barriera all’ingresso per altri. Inoltre, abbiamo degli elementi caratterizzanti che funzionano, e non so se funzionerebbero anche nelle grandi città (non ci abbiamo provato e non so se ci proveremo), rispetto a quelli dei competitor. Il primo è la vicinanza al territorio, in quanto andiamo a fare advertising locale nei confronti dei nostri tre principali stakeholder (partner, driver e utenti finali). Abbiamo poi una grande facilità nel reclutamento dei driver, che nel nostro caso sono giovani che lo fanno per sostenersi gli studi, e quindi non sono disposti ad aprirsi una partita IVA. Questi giovani sono più propensi a lavorare con noi perché così hanno una propria posizione INPS e tutele INAIL. In busta paga ricevono un fisso e un variabile. Un’altra barriera all’ingresso è una modalità aggiuntiva di pagamento, che è quella in contanti. È un arma vincente per l’utente che non vuole pagare con carta, ma anche per il ristorante che si trova a incassare giorno per giorno. Ad oggi il pagamento in contanti rappresenta il 35% di tutti i nostri pagamenti”.
Ci può fornire qualche numero sulla società?
“Non possiamo ancora divulgare dati finanziari precisi, ma il primo semestre del 2021 si è chiuso con una crescita importante, perché abbiamo già quasi raggiunto tutto il fatturato del 2020. Abbiamo oltre 400 mila utenti registrati, 1.300 partner e 700 driver che lavorano con noi. A 5 anni dalla fondazione abbiamo 36 risorse tra dipendenti e collaboratori. Siamo attivi in 10 regioni per oltre 60 centri. Ci tengo a sottolineare che il centro per noi non è un Comune, ma un agglomerato che rientra all’interno di 4 km in linea d’aria: quindi copriamo tutti i Comuni in questo raggio”.
Perché avete deciso di quotarvi in Borsa?
“La volontà di quotarci è nata per due motivi principali. Il primo è accrescere la nostra awareness, e quindi aumentare il percepito nei nostri confronti da parte dei nostri tre stakeholder (partner, driver e utenti finali). Inoltre, abbiamo esigenza di raccogliere capitali che ci consentano di continuare la nostra crescita con una velocità sostenuta. Vogliamo diventare la società leader del mercato delivery italiano. E quindi non solo più essere percepiti in maniera verticale nel food delivery, ma come società esperta nei piccoli centri in maniera più orizzontale. Stiamo sperimentando la consegna di fiori, farmaci e spesa a domicilio, che oggi rappresentano una quota marginale nel nostro conto economico, ma che vogliamo espandere. Nei piccoli centri infatti non c’è ancora un’offerta del genere, pur essendoci grande domanda”.
Come verranno impiegati i proventi dell’IPO?
“Con i proventi dell’IPO vogliamo consolidare la nostra posizione, sia migliorando l’advertising a livello locale, ma anche facendo advertising su tutto il territorio nazionale. Un conto è che la pubblicità di Alfonsino sia su Google, Facebook e Instagram e un conto è che sia in TV. Inoltre, vogliamo continuare ad attivare nuovi centri e inserire un nuovo modello, quello driveless, nei centri con meno di 25 mila abitanti. Questo ci permetterà di avere una copertura ancora più capillare. Infine, vogliamo assumere personale altamente qualificato, con attenzione alle quote rosa, e migliorare i software di cui siamo proprietari”.
Nel vostro percorso di crescita prevedete anche delle acquisizioni?
“Abbiamo valutato delle acquisizioni, ma finora ci siamo concentrati più che altro sull’espansione territoriale. Ne abbiamo valutate diverse e nel corso di questi anni sono sorte varie realtà che sono forti in una piccola area: qualcuna è interessante, ma è tutto rimandato a dopo la quotazione”.
Per quando è prevista la quotazione?
“Abbiamo fatto un incontro con Borsa Italiana venerdì scorso e inizieremo gli incontri con gli investitori lunedì prossimo, che purtroppo saranno al 50% da remoto. Dovremo riuscire a suonare la tanto sognata campanella nei primi giorni di novembre. Stiamo lavorando da diversi mesi alla quotazione e abbiamo accelerato l’iter, che arriverà ora nella parte più bella, cioè gli incontri con gli investitori”.