(Teleborsa) – La vendita di non è una change. Lo ha affermato a chiare note il Ministro Franco, che questa settimana si è presentato in audizione in Parlamento sul caso Siena. Una affermazione che trova fondamento nel fatto che il Tesoro, azionista di MPS con il 64% del capitale, è costretto a cedere la partecipazione entro la fine di quest’anno, in base agli accordi presi con la Commissione europea e con la BCE.
Una conferma dell’ineluttabilità della vendita è arrivata anche dal management di Montepaschi per bocca del Cfo Giuseppe Sica, che ha parlato di una soluzione “strutturale”, vale a dire l’aggregazione, preferita all’aumento di capitale da realizzarsi fra la fine del 2021 e l’inizio del 2022. Un piccolo “strappo alla regola” da parte del manager di MPS, dal momento che l’Ad Guido Bastianini aveva aperto la conference call sulla semestrale precisando che non avrebbe risposto a domande sulla trattativa.
Ma perché proprio ? Non si sarebbero potuti individuare altri partner? E ancora, la transazione è la migliore dal punto di vista finanziario, economico e sociale?
Se l’ipotesi di un altro scacchiere, magari una banca del Centro-Sud formata da Carige-Popolare Bari-MPS sembra affascinare, la verità è che sino ad oggi nessuno ha bussato al portone de dicastero di Via XX Settembre. E così l’Ad di Unicredit, Andrea Orcel, recentemente insediatosi alla guida della banca, ha avuto campo libero per dettare le sue condizioni al Tesoro, in primis il fatto che la vendita riguarda solo il ramo in bonis – gli sportelli – e lascia fuori le sofferenze e l’eredità ell cause legali
Si parla più in dettaglio dell’acquisto di 1.250 sportelli sui 1.400 complessivi, dal momento che una quarantina sono già destinati alla chiusura perché poco profittevoli ed un centinaio potrebbero ricadere nell’interesse di Mediocredito-Popolare Bari.
Il ridimensionamento farebbe emergere 5-6 mila esuberi, che non preoccupano molto i sindacati, perché si tradurrebbero in prepensionamenti da porre a carico dell’apposito Fondo creato dalle banche. Un fondo che ha gestito sino ad oggi 70mila esuberi, il cui finanziamento è a carico delle banche stesse o dei loro azionisti, in questo caso il Tesoro per il quale si profilerebbe un esborso di 1,4 miliardi.
Più critica la situazione di Siena, dal punto di vista economico ed occupazionale, tralasciando le “ricadute” di stampo più politico. Unicredit non è interessata al marchio né alla sede di Rocca Salimbeni, da cui potrebbero emergere 2.500 esuberi, che potrebbero arrivare a 4.000 includendo le sedi decentrate. Qui la questione sarebbe più spinosa, considerando anche le ripercussioni ideologiche sul territorio che l’antica tradizione del Montepaschi porta con sé. E mentre il sindaco di Siena Luigi De Mossi chiede garanzie, il Ministro Franco si è già affrettato a precisare che il governo “garantirà la massima attenzione alla tutela dei lavoratori utilizzando gli spazi negoziali e definendo i presidi a tutela dell’occupazione del territorio con una pluralità di strumenti e iniziative” ed “anche la tutela del marchio rappresenterà una priorità del governo”.