(Teleborsa) – La digitalizzazione è uno degli elementi cardine della strategia europea perché è legata all’inclusione sociale, uno dei principi cardine dell’Agenda ONU, e la sua diffusione è strettamente connessa alla cultura digitale ed anche alle infrastrutture di rete. Ma qual è la situazione in Europa? E l’Italia a che punto è nella classifica?
Sul tema torna Il Sole 24 Ore in un articolo firmato da Guido Romeo, “Banda larga, la lunga rimonta dell’Italia”, che fa riferimento al rapporto DESI – Digital Economy and Society Index della Commissione Europea, pubblicato nel giugno scorso, sintetizzando lo stato dell’arte nel 2019, prima che la pandemia di Covid-19 sconvolgesse l’Europa ed il mondo intero.
Dal rapporto emerge che l’Italia è ancora indietro quanto a connettività e diffusione della fibra, anche se sta scalando posizioni grazie all’intervento dell’operatore Open Fiber, mentre è più avanti nella preparazione al 5G (“readiness”), collocandosi addirittura al terzo posto in UE, giacché sono state assegnate tutte le bande pioniere e sono stati lanciati i primi servizi commerciali. Grandi carenze sul fronte del capitale umano, con un livello di competenze digitali ancora piuttosto basso (solo il 42% delle persone fra 16 e 74 anni ha competenze di base contro il 58% della UE) e con solo il 74% degli italiani che usa abitualmente internet.
La grande corsa della banda ultralarga
L’Italia si è rimessa in gara quanto a diffusione della banda larga, ma ancora insegue i campioni mondiali quali Singapore e, nell’ambito della UE, Danimarca e Lussemburgo. Il nostro Paese, che nel 2000 era fra i campioni europei per cablaggio, si è ora riportato al 17esimo posto, appena sotto la media europea, dopo esser finito al penultimo, appena sopra la Grecia. Nel 2019, la copertura FTTH (Fiber to the home ovvero la fibra che dai cabinet arriva in casa) ha raggiunto il 30% dal 24% del 2018 grazie ai 10 milioni di abitazioni raggiunte da Open Fiber, JV paritetica fra e CDP, che si trova circa a metà strada sul programma di sviluppo al 2023.
In questa posizione, l’Italia è appena sotto la media europea che si colloca al 34%, sicuramente davanti a Francia e Gran Bretagna, ma a metà strada rispetto ai campioni europei, come la Danimarca, che vanta una connettività in fibra in media al 60% (90% nele zone urbane).
Il vero problema, che spiega questo gap, è la connettività delle aree rurali, dove fino al 10% delle abitazioni non è raggiunta neanche da una rete fissa ed il 41% non dispone di banda larga. Questo gap è un problema che affligge non solo l’Italia, ma anche altri Paesi europei come Bulgaria, Finlandia, Lettonia, Romania, Polonia, Lituania, Malta, Portogallo, Grecia, Francia e Spagna. In Italia il ritardo è evidente soprattutto al Sud, ma anche in Lombardia, a causa dell’esistenza di migliaia di micro Comuni.
La corsa agli investimenti sulla fibra nel mondo è partita da tempo, dati i grandi vantaggi in termini di costi e guasti/manutenzioni, così Singapore ha completato lo switch-off del rame nel 2018, la giapponese NTT ci arriverà nel 2023 e la svedese Telia nel 2024. Anche la spagnola e la francese sono in corsa, mentre l’Italia guarda al 2025, ma forse la data slitterà di qualche anno.
La scommessa di Open Fiber
Open Fiber, operatore di telecomunicazioni wholesale partecipato pariteticamente da Enel e CDP, ha un ambizioso obiettivo: arrivare a connettere in banda larga 20 milioni di abitazioni entro il 2023 (compreso il Fixed wireless access) per arrivare a colmare il gap con l’UE. Un target che non è neanche lontano, dal momento che si appresta a chiudere il 2020 con 10,5 milioni di abitazioni cablate in 1.350 Comuni italiani.
Open Fiber ha messo sul piatto complessivamente un investimento di 7 miliardi di euro, che le consentirebbe di conquistare il terzo posto in Europa per connessioni FTTH, dopo Telefonica ed Orange.
Un piano importante che ha consentito all’Italia di registrare la più elevata crescita in Europa fra il 2017 ed il 2018 (+43,1%) e la seconda più elevata fra il 2018 ed il 2019, raggiungendo una copertura del 31% per un totale di 8,2 milioni di abitazioni. Tanto per fare un paragone l’incumbent della rete in rame ha solo l’11,1% in FTTH ed è al quarto posto come operatore dopo Fastweb, e WINDTRE.
L’ascesa di Open Fiber si fonda su una grande intuizione della controllante Enel, che si è proposta come una Enercom, grazie a due considerazioni: la capillarità della sua rete elettrica, sovrapponibile fino all’80% al tracciato delle comunicazioni, i grandi vantaggi offerti dalla tecnologia in fibra, che consente di stendere lunghi tratti senza ripetizione di segnale, consentendo di abbassare il numero di centrali a 2.000 contro le 10.400 della rete in rame di TIM, e di servire più operatori (20 operatori al dettaglio contro i 3 della fibra di TIM). Di qui, gli ampi vantaggi della rete in fibra in termini di costo (meno centrali e personale) ed in termini di qualità, dato che uno studio di Arthur D. Little individua un tasso di guasti fra 2,5 e 15 volte inferiori alla rete in rame, un tasso di manutenzione fino a 7 volte inferiore e consumi energetici da 2,2 a 6,7 volte minori.
Last but non least, proponendosi come operatore Wholesale, Open Fiber favorisce la concorrenza al dettaglio e la nascita di una moltitudine di operatori, come conferma l’esperienza e il successo di Eolo in Lombardia.