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Nagorno-Karabakh, Sace: focus su rischio paese

(Teleborsa) – “Occorre stare alla finestra e osservare con attenzione uno scenario più ampio rispetto al Caucaso”. Questo l’avvertimento che emerge dal Focus “L’autunno caldo di Azerbaigian e Armenia: perché restare alla finestra” a cura dell’Ufficio Studi di Sace. Se il cessate il fuoco, negoziato non a caso a Mosca, tra Armenia e Azerbaigian ha attenuato le ostilità – come sottolinea il Rapporto – non sembra, tuttavia, aver placato gli animi.

Al centro dell’analisi vi è la questione dell’approvvigionamento degli idrocarburi. Dopo 30 anni di silenzio il conflitto tra i due Paesi si è riacceso durante l’estate, proprio poche settimane prima dell’entrata in funzione del gasdotto che collega il Caspio all’Italia. Lungo la stessa linea – si legge nello studio – Baku vende gas alla Turchia, che per la prima volta nel 2020 ha sostituito la Russia con l’Azerbaigian come primo fornitore, oltre a essere suo partner militare. Il gas, la cui produzione è più che quadruplicata in 20 anni, – spiegano gli analisti – rappresenta la principale fonte potenziale di ricavo per il governo di Aliyev, mentre la produzione di greggio è in calo da anni. Baku è tuttora il primo fornitore di greggio dell’Italia con 81 milioni di barili nel 2019, pari a 5,6 miliardi di euro. La produzione di idrocarburi in Azerbaigian avviene per il 90% circa nel Caspio. La criticità sta nel loro trasporto oltre confine: per scavalcare l’Armenia e mantenere costi competitivi rispetto ai vicini (Iran, Kazakistan e Russia), le infrastrutture verso ovest devono passare per la Georgia o per l’Iran. Sebbene non si siano registrati attacchi alle linee durante le precedenti escalation del conflitto, il Rapporto evidenzia come le pipeline che corrono vicino al confine con l’Armenia costituiscano un obiettivo sensibile per molti. Ad oggi il conflitto coinvolge prevalentemente la regione del Nagorno-Karabakh, rivendicata da entrambi i Paesi, e l’area circostante lungo la linea di confine, ma gli effetti potrebbero essere sparsi. Uno scenario nel quale, secondo l’Ufficio Studi di Sace, si prospetta il rischio di un’interruzione dei flussi. “Gli oleodotti, che trasportano non solo petrolio azero, ma anche kazako e turkmeno, e i gasdotti – evidenzia l’analisi – si trovano a 10 miglia dal confine con l’Armenia”. Flussi che ammontano solo al 3% delle importazioni di gas dell’Ue e soddisfano già il 4% del suo fabbisogno di petrolio, ma sono importanti in chiave-diversificazione. Pertanto, un danno serio alle infrastrutture si ripercuoterebbe anche sulle compagnie internazionali attive nel settore, tra cui British Petroleum che, insieme anche ad altri partner, vi ha investito circa 40 miliardi di dollari. Un’eventuale crisi – secondo gli analisti – coinvolgerebbe anche la Russia, che in questo momento ha già abbastanza finestre aperte sulla galassia ex-Urss (es. Bielorussia, Kirghizistan e Ucraina) e sembra più incline a mediare che a farsi coinvolgere, e la Turchia, che rimane un membro della Nato.

La capacità dell’Azerbaigian di onorare i propri impegni – afferma lo studio – non risulta ad oggi compromessa. Per gli analisti, tuttavia, la contingent liability di Baku, ossia le garanzie implicite dello Stato a sostegno del sistema, non sono però facilmente quantificabili (sommate al debito pubblico constano più del 55% del PIL, con percentuali più alte in caso di deprezzamento della valuta). Inoltre il fondo sovrano, che dovrebbe disporre di valuta estera in misura paragonabile al PIL azero, già nel 2016 non è stato attivato come avrebbe potuto per salvare la prima banca del Paese.

“Se quindi lo scenario di una lenta ricomposizione dello scontro è ancora prevalente, – conclude il focus –gli effetti negativi sul piano politico ed economico dei due Paesi, che già riservano capitoli ingenti del budget alle spese militari, potrebbero essere significativi”.


Fonte: http://news.teleborsa.it/NewsFeed.ashx

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