(Teleborsa) – Prima dell’improvvisa esplosione della pandemia, nel nostro Paese si contavano circa 570mila lavoratori agili, che nei mesi più critici, per contenere la diffusione del virus, sono diventati addirittura tra 6 ed 8 milioni. Numeri record che hanno cambiato il modo di approcciarci a questa modalità di lavoro, che, invece, in altre parti d’ Europa aveva già preso piede.
In questi mesi, la Ministra del Lavoro Nunzia Catalfo, ha più volte ribadito la necessità di aprire ufficialmente il confronto sullo smart working, con l’obiettivo di incentivare ma anche regolare questa modalità di lavoro, a partire dal diritto alla disconnessione. E proprio in quest’ottica si è svolto un primo incontro con le parti sociali.
“L’incontro odierno convocato dal Ministero del Lavoro con i Sindacati sullo smart working ha avuto carattere interlocutorio e ha permesso alle parti di confrontarsi su un tema rivelatosi di estrema importanza, in questi mesi, per tutelare la salute delle lavoratrici e dei lavoratori durante la fase di emergenza sanitaria. Il percorso procederà con un secondo incontro che dovrà essere indetto prima del 18 ottobre. Consideriamo lo smart working uno strumento importante, atto a inserirsi in un progetto più ampio di sviluppo del nostro Paese, ma non può rappresentare la panacea di tutti i mali”, dichiara la segretaria confederale della Uil, Tiziana Bocchi.
“Abbiamo proposto alla Ministra – prosegue – di immaginare, una volta usciti dal periodo di emergenza, uno strumento, ad esempio un protocollo o un accordo, capace di dare grande forza alla contrattazione, sia nazionale, per delineare le linea guida a cui il contratto individuale dovrà fare riferimento, sia alla contrattazione di secondo livello, che stabilirà meglio nelle aziende e nei territori, secondo le esigenze delle lavoratrici e dei lavoratori, le modalità di svolgimento di questo istituto”.
“La sfida che ci attende è di creare un sistema inclusivo, dove chi lavora da remoto si possa sentire, da un lato, tutelato come i suoi colleghi, dall’altro sempre parte di una comunità aziendale”, conclude.
Anche la segretaria confederale della Cgil Tania Scacchetti parla di “primo incontro interlocutorio ma importante, che ha avviato una riflessione sul cambiamento del modello organizzativo del lavoro indotto da quella che e’ stata piu’ una remotizzazione del lavoro che un vero e proprio smart working, utilizzata per contrastare gli effetti della pandemia. Ora e’ necessario capire cosa succedera’ nelle prossime settimane dopo la cessazione dello stato di emergenza, prevista per il 15 ottobre”.
“E’ importante – prosegue la dirigente sindacale – che vengano ripristinate le norme sul lavoro agile saltate con i provvedimenti emergenziali, a partire dal diritto all’accordo individuale o alla dotazione strumentale a carico delle aziende”.
“Inoltre, è fondamentale – sottolinea ancora – definire meglio le regole dello smart working, partendo dalla norma di riferimento, la legge 81 del 2017” che “ha sempre avuto il grave limite di non prevedere l’obbligo della contrattazione collettiva, che dovrebbe invece essere fonte primaria per la definizione dei diritti, prima ancora che questi vengano pattuiti all’interno di un accordo individuale, come il diritto alla disconnessione e quelli alla salute e sicurezza, alla gestione dei tempi di lavoro”.
“Infine – conclude Scacchetti – abbiamo evidenziato alcune derive dell’utilizzo dello smart working, come la remotizzazione di intere attività che in alcuni settori potrebbe diventare anche strutturale, con preoccupanti effetti a cascata per altri settori, dai pubblici esercizi alla ristorazione collettiva”.
Intanto, una survey di Aidp (Associazione italiana dei direttori del personale) rivela che oltre il 68% del campione ha dichiarato che prolungherà le attività di smart working anche nella fase di ritorno ad una “nuova normalità”.
Tra i maggiori vantaggi: risparmio di tempo e costi di spostamento per i lavoratori (69%); maggiore soddisfazione dei dipendenti e miglioramento della vita in termini di work-life balance (64%); aumento della responsabilità individuale (46%). Non manca però l’elenco dei contro: la perdita delle relazioni sociali (62%), la mancanza di separazione tra ambiente domestico e ambiente lavorativo (32%); rischio di un sovraccarico di lavoro (21%).