(Teleborsa) – Il settore alberghiero è uno di quelli che è stato colpito con maggior violenza dalla pandemia, anche in relazione alla strettissima connessione con il turismo in particolare quello straniero. Dopo una situazione di totale paralisi, nei mesi estivi, agosto in particolare, sembra che qualcosa si sia mosso. Parliamo ovviamente di numeri decisamente diversi da quelli dello scenario per Covid, Teleborsa ne ha parlato con Roberto Necci, Vicepresidente di Federalberghi Roma e Presidente del Centro Studi.
Persino la Capitale che da sempre attrae milioni di turisti da tutto il mondo è in grande difficoltà: quali sono le previsioni da qui alla fine dell’anno?
“La situazione di Roma è quella tipica delle città d’arte, ossia città che dipendono dal turismo internazionale che vale l’80% del suo fatturato e non è riuscita a risalire la china, in particolare nei mesi estivi di luglio e agosto. In città sono circa 1200 gli alberghi presenti, il 12-13% è rimasto aperto ma di questi l’ occupazione di camere non ha superato il 10%. Questo ci dà esattamente l’unità di misura dell’impatto della crisi, abbiamo quindi circa 85% degli alberghi che hanno preferito chiudere e di questa minima parte di alberghi che ha aperto non è riuscita ad andare oltre il 10% di riempimento. Questo purtroppo era un fenomeno prevedibile: Roma, come anche Firenze o Venezia, è strettamente dipendente dal mercato internazionale, in particolare i mercati di riferimento sono: americano, tedesco, giapponese, francese, spagnolo e inglese. Ci sono poi dei mercati “a minor contribuzione” come quello cinese e quello russo. Va da sè che la chiusura delle frontiere o l’ impossibilità di viaggiare da parte di questi mercati ha reso quasi inutile il concetto di albergo. Le città d’arte hanno subito un danno consistente e i prossimi mesi, quindi settembre e ottobre, già preannunciano che non ci sarà un’inversione di tendenza. Il problema del centro storico della città di Roma è un problema che come Federalberghi Roma abbiamo già evidenziato in tante sedi. Si sta creando una fortissima criticità che in assenza di provvedimenti ad hoc difficilmente si potrà risolvere. Abbiamo avuto interventi relativi al fondo perduto, agli strumenti di sostegno al reddito ma li abbiamo considerati interventi tampone, non in grado di sopperire al mancato incasso, al mancato guadagno di questi mesi. E’ a forte criticità quindi l’occupazione, è a forte criticità anche la continuità aziendale”.
Fin qui il Governo ha messo in campo alcune misure, penso al bonus vacanze, ad esempio solo per citarne una. Ma il settore è in grande sofferenza: secondo lei cosa bisogna fare per dare una concreta boccata di ossigeno?
“Dobbiamo fare delle distinzioni. Noi siamo sempre favorevoli a stimoli che il Governo pone in atto, in questo caso si tratta di stimoli fiscali per contribuire allo sviluppo o all’incentivazione dei flussi turistici però dobbiamo anche dire che il bonus vacanze è un’iniziativa che non può essere particolarmente utile per le città d’arte nello specifico, perchè come abbiamo fin qui detto, le città d’arte sono in prevalenza di interesse per il turismo internazionale e quindi di scarso interesse per il turismo interno specialmente nei mesi di luglio e agosto. Il bonus vacanze è uno strumento che ha un perimetro limitato, può essere un’opportunità per tutte quelle zone che offrono sistemazioni alle famiglie, penso alle zone montane o a quelle balneari con soggiorni lunghi che propongono le mezze pensioni e quindi hanno questo strumento a supporto. E’ uno stimolo fiscale che però non soddisfa la necessità principale, la liquidità. Non sento di dire qualcosa di negativo su questa iniziativa ma è senza dubbio parziale visto che può essere utilizzata dalle aziende in determinate aree con una determinata vocazione ma che – aspetto non secondario – rappresentano in termini assoluti una parte minore rispetto al grosso flusso delle città d’arte per il PIL del turismo italiano”.
Pesa l’incognita di una seconda ondata che ovviamente nessuno si augura ma che, ad oggi, anche osservando quel che succede in Francia e Spagna non può essere tolta dal campo. Una nuova serie di restrizioni, cosa comporterebbe per il settore?
“Proprio in queste ore si parla dell’impossibilità di programmare un corretto inizio dell’anno scolastico e di una diffusione della pandemia sempre maggiore anche nei mercati esteri, Francia, Spagna, Stati Uniti e altre parti del globo. Non mi sento quindi di escludere una seconda chiusura, un secondo lockdown anche se penso che dovrebbe essere programmato a particolari zone e non totalitario. Ad oggi, al di là degli auspici, non siamo in grado di escludere questa ipotesi che comporterebbe di nuovo un crollo delle economie, un’estrema difficoltà e in questo caso ci sarà probabilmente la necessità di strumenti ancora più incisivi concertati con gli organismi sopranazionali altrimenti si rischia davvero di tornare nel baratro o comunque di finire in una situazione di difficile recupero, anche nei mesi successivi”.
Secondo molti, questa crisi se affrontata correttamente, potrebbe offrire a chi lavora nel settore l’opportunità di reinventare l’esperienza alberghiera, creando il nuovo futuro dell’hospitality. Una volta finita la pandemia si tornerà allo scenario pre Covid oppure ormai è impossibile tornare indietro?
“E’ dalla crisi che nasce l’opportunità, una celebre frase di Einstein che dobbiamo necessariamente fare nostra, non serve disperarsi concentrandosi esclusivamente sui danni della crisi ma pensare piuttosto a quali possono essere le opportunità per il futuro. Dopo il Covid c’è da scrivere un nuovo capitolo della nostra storia, della nostra società e della nostra strategia imprenditoriale. La pandemia ha segnato le nostre vite e le nostre aziende e sicuramente siamo persone molto diverse rispetto al passato. Certo è che concentrarsi esclusivamente sui danni subiti non è utile, anzi piuttosto dannoso. Con lo spirito che contraddistingue chi fa il nostro mestiere, quello dell’imprenditore. bisogna pensare che le crisi aprono delle opportunità spesso inaspettate. Io dall’inizio della crisi, parlo a titolo personale ho sposato questa teoria: vengo da altre esperienze di crisi che hanno contraddistinto nel corso della mia storia imprenditoriale momenti se non come questo molto simili e mi sento “fiducioso” per un recupero. Sono certo però che oggi siamo ancora nel pieno della lotta e dobbiamo essere consci che potremmo perdere tante battaglie, ma non dobbiamo mai arrenderci e perdere il nostro spirito”.