(Teleborsa) – La spesa per le pensioni in Italia dovrebbe raggiungere 289,35 miliardi quest’anno ed ha ormai toccato il 15,3% del PIL. Il numero di pensioni è al 76,4% degli occupati. Un trend che non si arresterà e che porterà le pensioni al 17,1% del PIL al 2040. Lo hanno spiegato i funzionari dell’INPS in audizione sulla transizione demografica.
Il rapporto tra spesa pensionistica e PIL dovrebbe poi tornare a scendere dopo quella data, per assestarsi al 16% nel 2050 ed al 14,1% nel 2060, rimanendo piuttosto stabile per il decennio successivo.
La speranza di vita a 65 anni rilevata dall’Istat fa segnare un recupero a 21,2 anni – si sottolinea – ed è coerente con le previsioni di un incremento di tre mesi dei requisiti per la pensione di vecchiaia e per quelli dell’anticipata a partire dal 2027.
“Il sistema pensionistico va comunque monitorato nei prossimi trent’anni. Tuttavia, non vi sono ragioni per ritenere che lo stesso non sia in grado di garantire le prestazioni cui è preposto – si legge nella memoria presentata – Occorre in ogni caso essere vigili e mettere in atto politiche pubbliche adeguate ad alleviare l’impatto della transizione demografica in atto sul futuro delle pensioni”.
L’INPS ricorda che l’equilibrio del sistema pensionistico, basato su un sistema di finanziamento a ripartizione pura, è assicurato, da un lato, dal contenimento della spesa pensionistica, dall’altro, dalla adeguata consistenza delle entrate contributive dei lavoratori, per cui occorre lavorare per accrescere la base contributiva, incrementando il numero dei contribuenti e assicurando retribuzioni/redditi adeguati.
Per garantire il perdurare dell’equilibrio – avverte l’INPS – occorre alimentare il flusso contributivo, rivolgendo quindi l’attenzione alle imprese ed incrementare il numero dei lavoratori, incentivando la partecipazione di donne e giovani, due categorie che storicamente registrano tassi di partecipazione piuttosto bassi. L’INPS mette in evidenza che le donne subiscono “un forte impatto” dalla nascita di un figlio: -16% sulle retribuzioni e +18% sulla probabilità di uscita dal mercato del lavoro nell’anno di nascita (+18%) (cosiddetta child penalty). Ne consegue che occorre rafforzare le misure volte a migliorare la conciliazione tra vita familiare e lavoro.
Nello stesso tempo, è possibile intervenire sul lato delle uscite senza intervenire ulteriormente sull’innalzamento dei requisiti per il pensionamento. L’Istituto ritiene che “un lieve incremento dell’età effettiva di pensionamento, sotto forma di mera facoltà, risponda al duplice obiettivo di venire incontro alle esigenze personali dei lavoratori che hanno una rilevante anzianità contributiva e favorire il passaggio intergenerazionale delle competenze”.