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Listing Act, operatori soddisfatti dell’accordo. Ridotti oneri e costi della quotazione

(Teleborsa) – Soddisfazione per i compromessi raggiunti e ottimismo per il fatto che si arriverà a un’approvazione finale prima del termine della legislatura europea. È quanto esprimono a Teleborsa le associazioni di categoria che rappresentano le PMI quotate e gli intermediari finanziari, dopo che ieri Consiglio dell’UE e il Parlamento europeo hanno raggiunto un accordo provvisorio sul Listing Act, e in particolare su uno degli aspetti più dibattuti, ovvero la direttiva sulle azioni a voto plurimo. Mentre su altre due misure cardine del pacchetto, le regole su Prospetto e la Market Abuse, l’accordo era stato raggiunto a dicembre 2023, sulle azioni a voto plurimo c’era più incertezza, perché alcune proposte arrivate durante la discussione rischiavano di “compromettere” l’obiettivo della misura, ovvero favorire l’accesso delle PMI al mercato dei capitali eliminando uno dei principali ostacoli alla quotazione in Borsa, ossia il timore dei fondatori e delle famiglie di perdere il controllo della società una volta quotata.

L’accordo raggiunto sul Listing Act ridurrà gli oneri burocratici e i costi per aiutare le imprese europee a quotarsi e a rimanere sui mercati pubblici dell’UE. L’accordo provvisorio trova un equilibrio tra la riduzione degli obblighi di comunicazione continuativa e il mantenimento dell’integrità e dell’efficienza del mercato, semplifica le norme relative alla ricerca in materia di investimenti al fine di aumentare il livello di ricerca sulle PMI, consente di riaggregare i pagamenti per i servizi di ricerca e l’esecuzione di ordini, rafforza la cooperazione e il coordinamento tra l’ESMA e le autorità nazionali competenti.

“L’impianto che è stato promosso dalla Commissione e migliorato dal Consiglio è stato poi mantenuto – spiega Lukas Plattner, partner di ADVANT Nctm e membro del Comitato Scientifico di AssoNext (l’Associazione Italiana delle PMI Quotate) – Come associazione di categoria siamo davvero molto contenti perché abbiamo portato a casa tutto quello che avevamo chiesto, e c’è stato un bel lavoro a livello delle associazioni europee, della Commissione e del Consiglio, con un primo sbandamento del Parlamento che alla fine si è risolto”.

Plattner, che ha seguito tutto l’iter del provvedimento per conto di AssoNext, evidenzia che ci sono alcune novità in grado di alleggerire significativamente gli oneri delle società quotate: “Il prospetto non sarà più lungo di 300 pagine, e se devo fare un passaggio da EGM al mercato regolamentato userò un prospetto di 50 pagine – quindi molto semplice, sintetico e con tempi di approvazione ridotti. Inoltre, se sono quotato da almeno 18 mesi sul mercato regolamentato, posso fare le offerte secondarie senza prospetto, in quanto serve solo un documento informativo di 10 pagine non soggetto ad approvazione di CONSOB. Infine, se l’aumento di capitale è fino al 30% delle azioni in circolazione, non devo fare nulla, con la soglia portata dal 20 al 30%, mentre la soglia per l’esenzione è a 12 milioni di euro”.

Un altro punto importante è quello che riguarda gli abusi di mercato, con il provvedimento che restringe la portata dell’obbligo di comunicazione nel caso di un processo prolungato (evento a più fasi). “Per quello che riguarda gli emittenti, ed è qui il passaggio fondamentale, nei processi prolungati – come ad esempio l’acquisizione di una partecipazione – va comunicato ora solo l’evento finale, mentre prima andavano comunicate anche le tappe intermedie, come la due diligence o la lettera d’intenti – dice Plattner – Gli emittenti hanno maggior certezza rispetto a quello che devono comunicare, e diminuiscono così gli oneri e i rischi di sanzione, perché spesso CONSOB ha sanzionato per decine di migliaia di euro gli emittenti per non avevano ottemperato alla normativa”.

Per quanto riguarda la direttiva sulle azioni a voto plurimo, il nuovo accordo estende il campo di applicazione per includere, oltre ai mercati di crescita delle PMI (i cosiddetti SME growth markets), qualsiasi altro sistema multilaterale di negoziazione (MTF) che consenta l’ammissione alla negoziazione delle azioni delle PMI. Una possibile futura estensione del campo di applicazione ai mercati regolamentati potrebbe essere inclusa nella clausola di revisione. Inoltre, i co-legislatori hanno concordato di fissare un rapporto di voto massimo (ovvero il valore dei voti per azione che gli azionisti esistenti possono detenere rispetto a quelli che entrano nel mercato), lasciandone il valore alla discrezione degli Stati membri, oppure una restrizione per (la maggior parte ) delle decisioni a maggioranza qualificata dell’assemblea generale. La discrezionalità è stata necessaria per arrivare a un accordo, in quanto – soprattutto dai paesi nordici – erano arrivate opposizioni alla regolamentazione a livello comunitario delle strutture azionario a voto multiplo.

“Questa norma non solo chiarisce la legittimità di strutture a voto multiplo, ma prevede anche che gli Stati debbano consentirle – spiega Marco Ventoruzzo, presidente di AMF Italia (Associazione Intermediari Mercati Finanziari, ex Assosim) – In altre parole, è una norma autorizzatoria che mette una soglia minima a quello che non si può vietare e, secondo me, prende atto di due cose: prima della quotazione, a condizioni di prevedere alcune protezioni, è possibile accedere a queste strutture per creare una leva azionaria; ma comunque non si può prescindere dal giudizio del mercato, e laddove si decida di adottare queste strutture poi vanno comunque vendute le azioni e creato il flottante”.

Gli operatori italiani sono soddisfatti dell’accordo provvisorio raggiunto a livello europeo – che sarà ora messo a punto e presentato ai rappresentanti degli Stati membri e al Parlamento europeo per approvazione – anche perché si inserisce in una fase di fermento e rivisitazioni delle regole anche in Italia. “La norma europea non rende necessarie modifiche al TUF, ma le rende possibili – dice Ventoruzzo – Il tempismo è comunque buono perché il Ddl Capitali ha colto questi spazi e ha riconosciuto il bisogno di una maggiore flessibilità, e il Listing Act fornisce quindi indicazioni per la prossima revisione del TUF. Il legislatore europeo ha messo dei paletti, ma ha previsto che resti un minimo di libertà comune a tutti gli Stati, cercando di livellare le differenze tra i vari ordinamenti“.

Se alcuni punti del Listing Act rappresentano novità dirompenti, altri non hanno un peso specifico elevato, nonostante la loro natura simbolica. È il caso del “re-bundling” dei pagamenti per la ricerca e l’esecuzione degli ordini. Tra gli effetti dell’introduzione delle disposizioni MiFID II c’era stato infatti il cosiddetto “un-bundling” dei servizi di ricerca finanziaria, nella convinzione che pagare la ricerca attraverso le commissioni di trading fosse una forma di “indebito incentivo”. Secondo molti operatori, il risultato è stato negativo per la produzione di ricerca, soprattutto sulle PMI, con conseguente diminuzione degli intermediari che producono ricerca e un inaridimento della liquidità sui titoli più piccoli.

Quanto emerge dal Listing Act “è sostanzialmente un riconoscimento che l’obbligo di un-bundling ha fatto più danni che benefici, ma è un riconoscimento purtroppo tardivo, con gli stessi intermediari e gestori che si sono organizzati con dei centri di costo e dei profitti interni che rendono difficile fare marcia indietro – dice Ventoruzzo – Non è quindi scontato tornare alla situazione precedente”.


Fonte: http://news.teleborsa.it/NewsFeed.ashx

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