(Teleborsa) – Non considerare i contratti nazionali come gli unici parametri per valutare la giusta e dignitosa retribuzione. Questa l’esortazione che la Corte Suprema invia ai giudici con la sentenza 27711/2023 della Sezione Lavoro, presidente Guido Raimondi, relatore Roberto Riverso. “Si parla notoriamente di lavoro povero, ovvero di povertà nonostante il lavoro, principalmente dovuto alla concorrenza salariale al ribasso innescata, in particolare dalla molteplicità dei contratti all’interno della stessa contrattazione collettiva; la quale, pur necessaria, quale espressione della libertà sindacale e per la tutela dei diritti collettivi dei lavoratori, può entrare in tensione con il principio dell’art. 36 della Costituzione che essa stessa è chiamata a presidiare per garantire il valore della dignità del lavoro” ha sottolineato la Cassazione accogliendo il ricorso di un lavoratore della vigilanza privata non armata, impiegato a Torino che aveva fatto ricorso al Tribunale del capoluogo piemontese lamentando la retribuzione troppo bassa. Un ricorso che dopo esiti differenti nei due gradi di giudizio è arrivato in Cassazione.
La Cassazione ha fatto fa presente come in materia di adeguatezza dei salari non si può non tenere conto, ad esempio, della Direttiva Eu 2022/2041 del 19 ottobre 2022 che ha come “primo obiettivo dichiarato” quello della “convergenza sociale verso l’alto dei salari minimi” che “contribuiscono a sostenere la domanda interna”, e i livelli minimi devono essere “adeguati” per conseguire “condizioni di vita e di lavoro dignitose”. Inoltre i supremi giudici sottolineano che “nessuna tipologia contrattuale può ritenersi sottratta alla verifica giudiziale di conformità ai requisiti sostanziali stabiliti dalla Costituzione che hanno ovviamente un valore gerarchicamente sovraordinato nell’ordinamento”. Tra gli strumenti per effettuare la verifica, la Cassazione cita il paniere Istat, l’importo della Naspi o della Cig, la soglia di reddito per l’accesso alla pensione di inabilità e l’importo del reddito di cittadinanza, avvertendo però che sono tutte forme di sostegno al reddito che garantiscono una “mera sopravvivenza” ma non sono “idonei a sostenere il giudizio di sufficienza e proporzionalità della retribuzione” nel senso indicato dalla Costituzione e dalla Ue. Adesso la Corte di Appello deve adeguarsi a questi principi dal momento che “il giudice può motivatamente discostarsi” dai parametri della contrattazione collettiva nazionale di categoria quando entrino in contrasto con l’art. 36 della Costituzione, e “servirsi a fini parametrici del trattamento retributivo stabilito in altri contratti di categoria di settori affini o per mansioni analoghe”.
Una sentenza che, inevitabilmente, si inserisce nel dibattito politico in corso del salario minimo. “Arriva dalla Cassazione, con una sentenza storica, una indicazione che conferma la necessità e l’urgenza di stabilire un salario minimo secondo i principi stabiliti dalla Costituzione. La contrattazione collettiva, specie in alcuni settori, – afferma la segretaria del Pd Elly Schlein – va sostenuta, affinché sia sempre garantito a chi deve lavorare per vivere il diritto a un’esistenza dignitosa. Il governo su questo tema continua invece a fare il gioco delle tre carte, incurante delle condizioni reali di tante lavoratrici e lavoratori in questo Paese. Il lavoro povero esiste e lo vivono sulla propria pelle milioni di persone. Noi saremo al loro fianco ogni giorno finché non otterremo un salario giusto e dignitoso”.
“Con la sentenza che conferma la necessità di un salario minimo legale, la Cassazione è arrivata dove invece fino a ora il Governo ha temporeggiato. Una decisione importante, che semplicemente riafferma quanto da tempo denunciamo sul lavoro povero. Basta ritardi: dimostriamo che anche la politica sa riconoscere che il diritto a uno stipendio dignitoso è garantito da Costituzione” afferma in una nota è il leader di Azione Carlo Calenda.
“Il salario minimo per legge dimentica la contrattazione che ha dato luogo a una stagione importante di rinnovi. Bisogna però anche tenere conto dei giudici quando dicono che la contrattazione da sola non basta. Questo è il lavoro che farà il Cnel” ha commentato la ministra del Lavoro, Elvira Calderone. Il lavoro del Cnel sul salario minimo, ha aggiunto, “è a buon punto” e “tende ad individuare proprio la questione centrale della qualità della contrattazione”.
(Foto: Blackcat CC BY-SA 3.0)