(Teleborsa) – La spesa per le pensioni nel biennio 2023-2024 crescerà significativamente portandosi al 16,2% del PIL contro il 15,6% del 2022. Un livello più alto è stato raggiunto nel 2020 (16,9%) per la caduta del PIL dovuta al Covid e, in misura minore, per Quota 100. Il picco successivo sarà toccato nel 2042 al 17%. Queste le stime contenute nel rapporto della Ragioneria generale dello Stato “Le tendenze di medio-lungo periodo del sistema pensionistico e socio-sanitario”. “Le previsioni – si legge nel rapporto – scontano, inter alia, gli effetti della elevata indicizzazione delle prestazioni imputabili al notevole incremento dell’inflazione in 2022 e 2023”.
La crisi economica del triennio 2008-2010 e dagli effetti negativi propagatisi nel quadriennio 2012-2015 hanno determinato una doppia recessione che ha portato la spesa pensionistica nel 2013-2014 al 15,8% del PIL. Successivamente, a partire dal 2015, in presenza di una leggera crescita economica, si è scesi nel 2016 al 15,4%. Tale tendenza, che sconta anche l’aumento dei requisiti di pensionamento, – spiega la Ragioneria – prosegue fino a raggiungere un minimo relativo del 15,2% nel biennio 2017-2018. A partire dal 2019 e fino al 2022, il rapporto tra spesa pensionistica torna ad aumentare con un picco, pari al 16,9% del PIL proprio nel 2020 per poi ripiegare su un livello pari al 15,6% nel 2022, valore che è 0,4 punti percentuali di PIL superiore al dato del 2018. L’aumento è dovuto alla forte contrazione dell’economia dovuta all’impatto della pandemia e condizionato anche dall’esplicarsi di Quota 100 – destinata a coloro che tra 2019 e 2021 maturano i requisiti per pensionarsi con almeno 38 anni di contributi e 62 anni di età – e della riduzione dei requisiti di accesso al pensionamento anticipato indipendentemente dall’età anagrafica per il mancato adeguamento nel 2019 di tali requisiti all’incremento della speranza di vita.
“In misura decisamente inferiore” – sottolinea il rapporto – la spesa risente anche degli effetti previsti dalle norme contenute nelle Leggi di Bilancio 2022 e 2023 che consentono, rispettivamente, di accedere al pensionamento con una età minima di 62 anni ed una anzianità contributiva minima di 38 anni (Quota 102) per chi matura tali requisiti nel 2022 e con una età minima di 62 anni ed una anzianità contributiva minima di 41 anni (Quota 103) per chi matura tali requisiti nel 2023. In conseguenza di tali misure, si assiste negli anni 2019-2022 a una più rapida uscita dal mercato del lavoro e all’aumento del numero di pensioni in rapporto al numero di occupati.
Le previsioni indicano poi nel biennio 2023-2024 una crescita al 16,2% del PIL per l’indicizzazione legata all’impennata dell’inflazione. Negli anni successivi, il rapporto tenderà invece a stabilizzarsi fino al 2029, per l’esaurirsi degli effetti di Quota 100, Quota 102 e Quota 103 e per l’ipotizzato parziale recupero dei livelli occupazionali. Si assisterà inoltre alla prosecuzione graduale del processo di innalzamento dei requisiti minimi di accesso al pensionamento e alla contestuale applicazione del sistema di calcolo contributivo.
Dopo il 2029, però, il rapporto spesa-PIL aumenterà di nuovo velocemente fino al 17% nel 2042: salirà infatti il rapporto fra numero di pensioni e numero di occupati indotto dalla transizione demografica. Nella seconda parte dell’orizzonte di previsione, il rapporto tra spesa pensionistica e PIL inizierà una rapida discesa, attestandosi al 16,1% nel 2050 e al 14,1% nel 2070 grazie all’applicazione generalizzata del calcolo contributivo e alla stabilizzazione, e successiva inversione di tendenza, del rapporto fra numero di pensioni e numero di occupati. Tale andamento si spiega, da un lato, con la progressiva uscita delle generazioni del baby boom e, dall’altro, con l’entrata a pieno regime del sistema contributivo e con l’operare dei meccanismi di stabilizzazione previsti dal sistema pensionistico italiano.