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FIPE, in calo il numero dei bar in Italia: 10mila cessazioni l'anno

(Teleborsa) – Dal 2012 ad oggi il numero delle imprese che svolgono attività di bar è diminuito di circa 15mila unità e ogni anno almeno 10 mila sono le imprese che cessano l’attività. Il risultato è che il tasso di sopravvivenza a cinque anni dei bar non raggiunge il 50%, ossia su 100 imprese che avviano l’attività ne sopravvivono meno di 50 a distanza di cinque anni. È quanto è emerso nel corso della tavola rotonda “Le sfide del bar del futuro: qualità, professionalità e innovazione” che FIPE ha organizzato a SIGEP 2023 con gli interventi di Matteo Musacci, vicepresidente Fipe-Confcommercio e titolare dell’Apelle Cocktail Bar, Marco Ranocchia, fondatore di PlanetOne, Igor Nuzzi, regional director Italia&Svizzera Lavazza, Francesco Santoro, head of eCommerce Partnerships di Nexi, Paolo Staccoli titolare dello Staccoli Caffè di Rimini e Matteo Figura, director Foodservice Italy, The NPD Group Inc.

L’incontro è servito ad esplorare un settore nel quale lavorano, tra dipendenti e indipendenti, oltre 300mila persone con una forte diffusione territoriale (2 imprese ogni mille abitanti, 9 comuni su 10 hanno almeno un bar) e con apertura 7/7 per una media di 14 ore giornaliere. E dove è in aumento la presenza di imprenditori stranieri con una particolare vivacità della comunità cinese. Sono oltre 12 mila, il 12,2% del totale, i bar gestiti da stranieri con punte che in alcune regioni come la Lombardia sfiorano il 20% o addirittura lo superano come in Veneto e in Emilia Romagna.

“Stanno in questi numeri – dichiara Musacci – le difficoltà che attraversa il format bar, stretto nella morsa di una competizione sempre più sfrenata e di un modello di gestione che riesce a conciliare costi e ricavi solo attraverso enormi sacrifici personali di chi ci lavora, soprattutto se si tratta del titolare e dei suoi familiari. Tenere in piedi un’azienda che deve pagare stipendi, canoni di locazione esagerati e attualmente bollette fuori controllo, con caffè e cappuccini al prezzo di poco più di un euro sta diventando sempre più difficile. Se a questo aggiungiamo che anche muovere i listini per adeguarli all’inflazione è complicato, il rischio che i conti non tornino è evidente. Occorre ripensare il modello di business partendo dal presupposto che tenere aperto 7 giorni su 7 per oltre 14 ore al giorno non sempre è economicamente sostenibile. Ed aggiungo che non lo è anche guardando alla sfera personale di chi, come capita a molti di noi piccoli imprenditori, è costretto a garantire una presenza continua sacrificando vita personale e affetti”.


Fonte: http://news.teleborsa.it/NewsFeed.ashx

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