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Criptovalute: la nuova procedura di regolarizzazione conviene?

(Teleborsa) – In seguito all’approvazione legge di bilancio 2023, che ne ha regolamentato gli aspetti fiscali, le criptovalute sono ora comprese nella nuova categoria delle “criptoattività”. Con l’introduzione in manovra di una nuova imposta ad hoc, applicabile alle plusvalenze generate da operazioni in criptovalute, è stata superata definitivamente l’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate, che nei propri documenti di prassi riteneva applicabili le imposte previste per le valute estere. Contemporaneamente, è stata prevista una procedura di “regolarizzazione” per chi ne abbia realizzate in passato e abbia omesso di dichiararle e di pagare le relative imposte. Abbiamo chiesto a Carlo Cicala, avvocato partner dello Studio Legale Cicala-Riccioni & Partners e direttore di Criptolex.it di spiegarci le linee essenziali della procedura di regolarizzazione.

Quali sono i vantaggi, introdotti dalla legge di bilancio 2023, per l’investitore che voglia, per il passato, regolarizzare la propria posizione?

“Inizio a rispondere parlando dei vantaggi che non ci sono, e che magari qualcuno si sarebbe potuto aspettare. La regolarizzazione non esclude la punibilità, né sul piano penale, delle condotte di impiego e riciclaggio delle somme confluite nei depositi di criptovalute, né preclude contestazioni, sul piano tributario, circa la loro provenienza: testualmente si prevede che ‘resta ferma la dimostrazione della liceità della provenienza delle somme investite’. Il meccanismo per individuare le somme da versare è in apparenza semplice: se nell’anno di imposta sono state realizzate plusvalenze, occorre versare il 3,5% del valore complessivo delle attività, detenute al termine di ciascun anno o al momento del realizzo, oltre allo 0,5% se è stata omessa l’indicazione nel quadro RW (obbligo di monitoraggio).

Quindi l’importo da versare non è commisurato all’imposta che si assumerebbe evasa?

“Almeno per quanto riguarda le plusvalenze, è proprio così. Si chiede una percentuale (3,5%) dell’intero portafoglio, senza considerare l’ammontare della plusvalenza. Ciò è stato fatto, evidentemente, per semplificare le modalità di calcolo, che avverrà quindi senza necessità di stabilire ‘quando’ l’investitore ha conseguito un guadagno. Cosa che, per il passato, non risultava chiara neppure leggendo con attenzione le circolari dell’Agenzia”.

In un mercato così fluttuante come quello delle criptovalute, quando si può dire di aver realizzato una plusvalenza?

“Guardiamo la disciplina oggi vigente. Occorre innanzitutto premettere che la formulazione della norma non è chiara, e le risposte che si possono dare oggi sono in larga parte opinabili. Possiamo però partire dalla regola, enunciata dalle nuove norme, secondo cui ‘non costituisce una fattispecie fiscalmente rilevante la permuta tra cripto-attività aventi eguali caratteristiche e funzioni’ (comma 126). L’intenzione sottesa è chiaramente quella di evitare di assoggettare a tassazione lo scambio cripto-cripto, cioè tra due entità ugualmente volatili”.

Quindi uno scambio cripto-euro può dar luogo ad una plusvalenza. Ma cosa dire di uno scambio, ad esempio, tra Bitcoin ed una stablecoin?

“La risposta dipende dall’interpretazione che si vuol dare alla norma. La stablecoin, come è noto, è sicuramente da considerare una criptovaluta, ma il suo valore è, o almeno dovrebbe essere, ‘ancorato’ a quello di una valuta tradizionale. Da questo punto di vista, quindi, acquistare una stablecoin ancorata al dollaro americano (USD) pagando in bitcoin potrebbe realizzare un fatto fiscalmente rilevante. Ma sappiamo benissimo che l’ancoraggio tra stablecoin e valute FIAT non è garantito, o comunque è caratterizzato da un grado di rischio più o meno elevato. Il collasso di UST (una stablecoin ancorata al dollaro, facente parte dell’ecosistema Terra, che ha perso la quasi totalità del suo valore nel maggio 2022 ndr) è lì a insegnarcelo. È vero che alcune stablecoin offrono più garanzie di altre, ad esempio perché ‘collateralizzate’ da fondi custoditi da banche, ma a me sembra strutturalmente molto più simile a una criptovaluta come bitcoin che a una valuta FIAT, con la conseguenza che la permuta con stablecoin non dovrebbe dar luogo a fenomeni impositivi. Il discorso comunque è complesso e potrà essere oggetto di nuovi interventi da parte dell’Agenzia”.

Per poter stabilire se si è realizzata una plusvalenza occorre assumere un valore “di carico” delle criptovalute acquistate. Come si determina questo valore?

“Le nuove norme prevedono una totale inversione dell’onere della prova, posto interamente a carico del contribuente. Su questo punto la legge è molto chiara ‘il costo o valore di acquisto è documentato con elementi certi e precisi a cura del contribuente; in mancanza il costo è pari a zero’. È quindi il contribuente a dover conservare o procurarsi elementi per dimostrare il valore di acquisto. Potranno soccorrere, ovviamente, i dati dell’operazione di acquisto, da cui risulti il prezzo pagato, ma sarà opportuno corroborarli con rilevazioni dei prezzi di cambio dai principali exchange, e ciò sebbene questi ultimi costituiscano dati pubblici. Anche in questo caso, purtroppo, a fronte di numerose affermazioni di principio dove si assume, sempre in astratto, che sul Fisco grava l’onere di dimostrare le proprie pretese, tale affermazione è quasi sempre svuotata di significato in concreto, come in questo caso”.

Per evitare questi problemi è stato previsto un importo in percentuale da pagare sulla giacenza, e non sulle plusvalenze. Ma quanto conviene aderirvi?

“L’adesione alla regolarizzazione prevista dalla nuova disciplina può non essere conveniente. Per dirlo, ovviamente, non esamino neppure l’ipotesi in cui si voglia contestare, in radice, il fatto che sia dovuta un’imposta per il passato. Consideriamo l’impostazione dell’Agenzia (cristallizzata nei vari documenti di prassi), che assimilava le criptovalute alle valute estere, applicando la relativa imposta. Chi ne ha omesso il monitoraggio o di indicare le plusvalenze può comunque avvalersi delle agevolazioni ordinarie, previste per chi voglia regolarizzare qualsiasi imposta non versata prima che giunga l’accertamento dell’Agenzia, e che potrebbero essere particolarmente convenienti specialmente per l’anno di imposta 2021. Questo perché, mentre la ‘nuova’ regolarizzazione prende in considerazione l’intero ammontare del portafoglio, i ‘vecchi’ e sempre validi strumenti prevedono il versamento di somme, anche a titolo di sanzioni, in linea di massima parametrate all’effettiva plusvalenza realizzata. Occorre dunque munirsi di un adeguato prospetto comparativo che illustri le somme da versare nell’una e nell’altra ipotesi e sincerarsi di essere in possesso di tutta la documentazione giustificativa, da esibire all’Amministrazione finanziaria in caso di controlli”.

In definitiva, il contribuente oggi può procurarsi tutti gli elementi necessari ad individuare la soluzione più conveniente?

“In realtà, per avere il maggior numero possibile di dati a disposizione, è necessario attendere il provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate che indichi le modalità operative della regolarizzazione”.


Fonte: http://news.teleborsa.it/NewsFeed.ashx

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