(Teleborsa) – Il progressivo ripristino del funzionamento delle catene del valore e il rallentamento dell’economia mondiale contribuiscono alla riduzione delle quotazioni in dollari di molte commodity industriali e alimentari nei mercati internazionali, lasciando intravvedere la
possibilità di contributi via via minori di questi prodotti nella formazione dei prezzi.
Ma se negli USA questa tendenza si sta già trasferendo lungo tutte le filiere di produzione e distribuzione, fino ai prezzi al consumo, in Europa, anche per l’indebolimento dell’euro nei confronti del dollaro che attenua la flessione dei prezzi delle commodity in valuta nazionale, probabilmente l’inflazione non ha ancora raggiunto il picco e non si delineano le condizioni per un suo rapido rientro il prossimo anno.
È quanto emerge dal report “In calo i prezzi internazionali delle commodity, ma non in misura sufficiente per una rapida riduzione dell’inflazione in Europa”, realizzato nell’ambito del progetto di ricerca Monitor Fase 4, frutto della collaborazione tra AreaStudi Legacoop e Prometeia.
La situazione internazionale, sottolinea il report, ha riflessi diversi negli USA e in Europa. Negli Sati Uniti l’inflazione si è ridotta (su base annua, dal 9,1% di giugno al 7,7% di ottobre 2022), oltre che per la riduzione dei prezzi delle materie prime, per il ritorno dei costi di trasporto su valori pre-Covid e per il rafforzamento del dollaro. In Europa gli effetti disinflazionistici esercitati dalla riduzione dei
prezzi internazionali delle materie prime sono in parte annullati dall’aumento del prezzo del gas (che dopo aver raggiunto picchi di oltre 250 dollari a MWh nel mese di novembre si è comunque riportato a circa 75 dollari) e dall’incertezza che contraddistinguerà ancora i mesi invernali, dall’indebolimento dell’euro sul dollaro e, rispetto agli USA, dalla maggiore dipendenza da Russia e Ucraina come mercato di origine di alcuni prodotti agricoli. In proposito, il report di AreaStudi Legacoop e Prometeia evidenzia come in Europa i prezzi
al consumo siano cresciuti di 11 punti percentuali da ottobre 2020 a ottobre 2022, mentre i prezzi alla produzione sono
cresciuti del 44% da settembre 2020 a settembre 2022.
“Fin dall’inizio dell’anno abbiamo temuto ciò che oggi è purtroppo una certezza” – dichiara Mauro Lusetti, presidente di Legacoop” – ossia che l’impennata dell’inflazione fosse un fenomeno temporaneo, sì, ma non di così breve durata da non sferzare duramente i bilanci delle famiglie italiane già provate dalla crisi. Ci faceva da guida, in ciò, proprio il crollo di fiducia dei consumatori che per primi, molto in anticipo sul sistema produttivo italiano, si sono accorti della rapidità e della violenza dell’impatto dei rincari sul loro tenore di vita. Ancora oggi, siamo certi che le statistiche ufficiali sottostimino decisamente l’entità di questi aumenti”.
Il report evidenzia come la necessità di continuare a sostituire il gas russo con altre fonti (con l’eventuale aggravante di un inverno rigido) contribuirà a mantenere i prezzi di metano ed elettricità su livelli elevati in Europa. Sui mercati petroliferi, la ripartenza della domanda e un’offerta molto meno “elastica” rispetto al passato impediranno un rientro significativo del prezzo del Brent. Per quanto riguarda le commodity industriali (metalli in primo luogo) la maggior domanda indotta dalla transizione energetica sosterrà consumi e prezzi (“greenflation”).
Complice anche il dollaro forte, l’Indice Prometeia-APPIA in euro dei prezzi delle commodity (sintesi del prezzo del paniere di materie prime acquistate dalle imprese manifatturiere italiane) è previsto rientrare dai picchi del 2022, ma a ritmi molto moderati, ostacolando il rientro delle tensioni inflazionistiche. In particolare, schizzato al valore di 240 nel 2022 (era 100 nel 2020), l’indice è previsto in calo del 3.5% nel 2023, mentre nel 2024 dovrebbe segnare una riduzione più marcata (-10.6%).