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PMI, Mediocredito Centrale e Svimez: “Avanti con strumenti sostegno imprese. No a divari regionali”

(Teleborsa) – Proseguire nell’utilizzo di strumenti che si sono rivelati efficaci nell’affrontare l’emergenza aiutando, altresì, il tessuto produttivo nazionale a incamminarsi lungo un nuovo sentiero di crescita, senza che si verifichi, come in passato, un divario regionale dei percorsi di sviluppo. Questa la sfida lanciata da Mediocredito Centrale e Svimez nel “Report Fondo di garanzia per le PMI. Il sostegno alla liquidità delle imprese nell’emergenza Covid-19” presentato oggi. All’evento in streaming hanno partecipato l’ad di MCC Bernardo Mattarella, il presidente di MCC Massimiliano Cesare, il ministro dello Sviluppo Economico Giancarlo Giorgetti, il direttore Svimez Luca Bianchi e la vicedirettrice generale della Banca d’Italia Alessandra Perrazzelli. Al centro dello studio il ruolo dei dl “Liquidità”, “Cura Italia” e “Rilancio” nel sostegno alle attività produttive.

Le risorse immesse nel sistema nel corso del 2020 tramite i dl Cura Italia, Liquidità e Rilancio sono state “ingenti” e – sottolinea il rapporto – “hanno il pregio di non impattare nell’immediato sul rapporto debito/PIL“. Non è stato così interrotto l’afflusso di credito al mondo delle imprese, a differenza di quanto avvenuto in altre fasi cicliche recenti: nei primi due trimestri del 2020, rispetto all’analogo periodo dell’anno precedente, gli impieghi all’economia reale sono aumentati in misura ragguardevole; maggiormente al Centro-Nord, ma anche il Sud ne ha beneficiato. In particolare, appare netta la differenza con il precedente ciclo negativo, tra il 2012 e il 2013, caratterizzato da una marcata caduta negli impieghi.

All’interno delle imprese in contabilità ordinaria che hanno fatto domanda di garanzia al Fondo, le società di capitale sono 221.071 (pari all’81,1%). I principali elementi emersi, ricavati dai bilanci del 2018, possono essere così riassunti: una discreta redditività; un buon grado di utilizzazione della struttura aziendale; un impiego molto efficiente del capitale fisso; un basso impiego del capitale circolante; un ridotto grado di autonomia finanziaria; un livello molto elevato di indebitamento corrente; un livello molto elevato del grado di elasticità degli impieghi; un basso quoziente di disponibilità; un basso livello di liquidità. Ne consegue che la struttura reale tiene. Ma il contributo offerto dalla redditività delle vendite (ROS) a tale risultato è modesto, talvolta insufficiente, e la struttura finanziaria presenta notevoli criticità. Questo elemento non costituisce certo una novità, in quanto accompagna le pmi italiane da molto tempo. Il report ha quindi replicato la tassonomia proposta nello studio del G30 relativa alla situazione economico-finanziaria cui si troveranno, presumibilmente, le imprese alla fine della pandemia. Per il gruppo di imprese in contabilità ordinaria che hanno fatto ricorso ai finanziamenti garantiti dal Fondo, i i ricavi delle vendite e delle prestazioni scendono del 9,47%; il valore aggiunto diminuisce del 14,28%; il margine operativo lordo cala del 24,69%; il reddito operativo scende del 35,87%; l’utile o perdita di esercizio crolla del 72,7%; il Totale delle attività diminuisce del 6%. I valori sono al netto della liquidità immessa nel sistema grazie ai decreti legge. Ciò fornisce comunque un’idea dell’effetto devastante della pandemia sui bilanci delle imprese e, di conseguenza, dell’assoluta necessità delle misure introdotte.

Successivamente, – si legge nel rapporto – le imprese sono state suddivise in gruppi omogenei al loro interno e che si avvicinassero a quelli individuati dal G30. L’analisi dei bilanci precedentemente condotta ha permesso di individuare i seguenti raggruppamenti: Gruppo 1 (imprese con redditività buona, molto efficienti sul piano operativo, con una bassa leva finanziaria e un facile accesso ai finanziamenti); Gruppo 2 (imprese con redditività buona, efficienti sul piano operativo, con un basso grado di autonomia finanziaria, esposte finanziariamente e media/poca liquidità); Gruppo 3 (imprese con redditività media, apprezzabile efficienza operativa, sufficiente grado di autonomia finanziaria e media esposizione finanziaria); Gruppo 4 (imprese con redditività bassa e modesta efficienza operativa, con un discreto grado di autonomia finanziaria e bassa esposizione finanziaria); Gruppo 5 (imprese con redditività bassa e modesta efficienza operativa, basso grado di autonomia finanziaria, forte esposizione finanziaria e poca liquidità).

Lo stato di salute delle imprese – conclude il report – è molto buono nel primo raggruppamento e decresce via via fino all’ultimo. Il dato che marca fortemente questo esercizio è rinvenibile nell’ampio travaso di imprese che, nel 2018, si trovavano nella situazione 2 o 3 (buona/discreta) verso, nel 2020, la 5 (peggiore). Precisamente, rispetto al 2018, nel 2020 i gruppi 2 e 3 perdono insieme più di 67mila imprese mentre il gruppo 5 si accresce di circa 56.000 unità. La pandemia ha più che triplicato il numero delle imprese potenzialmente presenti nella classe 5.


Fonte: http://news.teleborsa.it/NewsFeed.ashx

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