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Pensioni, nel 2019 spesa sotto controllo ma insostenibile costo assistenza

(Teleborsa) – Una spesa previdenziale in crescita ma sotto controllo. Raggiunge, invece, livelli insostenibili il costo delle attività assistenziali a carico della fiscalità generale che sale a 114,27 miliardi di euro. Dal 2008 l’incremento strutturale è stato di oltre 41 miliardi, con un tasso di crescita annuo oltre il 4% e di tre volte superiore all’incremento della spesa per pensioni. Questo lo scenario fotografato dall’ottavo Rapporto sul Bilancio del Sistema Previdenziale italiano di Itinerari Previdenziali che auspica un’adeguata separazione tra previdenza e assistenza.

Dal report emerge un aumento degli occupati (23.376.000 a fine 2019) e, benché si interrompa il trend in diminuzione dei pensionati del sistema Italia, che crescono fino a 16.035.165 (+30.662 unità), il rapporto attivi e pensionati sale fino a 1,4578, miglior risultato degli ultimi 23 anni con un valore molto prossimo a quell’1,5 che potrebbe garantire la sostenibilità di medio-lungo periodo del sistema. Il tutto mentre l’andamento della spesa per prestazioni di natura previdenziale si conferma sotto controllo, per quanto in crescita: nel 2019, ha raggiunto i 230,3 miliardi di euro. L’incidenza sul Pil è del 12,88%, in linea con la media Eurostat.

Se, anche in virtù delle circa 150mila cancellazioni di prestazioni in pagamento dal 1980 o addirittura antecedenti, che hanno mitigato l’incremento del numero di pensionati in buona parte imputabile a Quota 100 e altre misure di pensionamento anticipato, la spesa per pensioni non desta eccessive preoccupazioni, è ancora una volta la spesa per assistenza a confermarsi – rileva il rapporto – il punto debole del nostro welfare state. Nel 2019, l’insieme delle sole prestazioni assistenziali (prestazioni per invalidi civili, indennità di accompagnamento, pensioni e assegni sociali e pensioni di guerra) ha toccato quota 4.177.011, quasi 56mila prestazioni in più rispetto al 2018, per un costo complessivo di 22,835 miliardi, importo in costante aumento negli ultimi 8 anni. E benché le altre prestazioni assistenziali (integrazioni al minimo, maggiorazioni sociali e importo aggiuntivo) si riducano, i beneficiari di prestazioni totalmente o parzialmente assistite sono, senza considerare le quattordicesime mensilità, 8.137.540 e, al netto delle duplicazioni relative ai soggetti contemporaneamente percettori di pensioni di invalidità civile e indennità di accompagnamento, 7.728.678, vale a dire il 48,2% dei pensionati totali.

“È quasi assurdo pensare che in un Paese del G7 come l’Italia quasi il 50% di pensionati non sia stata in grado di versare neppure 15/17 anni di contributi regolari e debba quindi essere assistita dallo Stato – ha commentato Alberto Brambilla, presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali – ed è allora importante che la politica rifletta su questi numeri. Innanzitutto, perché non sembrano rispecchiare le reali condizioni socio-economiche del Paese e, in secondo luogo, perché non va dimenticato che, a differenza delle pensioni finanziate da imposte e contributi, queste prestazioni gravano per 25,77 miliardi sulla fiscalità generale e non sono neppure soggette a imposizione fiscale”.

Sul fronte del “peso” del welfare nel bilancio statale sono tre, in particolare, i rapporti che – sottolinea Itinerari Previdenziali – danno l’idea dell’incidenza del welfare sulla vita economica del Paese: quello sul Pil, che tocca il 27,32% (il 30% considerando anche casa e altre funzioni sociali); quello sul totale delle entrate contributive e fiscali, arrivato al 58,04%; e quello sulla spesa totale, che si attesta al 56,08%. Al welfare è destinato più di un quarto di quanto si produce o più della metà sia di quanto si incassa sia di quanto si spende in totale. “Ancora una volta – spiega Brambilla – siamo davanti a numeri che smentiscono il sentire comune secondo cui l’Italia spenderebbe meno degli altri Paesi dell’Unione Europea per il welfare”. Al contrario, la spesa sociale italiana, trascinata da un’assistenza fuori controllo, è elevata e cresce a ritmi difficilmente sostenibili in futuro.

Nel 2019 il sistema di protezione sociale italiano è costato per previdenza, sanità e assistenza 488,336 miliardi. Se, per quanto riguarda pensioni, Inail e prestazioni temporanee, con un saldo entrate/uscite positivo (al netto dell’Irpef che grava su queste prestazioni) di 13,7 miliardi, si può parlare di un sistema in equilibrio e in grado di “autosostenersi”, lo stesso – evidenzia il rapporto – non può dirsi per spesa sanitaria (intorno ai 115 miliardi) e assistenziale (circa 114 miliardi) che, in assenza di contributi di scopo, devono attingere necessariamente alla fiscalità generale. In particolare, a partire dai dati indicati nel Def e nell’indagine annuale di Itinerari Previdenziali sulle dichiarazioni dei redditi ai fini Irpef, l’Ottavo Rapporto stima che nel 2019 per finanziare il welfare state siano occorsi quasi tutti i 248,68 miliardi di entrate dirette (Irpef, Ires, Irap, Isos) con un saldo attivo di 18,96 miliardi, insufficiente se solo si considerasse la spesa pensionistica al lordo dell’Irpef. “Poco resta per ricerca e sviluppo se già per sostenere il resto della spesa pubblica (istruzione, giustizia, infrastrutture, etc), non rimangono che le residue imposte indirette, le altre entrate e soprattutto la strada del “debito” – ha commentato Brambilla – non senza sollevare il grave problema dell’effettiva equità e della sostenibilità del sistema, tenuto conto del fatto che il 57,72% degli italiani versa al netto del bonus Renzi solo l’8,98% di tutta l’Irpef, vale a dire appena 15,4 miliardi, risultando sostanzialmente a carico di qualcun altro, e peraltro non certo oppresso dalle tasse”.

Un quadro reso più complesso dall’emergenza sanitaria. Nel 2020, secondo le stime di Itinerari Previdenziali, il numero di pensionati potrebbe aumentare di 100mila unità a causa dell’effetto Covid. Il trend potrebbe continuare anche nei mesi successivi deteriorando per qualche anno il rapporto attivi/pensionati. Per il disavanzo dell’Inps, al netto dei trasferimenti del bilancio dello Stato, l’ipotesi relativa al biennio 2020-2021, è un aumento fino a 33 miliardi per poi rientrare su livelli più fisiologici a partire dal 2023. Mentre le entrate contributive risentiranno delle difficoltà occupazionali, la spesa pensionistica sconterà, dunque, l’incremento dovuto alla pandemia, toccando livelli persino superiori a quelli della crisi del 2008.

A fine 2020 i benefici concessi per Quota 100 sono stati 267.802. In tale scenario Itinerari Previdenziali propone di superare Quota 100 con una revisione definitiva della Riforma Monti-Fornero valida per almeno 10 anni. Il primo step è la totale equiparazione delle regole generali e delle tutele per i giovani che hanno iniziato a lavorare dal primo gennaio 1996 eliminando le norme Fornero, seguita dall’istituzione di un “fondo di equità” per i contributivi, alimentato da subito con 500 milioni di euro l’anno per finanziare le tutele pensionistiche (integrazione al minimo) per i giovani, a partire dal 2036. Secondo punto il blocco per tutti i lavoratori dell’adeguamento alla speranza di vita del requisito di anzianità contributiva richiesto per la pensione anticipata a 42 anni e 10 mesi (1 anno in meno per le donne), con ulteriori riduzioni per precoci e lavoratrici madri. Terzo punto l’utilizzo dei fondi esubero per lavoratori con problemi e reintroduzione delle forme di flessibilità già previste dalla Dini/Treu, consentendo quindi il pensionamento con 64 anni di età (adeguati) e 38 di contributi.


Fonte: http://news.teleborsa.it/NewsFeed.ashx

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