(Teleborsa) – Dopo oltre un anno e mezzo dall’inizio pandemia, nel primo semestre del 2021 l’occupazione nel nostro Paese è ripartita ma è sempre più “part time” che è il più delle volte “involontario”, non richiesto cioè dal lavoratore o dalla lavoratrice per esigenze previste dalla legge, ma proposto come condizione contrattuale di accesso al lavoro dalle imprese. A giugno di questo anno, dei 3.322.634 contratti complessivamente attivati (di cui 2.006.617 a uomini e 1.316.017 a donne), oltre un milione e 187 (il 35,7%) sono part time. È quanto emerge dall’anticipazione del policy brief “Una ripresa… a tempo parziale” dell’Istituto Nazionale per le analisi delle politiche pubbliche (Inapp) che fotografa la ripresa occupazionale, attraverso i dati sui nuovi contratti attivati nel primo semestre e che a breve sara’ disponibile sul sito dell’Istituto.
Questo dato presenta rilevanti differenze di genere: quasi la metà (il 49,6%) delle nuove assunzioni di donne è a tempo parziale, contro il 26,6% degli uomini. E Il 42% dei nuovi contratti di donne associa al regime orario a tempo parziale anche una forma contrattuale a termine o discontinua, debolezza che riguarda solo il 22% della nuova occupazione maschile. Inoltre, l’essere under 30 e vivere al Sud continua a rappresentare una condizione di svantaggio ulteriore.
“La lettura di questi dati ci dice che la ripresa dell’occupazione in Italia rischia di non essere strutturale perché sta puntando troppo sulla riduzione dei costi tramite la riduzione delle ore lavorate – ha spiegato Sebastiano Fadda, presidente di Inapp – La ‘prudenza delle imprese’ rischia di incrementare la fascia di lavoratori poveri e il gap di partecipazione e reddito esistente tra uomini e donne. Il traino del Piano di ripresa e resilienza dovrebbe essere invece l’occasione per spingere sulla creazione di lavoro stabile, perché senza la prospettiva di una graduale stabilizzazione dei rapporti di lavoro si rischia di avere effetti negativi sulla produttività e sulla competitività”.
Nello specifico, “la componente femminile rappresenta complessivamente il 39,6% del totale delle attivazioni, confermando il consolidato gap di genere nell’occupazione – si legge nello studio – Si assiste, quindi, ad un numero di nuove attivazioni per le donne inferiore a quello degli uomini in valore assoluto, ma con un’incidenza del part time molto più consistente”. “Questa situazione si registra in tutte le tipologie contrattuali. Sul totale dei nuovi contratti a donne, sono part time: il 54,5% nel tempo indeterminato, il 63,7% nel tempo determinato, il 44,5% in apprendistato, il 45,9 % in lavoro stagionale e il 42,4% % in somministrazione.