(Teleborsa) – di
Dino Sorgonà
Il giorno della verità tanto atteso sul colosso cinese immobiliare Evergrande sta arrivando, e giunge dal mercato asiatico nonostante la chiusura per festività delle maggiori piazze finanziarie di Giappone, Cina e Korea. La piazza di Hong Kong ha visto nuove vendite del titolo che ormai dall’inizio dell’anno ha perso più dell’87% del suo valore.
Evergrande che è la seconda azienda di sviluppo immobiliare della Cina ha accumulato 305 miliardi di dollari di passività verso banche, altri prestatori, aziende, investitori, venditori ed acquirenti di case. Ha anche annunciato di voler sospendere i pagamenti degli interessi dovuti sui prestiti a due banche. Il Rating di credito è stato per la terza volta da giugno tagliato e declassato a “CA” il che implica che la società sia probabilmente vicino ad un default senza sostanziosi interventi. L’azienda cerca di vendere asset per ottenere liquidità per generare fondi al servizio del debito, spera anche che qualche investitore per non mandare in malora il tutto allarghi la borsa.
Evergrande ha già mancato da maggio i pagamenti a investitori e appaltatori del debito a dettaglio. L’indicazione del Governo per ora è quella che i principali istituti di credito della compagnia estendano i pagamenti degli interessi o rinnovino i prestiti. Da qui al 29 settembre ha scadenze per interessi per oltre 130 milioni didollari.
La memoria corre in questi giorni a quanto avvenne nel 2007-2008 quando il crollo della fiducia nella cartolarizzazione dei mutui, nei mercati monetari e nelle banche fece affondare il sistema e impose la necessità di salvataggi. Allora si paventava una crisi del debito sovrano degli Stati Uniti ma si era in errore la crisi era incorporata nel capitalismo occidentale: il tracollo di Wall Street fu causato da mutui ipotecari sub prime tossici che minacciò di trascinare tutto il mondo occidentale. Allora l’economia americana era stata sostenuta non solo da enormi deficit fiscali ma da una impennata continua dei prezzi delle case.
Quando questi prezzi raddoppiarono in dieci anni precedenti il 2006, la ricchezza delle famiglie americane aumentò di oltre 6 trilioni di dollari dando una spinta formidabile non solo agli Stati Uniti ma anche all’economia mondiale. I consumi che negli Stati Uniti si avvicinavano ai 10 trilioni di dollari aggiunsero ben 937 miliardi alla domanda globale.
Ma l’orchestra smise di suonare e cambiò musica, il capitalismo finanziario selvaggio si trovò davanti ad un baratro, l’aumento degli interessi portò ad un’ondata di default, i prezzi delle case crollarono, milioni di investimenti immobiliari speculativi fallirono, molte famiglie persero il denaro e la casa e fu la fine del boom. Le istituzioni finanziarie e banche ebbero grosse perdite, alcune fallirono altre furono statalizzate come Fannie MAE e Freddie Mac, altre acquistate da banche più grandi, altre salvate dal governo.
Ma la realtà di oggi è ben diversa, sicuramente ne soffriranno investitori e banche ma il fenomeno è circoscritto ad una realtà ben precisa: la Cina ed ad alcune realtà legate al mercato ed alla politica cinese. Pechino non può permettersi altri errori. Il mondo dopo il COVID, partito da lì, è molto attento e vigile e un ulteriore errore anche nella finanza potrebbe danneggiare fortemente i traffici commerciali. E’ di questi giorni la notizia della vittoria rispetto agli Stati Uniti dell’export di Pechino.
Evergrande ha seguito fino ad oggi la prospettiva della crescita ossessiva del PIL fissata dal Partito Comunista che ha prodotto uno sviluppo abnorme del settore immobiliare, ora il quadro fissato dal partito è cambiato, Xi ha affermato la necessità di una crescita armoniosa in cui gli eccessi di ricchezza e debito non saranno più tollerati. Da qui la necessità di una conduzione delle istituzioni finanziarie di Pechino improntate ad una saggia gestione e trasparenza, insomma più efficienza e meno propaganda.
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(Foto: Free-Photos / Pixabay)