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Campari, 20 anni in Borsa segnati da acquisizioni ed espansione all'estero

(Teleborsa) – “Se pensi di aver visto più spritz Aperol quest’anno, non ti sbagli. E se hai bevuto più del solito quelle bevande frizzanti rosso-arancio in graziosi bicchieri a stelo, stai facendo esattamente quello che sperava il produttore di Aperol, il gruppo “. È così che iniziava l’articolo del New York Times “C’è un motivo per cui bevi così tanto Aperol Spritz” che nel 2018 fotografava il successo della strategia di marketing di Campari, che era riuscita a rendere un brand nato Padova nel 1919 il drink più cool dell’estate della Grande Mela. Aperol è solo uno degli oltre 50 marchi del gruppo milanese, ma è sicuramente quello di maggior successo e che meglio inquadra la strategia che Campari ha incarnato negli ultimi 20 anni: le acquisizioni e la forte espansione sui mercati internazionali.

Dal 1995 ad oggi, la multinazionale tutta italiana ha acquisito oltre 30 marchi per più di 3,3 miliardi di euro. I deal più pesanti sono stati quelli per mettere le mani su SKYY (una delle principali vodka di alta gamma negli Stati Uniti, acquisita nel 2002), Aperol (2003) e Wild Turkey (premium bourbon whiskey, acquistato nel 2009), oggi pesi massimi all’interno del portafoglio Campari. I primi due sono stati acquisiti appena dopo la quotazione a Piazza Affari della società, che avvenne il 6 luglio del 2001 sul Mercato Telematico Azionario e che il gruppo Campari ha voluto ricordare pochi giorni fa in occasione della pubblicazione di conti semestrali da record.

“Guardando indietro al successo degli ultimi 20 anni, la forza del business di Campari Group e la sua performance finanziaria si sono riflesse nel valore di capitalizzazione di mercato dell’azienda, che dall’IPO è aumentato di 15 volte fino a raggiungere oggi i 13 miliardi di euro – ha commentato il CEO Bob Kunze-Concewitz – Con un rendimento totale per gli azionisti annualizzato del 16%, abbiamo sovra-performato i nostri principali concorrenti nel settore spirit e l’indice di mercato”.

La Campari di oggi – che dà lavoro a 4.00 persone, porta i suoi prodotti in 190 Paesi e ha 21 siti produttivi in 3 Continenti diversi – è profondamente diversa da quella che si affacciava per la prima volta in Borsa. Nel 2000, l’ultimo anno prima della quotazione a Piazza Affari, il 57,4% del fatturato era realizzato in Italia (circa 249 milioni di euro), il 24,5% nell’UE, l’8,4% nelle Americhe, il 4,7% nell’Europa non-UE e il 5% nel resto del mondo. 20 anni dopo, come emerge dal bilancio 2020, il 43,7% delle vendite proviene dalle Americhe (773,9 milioni di euro), il 26,2% da Sud Europa (l’Italia pesa per il 17,1%), Medio Oriente e Africa, il 22,8% da Nord, Centro ed Est Europa e il 7,4% dall’Asia. Guardando ai singoli brand, nel 2020 Aperol ha pesato per il 18,8% delle vendite, seguito da Campari con il 9,6%, Wild Turkey con l’8,4% e SKYY con il 6,7%.

Lo spritz, negli anni, non ha reso felice solo chi cercava una bevanda fresca in una torrida giornata estiva, ma anche i suoi investitori. Nel corso del 2020 il titolo Campari è cresciuto del +14,7% (dopo un forte calo nel primo semestre dell’anno), sovra-performando il FTSE MIB di oltre il 20%, l’indice STOXX Europe 600 Food&Beverage del 22% e l’indice settoriale MSCI Europe del +22%. Allargando lo sguardo, si può notare come dal 2001 al 2020, il titolo di Campari abbia sovra-performato il FTSE MIB (l’indice delle blue chip di Borsa Italiana di cui Campari è entrato a far parte dal 2009) per quindici anni su venti. La capitalizzazione di mercato della società a fine 2001 era di circa 800 milioni di euro, mentre oggi è pari a oltre 13,7 miliardi di euro. Nel 2001 il titolo Campari aveva un volume medio giornaliero di 72.374 azioni scambiate. Nel 2020 sono state scambiate giornalmente in media 2,6 milioni di azioni Campari, con un controvalore medio giornaliero di 20,4 milioni di euro.


Fonte: http://news.teleborsa.it/NewsFeed.ashx

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