(Teleborsa) – Intervenendo sulle prassi operative, introducendo minime modifiche normative e un “cruscotto” a disposizione delle autorità per monitorare i tempi, gli iter autorizzativi dei grandi investimenti infrastrutturali si potrebbero ridurre in modo significativo. Ad affermarlo è Marco Reggiani, General Counsel di , in un momento in cui il tema delle infrastrutture è particolarmente sentito in ottica di ripartenza post-emergenza Covid.
Le infrastrutture ricoprono un ruolo centrale per la ripartenza del Paese: quale contributo possono dare questi investimenti alla crescita di economia e occupazione?
“Gli investimenti in infrastrutture hanno indubbiamente effetti sistemici e riflessi importanti sull’economia e sul lavoro. Nel caso dell’energia e nello specifico di Snam, si tratta di iniziative di lungo periodo, che generano importanti ricadute occupazionali e sull’economia dei territori, dalle fasi di realizzazione delle opere a quelle successive all’entrata in esercizio, quando l’azienda rimane sul posto a gestire l’infrastruttura. Oggi Snam investe oltre un miliardo di euro l’anno e lavora con più di mille fornitori, in larga parte PMI italiane. Nel 2019 abbiamo contribuito al PIL nazionale per circa 1,3 miliardi, creando oltre 20mila posti di lavoro esterni all’azienda. Cantieri come i nostri e come quelli di altre società del nostro settore o dei settori trasporti, idrico e sanità possono dare un contributo importante ad aree come il Sud Italia o a settori come la ricettività e la ristorazione, particolarmente colpiti dall’emergenza Covid. In questi settori ci sono 100 miliardi di investimenti, in gran parte privati, che si potrebbero sbloccare nei prossimi cinque anni: questi investimenti, che hanno un effetto moltiplicatore di circa tre volte, possono generare non meno di 300 miliardi di PIL aggiuntivo, che si tradurrebbero in una crescita del 3% all’anno”.
Quali sono i tempi in media dei procedimenti autorizzativi su questo tipo di investimenti?
“Il principale procedimento legato alla realizzazione di nuove infrastrutture è l’autorizzazione unica, con valutazione di impatto ambientale, di competenza statale. In media, per le nostre attività, l’intero iter si conclude in circa 1.000 giorni, con alcuni casi particolarmente complessi in cui trascorrono anche più di 2.000 giorni dalla richiesta di autorizzazione al via libera finale. Prima ancora di iniziare la fase realizzativa, di poter aprire il cantiere”.
E’ possibile accorciare i tempi? Cosa si può fare per far decollare i cantieri?
“L’attuale quadro normativo offre già un certo margine per lo snellimento dei processi. Intervenendo semplicemente sulle prassi operative, anche senza modificare le norme vigenti, si potrebbero risparmiare più di 500 giorni, continuando a garantire la trasparenza nelle valutazioni e i controlli nell’interesse della collettività. Senza contare che il crescente uso degli strumenti digitali, già sperimentato durante l’emergenza Covid, contribuirebbe ulteriormente a razionalizzare i tempi. Aggiungendo alcuni interventi normativi mirati, si potrebbero cogliere ulteriori e importanti benefici”.
Qualche esempio?
“Le varie fasi di un iter autorizzativo, inclusi i sotto-processi, si potrebbero svolgere in modo parallelo e contestuale e non una dopo l’altra. In questo modo i tempi che oggi riscontriamo nella prassi potrebbero ridursi di due terzi, salvaguardando le competenze delle varie amministrazioni. Ad esempio, si potrebbe intervenire nella 241 del 90 per sancire la parallelizzazione delle fasi procedimentali, per la valutazione e adozione contestuale di atti, pareri, intese, nulla osta, etc. necessari per la realizzazione di un progetto. Per quanto riguarda poi la fase realizzativa dell’opera – successiva all’autorizzazione – si potrebbe intervenire sul quadro normativo degli appalti, responsabilizzando le aziende – quanto meno quelle quotate e quindi già dotate di sistemi di controllo all’avanguardia – a disegnare e attuare propri regolamenti o modelli per le gare d’appalto pienamente trasparenti e non discriminatori, nel rispetto della normativa UE e dei controlli di interesse pubblico, compresi gli aspetti inerenti i rischi di infiltrazione della criminalità organizzata. Questa responsabilizzazione delle società è uno strumento già utilizzato con successo in passato, ad esempio, per la prevenzione degli illeciti da reato con la 231 del 2001. L’obiettivo sarebbe garantire che, dalla presentazione di un progetto all’apertura del cantiere, passando per autorizzazioni e appalti, siano sufficienti 11-12 mesi.
Ne verrebbe ridimensionata, ad esempio, la tutela dell’ambiente?
“In alcun modo. La parallelizzazione e contestualità delle fasi procedimentali necessarie per la realizzazione di un progetto lascerebbe impregiudicate le competenze di enti e amministrazioni e ferma resterebbe la tutela prioritaria dell’ambiente”.
Cosa si può fare per assicurarsi che i progetti vadano in porto e non rimangano inceppati?
“Una soluzione potrebbe essere individuare una sorta di referente, supportato da un ente o istituto terzo indipendente, cui affidare il compito di monitorare il rispetto di tempi standard predefiniti e darne conto pubblicamente. Una sorta di “cruscotto” per individuare tempestivamente le criticità e intervenire, quantomeno per i progetti individuati come strategici per la ripartenza del Paese. Ciò rappresenterebbe una grande prova di trasparenza e anche una garanzia verso le imprese, i loro fornitori e l’intera comunità, specie nel caso di opere di interesse pubblico”.