(Teleborsa) – E’ lotta contro il tempo per realizzare il kit sierologico più rapido e più affidabile per partecipare al bando del Governo che dai primi di maggio vuol realizzare un primo esame epidemiologico in Italia su almeno 150 mila persone di tutte le età e di tutte le aree geografiche. Un primo passo per capire quante persone siano venute in contatto con il coronavirus.
In cantiere ce ne sono molti e di diversi tipi. Ma al di là del bando del Governo, in diverse Regioni c’è una richiesta enorme di questi kit. La Lombardia partirà in modo autonomo nelle 23 province più colpite già dalla fine di questo mese. Così anche Emilia-Romagna, Liguria e Puglia. Il Lazio comincerà con i test su 60 mila rappresentanti delle Forze dell’Ordine. In totale ne eseguirà 300mila. Dunque c’è grande richiesta di kit sierologici.
Molte aziende sono già a buon punto e molti kit sono già in distribuzione, sia in Italia che all’estero. “Noi ne abbiamo messi a punto due tipi – spiega Fabio Piazzalunga, Direttore generale Menarini Diagnostics – uno rapido (fornisce il risultato entro dieci minuti) e un secondo definito semiquantitativo che dà risultati in 20 minuti. I test sierologici danno queste informazioni: se rilevano anticorpi IgM vuol dire che l’infezione è ancora in fase acuta. Se si trovano anticorpi IgG vuol dire che invece è passata. Se sono presenti entrambi la persona è in una fase di mezzo”.
Ma vediamo le differenze tra i due tipi di test. Il primo, quello rapido – spiega Piazzalunga – dà ottimi risultati in fatto di sensibilità (capacità di rilevare i veri positivi) e di specificità (rilevare i veri negativi) ma non è in grado di rilevare la quantità di anticorpi sviluppati. Il secondo, invece, rileva anche una certa quantità. Questo va poi ripetuto più volte per vedere la variazione di questi numeri”.
Si tratta di dati un po’ più completi, ma solamente indicativi perché gli scienziati che stanno studiando il coronavirus ancora non sanno quale sia la quantità di anticorpi che rendono una persona immunizzata. Né tantomeno sanno quanto questa eventuale immunizzazione duri nel tempo.
Anche se l’affidabilità del responso non sarà assoluta, secondo il Comitato Tecnico Scientifico, eseguire i test sui lavoratori prima di riaprire fabbriche e aziende potrà comunque essere utile per farli rientrare in maggiore sicurezza. Per questo c’è una domanda sempre crescente da parte soprattutto dei grandi Gruppi.
Quanto all’esame epidemiologico, secondo le stime del Comitato, gli italiani che potrebbero risultare immunizzati sarebbero circa un 10 per cento (circa 6 milioni). Ma, sottolineano dall’Istituto Superiore di Sanità, sugli anticorpi sviluppati c’è ancora molto da studiare e quindi, sia ben chiaro, nessuno almeno per ora avrà quella che in molti hanno già definito la “patente di immunità”.
di Manuela Lucchini